Yucatan e Quintana Roo



Lo Yucatan ha rappresentato il nostro primo approccio con il Messico. Sono passati ormai diversi anni dal 1995, epoca del primo nostro viaggio in questa nazione, che ci stregò a tal punto da farci tornare altre due volte e che ci è rimasta letteralmente nel cuore. Spero un giorno di tornare nella penisola yucateca, sebbene purtroppo, sempre più frequentemente, leggo di come le cose siano cambiate rispetto al periodo dei nostri viaggi. I prezzi sembrano essere notevolmente aumentati a causa del sempre più crescente flusso turistico, con un conseguente e spropositato sviluppo alberghiero sulla costa del Quintana Roo.

Forse non troveremo mai più ciò che lasciammo, ma noi conserveremo per sempre un ricordo davvero indelebile di queste terre, che seppero ammaliarci con i loro incredibili colori, con la loro gente cordiale e calorosa, con un mix unico costituito da imponenti città Maya e natura, nella quale recita un ruolo di prim'ordine uno dei mari più spettacolari del mondo.


Qualche informazione di carattere generale


Yucatan e Quintana Roo sono senza dubbio da annoverare tra gli stati più turistici del paese, grazie proprio alla grande ricettività alberghiera, ai numerosi voli charter che atterrano quotidianamente all'aeroporto internazionale di Cancun, e alle incredibili attrattive che gli stessi possiedono. Sebbene quindi per molti viaggiatori lo Yucatan è sinonimo stesso di Messico, personalmente credo che questo stato sia da collocare in un posto speciale all'interno della nazione, in quanto presenta delle caratteristiche proprie dal punto di vista fisico-culturale, che per certi versi lo differenziano dal resto del paese. E' il caso di ricordare ad esempio la completa assenza di rilievi montuosi, esistendo delle basse colline solo nell'importante zona archeologica denominata Puuc, ed essendo la penisola yucateca costituita da un'immensa piattaforma di calcare e corallo, ma occorre anche menzionare la mancanza di fiumi e laghi in buona parte della regione. Osservando infatti lo Yucatan dall'aereo ad esempio, lo stesso appare come un'immensa distesa pianeggiante, coperta in gran parte da una fittissima vegetazione. La particolare morfologia del terreno, fa sì inoltre che l'acqua piovana venga rapidamente assorbita, per poi scorrere attraverso numerosi rivoli sotterranei. Nel corso degli anni, in molti punti l'acqua ha eroso il calcare creando lentamente delle pozze d'acqua naturali, i famosi cenotes, attorno ai quali sorsero le principali città della civiltà Maya. Lo Yucatan ospitò infatti questo grandissimo popolo, il quale prosperò anche nelle terre corrispondenti agli attuali stati del Belize, del Guatemala e dell'Honduras. Le città erette da questa misteriosa ed evoluta civiltà rappresentano oggigiorno una delle principali attrattive turistiche della penisola yucateca e gli appassionati d'archeologia troveranno in questa parte di mondo dei veri e propri tesori. Ma anche la natura è stata davvero generosa con queste terre, ed ecco ad esempio che per circa 280 chilometri, da Isla Mujeres fino all'Honduras, corre parallela alla costa del Quintana Roo e del Belize la seconda barriera corallina del mondo per estensione, mentre l'interno del paese presenta una flora assai ricca e diversificata, e vale ovviamente anche la pena di ricordare il considerevole numero di animali esotici presenti nella penisola, alcuni dei quali facilmente avvistabili tipo le iguana, o altri che raramente il turista può incontrare, come i giaguari che ancora vivono nella selva o i caimani presenti presso il Rio Lagartos o in alcuni tratti della Sian Ka'An Reserve, o numerosi altri animali assai caratteristici tipo gli armadilli, i tapiri, i pecari, oltre a tantissime specie di uccelli. Sono insomma fortemente convinto che gli stati di Yucatan e Quintana Roo possano soddisfare anche i viaggiatori più esigenti, considerate proprio le innumerevoli attrattive naturalistiche, storiche e culturali che possiedono.
Oltre alla natura e all'antica civiltà dei Maya, uno dei più affascinanti aspetti di un un viaggio in queste terre, è rappresentato senza dubbio dal contatto che si avrà con la fantastica gente che oggi popola gli stati dello Yucatan e Quintana Roo, diretti discendenti proprio dei Maya. Fuori dai maggiori centri le donne indossano ancora le caratteristiche huipil, e la cosa che più colpirà il viaggiatore sarà soprattutto la loro lingua, considerato che gran parte della popolazione parla tutt'oggi dei dialetti locali. Infatti, nonostante l'istruzione sia obbligatoria in Messico dal 1917 e si usino nelle scuole testi scritti in spagnolo, in numerosi villaggi si continua ancora a parlare la lingua tradizionale. Vale la pena inoltre di ricordare che lo Yucatan è uno degli stati dove la maggior parte della popolazione è costituita da indigeni e non da meticci, che rappresentano sostanzialmente la maggioranza dei cittadini messicani e l'essenza stessa della nazione, come riportato su una significativa lapide esposta sulla Piazza delle tre culture di Città del Messico.
Come sempre, un viaggio non può considerarsi tale senza un ulteriore viaggio nella cucina del paese che visitiamo. Lo Yucatan offre numerosi piatti caratteristici della regione, e su tutti vale la pena di ricordare il pollo o maialino da latte (localmente chiamato cochinita) cotti alla maniera "pibil", i quali vengono cucinati nella salsa achiote, composta da succo di arance amare, cipolle, coriandolo e sale, assieme ad aglio, cumino, pepe nero, e vengono infine avvolte in foglie di banane ed arrostiti. Altro piatto caratteristico è la "sopa de lima", un brodo di pollo assai squisito, il quale viene insaporito a dovere con la limetta. Consiglio inoltre di provare la saporita "carne al pastor". Ovviamente in nessun ristorante mancheranno le tortillas, considerato che il mais era alla base dell'alimentazione dei Maya e che addirittura regolava la vita degli stessi. Il mio consiglio è comunque quello di abituarsi gradatamente alla nuova cucina, spesso assai piccante, fritta e speziata, onde evitare la fatidica "Vendetta di Montezuma", ovvero una forte diarrea. In quel caso, credo che un medicinale tipo il Dissenten sia praticamente indispensabile.
Il periodo migliore per viaggiare nello Yucatan, Quintana Roo e nel Mexico in generale, corrisponde al nostro inverno, in quanto il clima è più fresco, il tasso di umidità contenuto e le precipitazioni scarse. Durante i nostri mesi estivi invece, le temperature sono piuttosto alte, e si riscontra un notevole tasso di umidità. Ne consegue che la maggior parte delle precipitazioni si verificano tra maggio ed ottobre. Questo ovviamente a livello statistico, considerato che nel corso dei nostri due viaggi in agosto, effettuati tra Yucatan e Quintana Roo, abbiamo preso pochissima pioggia, ed abbiamo trovato ovunque un mare altamente spettacolare. Una buona dose di fortuna quindi non guasterebbe per chi si appresta a viaggiare nella nostra estate in questi stati messicani, anche per scongiurare l'arrivo di eventuali uragani, che si abbattono stagionalmente tra fine agosto ed ottobre sulle coste del Caribe.
Noi ci siamo sempre spostati con gli autobus locali, abbastanza economici e confortevoli, che ci permisero di girare tranquillamente lungo la penisola yucateca. Ogni cittadina dispone del proprio terminal, mentre in alcuni piccoli centri l'autobus sarà solo "de paso", di passaggio. Il mio consiglio è quello di prenotare con un certo anticipo gli autobus di prima classe, garantendosi in questo modo l'asiento, ovvero il posto a sedere, sebbene all'epoca del mio viaggio alcune località erano toccate solo da autobus di seconda classe, dove chi prima sale, ovviamente... siede.

Conservo un buon ricordo degli stessi, sebbene ritengo che il miglior modo per muoversi più autonomamente all'interno dello Yucatan e lungo la costa del Quintana Roo, sia quello di noleggiare un'automobile, che ovviamente presenta però l'inconveniente di far lievitare sensibilmente il costo del viaggio. In questo caso occorre prestare particolare attenzione alle numerose "topes", dei dossi sparsi un pò ovunque lungo le principali strade, i quali servono a far appositamente rallentare gli autoveicoli.

Come precedentemente scritto, le attrattive presenti negli stati di Yucatan e Quintana Roo sono praticamente illimitate, pertanto può risultare difficile indicare le cose da vedere, e noi stessi, per appronfondire un pò più questi due stati, vi abbiamo viaggiato due anni consecutivi, non riuscendo tra l'altro a vedere alcuni importanti siti archeologici, che speriamo comunque di visitare in futuro.

Noi pensammo di iniziare il nostro viaggio da Merida, la capitale dello Yucatan, dalla quale, usandola come base, si possono organizzare delle interessanti escursioni. Prima tra tutte quella al principale sito Maya della Ruta Puuc, ovvero Uxmal.

All'epoca del nostro viaggio questo sito era raggiungibile esclusivamente tramite degli autobus di seconda classe, mentre sembra che ora ci sia un autobus che in giornata consente di visitare oltre Uxmal, anche gli altri siti Puuc come Kabah, Sayil, Xlapak e Labnà. Noi non abbiamo avuto la fortuna di visitare gli altri siti Puuc, ma ritengo che Uxmal meriti davvero molto, e credo sia doveroso dedicargli il maggior tempo possibile. Il mio consiglio è infatti di quello di soggiornare nei pressi dei maggiori siti archeologici che si intendono visitare, anche per poter accedervi al mattino presto, ed evitare l'inevitabile ressa dei turisti dei gruppi organizzati, che si creerà a metà mattinata. Altra consiglio che posso dare, è quello di effettuare qualche visita di domenica, in quanto non si paga in tutto il Messico il biglietto d'ingresso nei musei e nei siti archeologici. Un'altra interessante escursione effettuabile in giornata da Merida è quella di Celestun, un piccolo villaggio di pescatori sulla costa del Golfo del Messico, dove, specie nei mesi invernali, è possibile effettuare un ottimo birdwatching, considerato che il posto viene scelto come sosta dai fenicotteri rosa durante la loro migrazione dalle zone fredde del nord, al Sudamerica. A circa metà strada tra Merida e Cancun si trova Chichén Itzà, il sito archeologico meglio restaurato e più conosciuto di tutto lo Yucatan, la cui notevole estensione merita la visita di almeno un giorno pieno.

Adiacenti a uno degli ingressi del sito, sorgono gli alberghi Mayaland e Hacienda Chichén dove abbiamo dormito noi, che consiglio a chi vuole dormire praticamente a ridosso del sito, mentre a qualche chilometro si trova l'hotel Dolores Alba, più distante e per questo anche più economico. Degne di nota a pochi chilometri dalle rovine sorgono le Grotte di Balankanche, dove, oltre a decine di stalattiti, è possibile ammirare numerosi oggetti cerimoniali Maya. Nel corso del nostro primo viaggio, da Chichén Itzà proseguimmo per Cancun, cambiando solo autobus a Valladolid, mentre ci risula che molti viaggiatori si fermano anche per una o più notti in questa piccola cittadina, la quale sembra tutt'oggi conservare la tipica atmosfera yucateca del passato. Nei pressi di Valladolid è possibile visitare lo spettacolare Cenote Dzitnup, una delle maggiori attrattive del circondario. Trasferendoci sulla costa e di conseguenza nello stato del Quintana Roo, il maggior centro turistico per antonomasia è rappresentato dalla città di Cancun, la quale dispone di un battuto aeroporto internazionale. Cancun è una città sorta a tavolino, appositamente progettata per far conferire nelle tasche del governo messicano denaro contante. Le più grandi catene alberghiere sono sorte lungo il paseo Kukulcan, dove si alternano altresì immensi centri commerciali, conferendo al tutto un'immagine artificiale, poco messicana e decisamente kitch. Pur tuttavia, ritengo che si possa tranquillamente soggiornare una o due notti a Cancun, magari usandola come base per visitare qualche attrattiva del circondario, ed inoltre, in alcuni punti come in prossimità dell'hotel El Pueblito il mare è decisamente spettacolare. Con appena una ventina di minuti di traghetto, da Cancun si raggiunge Isla Mujeres, un'isoletta lunga otto chilometri, e larga appena quattrocento metri nel suo punto più ampio. Nonostante venga indicata da molte guide come un posto affollato, a noi l'isola è piaciuta molto, e nel corso del nostro secondo viaggio del 1996 vi abbiamo soggiornato tre notti, constatando che in realtà è molto meno affollata di quanto venga descritto. Incamminandosi sulla sinistra appena sbarcati dal traghetto, con una breve passeggiata si raggiunge Playa Norte, nota anche Playa Cocoteros. Si tratta di una spettacolare spiaggia bianchissima, bagnata da un mare cristallino estremamente calmo, i cui fondali degradano molto lentamente verso il basso, tanto che per farsi arrivare l'acqua alla cintura, occorre camminare per almeno una trentina di metri. La spiaggia è frequentata da giovani viaggiatori, il cui ritrovo serale è costituito da un particolare bar all'aperto, dove si può assistere al tramonto sorseggiando magari una tequila o un margarita.

Anche Playa Lancheros, ubicata a sud del paesino è una spiaggia discretamente bella, mentre degno di nota è il parco nazionale El Garrafon (nella foto sotto), dove è possibile effettuare dell'ottimo snorkeling, sebbene risulti abbastanza battuto nella metà mattinata dagli escursionisti provenienti da Cancun.


Partendo proprio da Cancun in direzione sud, inizia il tratto di costa un tempo noto come El corridor Cancun Tulum, oggi tristemente ribattezzato Riviera Maya, dove stanno sorgendo un pò ovunque complessi alberghieri e villaggi turistici. Nel corso del nostro primo viaggio del '95 sostammo a Playa del Carmen, credendo di trovare il classico villaggio di pescatori del caribe, secondo quanto scritto nelle guide, ma fu per noi una vera e propria delusione, in quanto il posto risultò troppo turistico e confusionario oltre misura. Da Playa del Carmen salpano frequentemente i veloci aliscafi che raggiungono Cozumel, un'isola abbastanza grande, in quanto lunga circa 47 chilometri e larga 15. Cozumel dispone di un aeroporto internazionale e, come Cancun, è frequentata soprattuto da turisti nordamericani, con il conseguente rincaro del costo della vita, ma è anche in assoluto uno dei migliori posti al mondo dove effettuare immersioni subacquee e snorkeling. I fondali di quest'isola sono infatti ricchissimi di fauna, ed anche semplicemente gettando delle briciole di pane in acqua, si potranno vedere decine e decine di pesci.

Qui, la cosa migliore è quella di noleggiare una piccola auto o un motorino e girare in tranquillità l'isola. La costa occidentale è la più frequentata e la più adatta alla balneazione, in quanto possiede acque tranquille, mentre il versante orientale è più roccioso, ed alterna calette in cui è possibile nuotare e far snorkeling, a tratti in cui il mare presenta delle gigantesche onde. Sulla costa occidentale sorge San Miguel, un paesino dotato di molti servizi quali banche, ristoranti, negozi, etc. Sono molte le spiagge del versante ovest, tutte lambite da un mare dalle incredibili trasparenze,

ed una menzione particolare merita il parco di Chankanab, costituito da una splendida laguna naturale collegata al mare tramite delle gallerie sotterranee. Anche l'adiacente baia è altamente spettacolare, e particolaremente indicata a chi pratica snorkeling, in quanto è presente un'attigua barriera corallina che degrada in profondità dai 2 ai 16 metri. Altra bella spiaggia degna di nota, dove è sempre possibile praticare dell'ottimo snorkeling è la Playa San Franciso, situata a sud del Chankanab Park. Vale la pena di ricordare inoltre che sull'isola di Cozumel sono presenti alcune piccole rovine Maya, in quanto l'isola era meta di pellegrinaggio delle donne, che venivano a venerare Ixchel, la dea della fertilità. Tornando sulla costa, altro posto famoso e meritevole di soggiornarvi è secondo me Akumal, la cui bella baia è protetta dal reef che lambisce la costa, rendendola quindi davvero adatta allo snorkeling ed immersioni subacquee, e, come ci è personalmente capitato, non è affatto raro nuotare indisturbati assieme a splendidi esemplari di tartaruga. Ancora a sud di Akumal s'incontrano le rovine Maya di Tulum, la cui particolarità è quella di cadere a picco sul mare, che in questo punto assume generalmente dei colori davvero incredibili. All'epoca del nostro primo viaggio, a sud di Tulum c'era praticamente il nulla, in quanto esistevano solo un paio di posti in cui dormire in prossimità della spiaggia, e noi stessi soggiornammo in uno spartano complesso costituito da semplici bungalow, dove non c'era nemmeno l'energia elettrica. Ora è il posto più in voga del Quintana Roo, e le cabanas pullulano letteralmente, con il conseguente lievitamento dei prezzi. Comunque sia, ritengo Tulum un'ottima località in cui soggiornare, anche per effettuare interessanti escursioni giornaliere, come quelle alle rovine Maya di Cobà, situate ad una cinquantina di chilometri verso l'interno, e alla spettacolare riserva di Sian Ka'An, una zona protetta di circa 528 mila ettari, che annovera in totale qualcosa come trecento specie diverse di uccelli, oltre ad altri animali rari come ad esempio gli alligatori. La zona a sud, verso Punta Allen è ancora poco frequentata, ed in cuor mio spero che lo sarà ancora per molto e non ricalchi in alcun modo lo spietato sfruttamento edilizio perpetuato nel tratto di costa compreso tra Tulum e Cancun. Nel nostro primo viaggio, grazie al fortunato incontro avvenuto con due statunitensi, arrivammo fino a Xcalak, un piccolo paesino situato praticamente a ridosso dell'isola beliziana di Ambergris Caye, il quale era davvero poco turistico, in quanto abbastanza difficile da raggiungere. Salpando da Xcalak, in appena un'ora di barca si raggiunge il Banco Chinchorro, un imponente e spettacolare banco corallino, dove effettuare un sensazionale snorkeling e delle meravigliose immersioni subacquee.


Il mio racconto di viaggio

Il presente racconto fa parte di una recensione di un viaggio della durata di un mese, iniziato e conclusosi a Cuba.

Se volete leggere la parte iniziale del racconto in terra cubana cliccate qui


16 Agosto 1995: "El Mundo Maya"

Il mattino seguente alle otto in punto, lasciamo Cuba con un volo della Mexicana de Aviacion per dirigerci in Messico, un paese che da sempre ci ha attratto. Alle otto ora locale (due ore in meno rispetto a Cuba), atterriamo a Merida, la capitale dello stato dello Yucatan, culla del mondo Maya. Dopo dieci giorni trascorsi a Cuba, l'aeroporto di Merida risveglia in noi con le sue pubblicità luminose, il ricordo leggermente assopito dell'Europa. Il nostro lussuoso Hotel "Casa del Balam", un tempo casa di ricchi proprietari terrieri locali, è letteralmente eccezionale con il suo patio interno in stile coloniale spagnolo circondato da piante altissime, fontane, e sedie a dondolo in legno pesante. Le sue enormi camere sono arredate con mobili neri e sulle pareti adiacenti i due grandi letti rivestiti da spettacolari coperte azzurro scuro, spiccano due enormi crocifissi. Davvero un'atmosfera del tempo che fu. Intorno alle nove del mattino ci rechiamo nello spettacolare zocalo (la piazza principale della città), il quale è circondato da alberi, innumerevoli panchine in ferro battuto,


ed è sovrastato dalla mole dell'enorme Cattedrale, la cui costruzione iniziò nel 1561, con le pietre del locale tempio maya distrutto dagli spagnoli. All’interno della stessa troviamo la statua del “Cristo de las Ampollas”, la quale secondo quanto narra la leggenda, fu scolpita nel legno di un albero che, dopo esser stato colpito da un fulmine, arse ma non si distrusse. La statua si salvò in seguito anche dall’incendio della prima chiesa dove venne collocata, ma su di essa apparvero dei segni simili alle vesciche procurate da una scottatura, divenendo in questo modo un caloroso oggetto di culto. In un altro lato dello zocalo, si erge maestoso il palazzo del governo, sulla cui sommità, sovrapposto all’intensissimo cielo azzurro contornato da nugoli di candide nuvole, svetta il tricolore messicano. Entriamo all’interno del palazzo, dove osserviamo i colorati murales di un artista locale chiamato Fernando Pacheco, i quali illustrano la storia dei maya. Altro edificio di spicco sulla piazza è la casa dei conquistatori dello Yucatan, la famiglia Montejo. All’interno del palazzo è collocata una filiale della Banamex, e ne approfittiamo per prelevare un po’ di pesos dall’adiacente bancomat. Il palazzo in se stesso, la cui costruzione risale grosso modo alla metà del 1500, non sarebbe niente male se non fosse per la sua facciata, sulla quale sono rappresentati i “conquistadores” che tengono i propri piedi sul collo dei maya, sostanzialmente a simboleggiare il proprio dominio. Gironzolando nella piazza, si denota subito un'evidente differenza con la vicina e decadente Havana, in quanto questa città di Merida, ad un primo impatto somiglia molto ad una nostra cittadina di provincia, sebbene un pò più caotica.

Continuando a passeggiare per le sue strade, ci si rende però conto che, sebbene ci siano tutti i segni del progresso, quali banche, grandi automobili, cartelloni pubblicitari, ristoranti e bar, ci sono anche evidenti segni di indiscutibile sottosviluppo e povertà, primi fra tutti la miriade di mendicanti e storpi che si aggirano per la città. In breve tempo vediamo gente con delle malformazioni tali che non abbiamo mai visto in vita nostra, anziani elemosinare fuori dalle chiese, ospedali con la simbolica scritta "economico", bambini lustrascarpe disseminati ad ogni angolo della città. Qui il sistema economico è simile al nostro, qui vige il capitalismo, ma praticamente quasi non esiste una classe media, in quanto o si è ricchi in strettissima minoranza, o si è molto poveri in larghissima maggioranza. Beh, a questo punto, credo che sarebbe superfluo chiedersi chi comanda il paese.

Dopo aver girovagato un pò per questa città, la quale manifesta tutti i suoi limiti di bellezza appena ci si allontana dal centro costituito in pratica dalla zocalo e dall’adiacente Parque Hidalgo, ci rechiamo intorno a mezzogiorno al mercato municipale. Il caldo tropicale, associato al notevole smog, creano un cocktail niente male. Intorno al mercato si vede più colore, un pò più di Messico autentico, quel Messico che il turista occidentale immagina, quel Messico fatto di donne Maya vestite con i loro caratteristici e candidi huipiles occupate a vendere i propri prodotti, i loro frutti a noi praticamente sconosciuti, i loro splendidi tessuti, quel Messico fatto di suoni, musiche, ed intensi profumi. Riesco fortunatamente ad accorgermi di un losco individuo, che fissa con avidità il mio marsupio ancorato in vita. Mentre ci avviciniamo al mercato, continuo a tenere d'occhio il messicano, il quale ci cammina davanti, girandosi di tanto in tanto per guardarci. Poco prima di entrare nel mercato coperto (il quale vale la pena precisarlo, non è un mercato turistico dove si vendono souvenirs, ma un mercato locale), nel mezzo di una confusione pazzesca dovuta ai clacson delle automobili in coda, e alle urla dei vari venditori, chiedo a mia moglie di fermarsi e ci sediamo sul ciglio di un marciapiede, continuando a guardare il nostro amico. Non mi ero sbagliato, poiché dopo un paio di minuti, questi vedendo che ci eravamo fermati, torna indietro invitandoci addirittura ad entrare nel mercato, ma viene immediatamente allontanato con toni intimidatori da alcuni poliziotti di pattuglia, i quali ci invitano a prestare attenzione, poiché sembra che nel mercato si siano verificati numerosi episodi di furti ai danni dei turisti. Il tale era un pò troppo sospetto, anche per la proverbiale ospitalità messicana.

Decidiamo quindi di tornare in hotel, al fine di lasciare tutto ciò che potrebbe far gola ad eventuali malintenzionati, e visitare senza contrattempi il caratteristico mercato di Merida. In hotel facciamo due conti, constatando che le nostre finanze sono già state abbondantemente intaccate nei dieci giorni trascorsi a Cuba, dopodiché pensiamo che potremmo mai perdere l'occasione di pranzare in uno spettacolare patio fresco e ventilato, come quello della "Casa del Balam"? Hamburgesa "bien cocida" per il sottoscritto, ed un "platillo de fruta" per la consorte. Lascio circa cinque pesos (1.000 lire) di mancia al cameriere, non disponendo di altra moneta, ma questi me li restituisce ridendo sarcasticamente, e facendomi osservare che la mancia nei ristoranti “de lujo” in Messico, ammonta al dieci per cento del conto, ovvero nel nostro caso a 6 pesos (1.200 lire). Confesso che restiamo interdetti. Ma dov’è finita la signorilità dei camerieri cubani? In seguito, dopo aver lasciato il marsupio (che non porterò mai più con me), e con solo pochi spiccioli in tasca, torniamo al mercato, dove possiamo girovagare indisturbati tra le molteplici e particolari merci in esposizione, senza il pericolo di essere molestati. Terminata la nostra visita, attraversiamo praticamente a piedi l'intera città, per arrivare alla stazione degli autobus, dove acquistiamo un biglietto per il giorno seguente per Uxmal, una delle più belle e famose rovine della civiltà Maya, distante da Merida circa ottanta chilometri. Nella stazione, straziati dal caldo tropicale di Merida, ci sediamo dissetandoci con una Sprite, la cui lattina vuota, con nostro grande stupore, sarà oggetto di contesa tra diverse persone. La sera, dopo aver girovagato ancora una volta nei dintorni dello zocalo, ed aver fatto qualche piccolo acquisto, ceniamo in uno dei ristoranti più popolari e caratteristici di Merida chiamato Tiano's, dove assaggiamo la "Cochinita Pibil", uno dei piatti più famosi dello Yucatan, costituito dal maialino da latte cotto nella salsa achiote, (composta da succo di arance amare, cipolle, coriandolo e sale), assieme ad aglio, cumino, pepe nero, ed infine avvolto in foglie di banane e arrostito.

La nostra prima sera in Messico, scivola ad un tavolo sotto un cielo stellato, circondati da venditori di amache, da piccoli bambini dai grandi occhi bruni intenti a vendere i loro tipici braccialetti colorati, da altri viaggiatori stregati come noi dalla magnifica atmosfera creata dal suono della "marimba", il particolare xilofono assai diffuso nello Yucatan e Guatemala.

Il mattino seguente, intorno alle otto, partiamo con un autobus di seconda classe per Uxmal, vecchia città maya in stile Puuc, dal nome delle basse colline circostanti. Alcuni studiosi sostengono che lo stile “Puuc”, sia tra gli stili architettonici più puri dei maya, cioè senza influenze da altri popoli, come nel caso di Chichén Itzà, l’altro sito archeologico che visiteremo domani, il quale secondo quanto leggiamo, mostra chiare influenze tolteche. Nello stile Puuc, a copertura delle grezze mura di pietra, gli architetti Maya usavano delle mattonelle intagliate, una specie di tessere di mosaico sulle quali venivano finemente rappresentate alcune figure sacre, inoltre le costruzioni presentano altri splendidi dettagli come pregevoli fregi ornati e cornicioni finemente lavorati. Insomma, sembrano attenderci delle autentiche meraviglie. Sull’autobus in partenza, oltre ad altri turisti come noi, salgono decine di donne Maya, le quali stipano nel portapacchi sottostante vari generi di mercanzie come ortaggi, sacchi di patate e mais, tacchini. Dopo circa un'ora e trenta di viaggio, veniamo lasciati sulla strada per le rovine, dove veniamo assaliti da un branco di fameliche zanzare. Sant'Autan, pensaci tu!!!

Varcato il cancello d'ingresso, si resta completamente colpiti dalla grandiosità della principale rovina di Uxmal: la piramide del mago.

Una volta superato il vero e proprio shock emotivo, provocato dalla sensazionale vista della piramide dai bordi “avvolti” che le conferiscono una particolare forma semiellittica, e scattata qualche irrinunciabile foto, ci accingiamo a scalarla, constatando subito, che l'impresa non sarà poi così facile. Infatti, gli innumerevoli gradini che dividono il suolo dalla cima della piramide, situata ad una quarantina di metri di altezza, sono incredibilmente ripidi e con pochissimo spazio su cui appoggiare i piedi per consentire la salita. Ci sono anche delle catene appositamente posizionate ai lati della scalinata, per aiutarsi soprattutto nella discesa. La difficoltà della scalata, è inoltre aumentata dai problemi che ha, chi come mia moglie soffre di vertigini.

Comunque, dopo qualche peripezia e con un gran fiatone, riusciamo a raggiungere la cima della piramide, dove troviamo il portale che raffigura la bocca spalancata di Chac, il dio Maya della pioggia dal grande naso allungato. Dalla sommità della piramide si può godere di una spettacolare vista dell'intero sito archeologico, completamente circondato dalla foresta. E' veramente bella Uxmal, ed è affascinante contemplare lo stupendo paesaggio circostante in tutta tranquillità, seduti sulla cima della piramide del mago, leggendo con calma qualcosa sui Maya, sulla loro storia, attorniati da viaggiatori di varie nazionalità. Si ha la sensazione non trascurabile di essere cittadini del mondo, di avere qualcosa in comune con ognuna di queste persone, che come noi hanno affrontato ore ed ore di aereo, spesso con notevoli sacrifici anche economici, per arrivare in cima a questa piramide persa nella foresta, per sognare ad occhi aperti dopo una faticosa scalata, qui, ad Uxmal.

In circa cinque ore (un pò pochine per la verità), scaliamo e scopriamo le altre principali rovine dello splendido sito esteso approssimativamente su cento ettari. Visitiamo il “quadrilatero delle monache”, splendido edificio quadrangolare circondato da mura, il quale conta ben 74 stanze. Anche qui, sulla facciata dei quattro templi che formano il quadrilatero, è chiaramente visibile dappertutto il terribile volto del veneratissimo dio Chac, la cui importanza per i maya è ricollocabile presumibilmente alla scarsità di acqua sulle adiacenti colline Puuc.


Proseguendo sulla stradina a sud del “Quadrilatero”, incontriamo il piccolo campo da gioco della palla, meglio noto come “Ulama”. Era un gioco crudele, religioso, rituale, tipico delle popolazioni mesoamericane. Il campo a forma di I maiuscola, delimitato sui lati da lunghe gradinate destinate al pubblico, rappresentava presumibilmente il mondo, mentre la traiettoria della palla veniva accomunata a quella del sole e della luna nel loro avvicendarsi tra giorno e notte, luce e oscurità. Al centro del campo, su entrambi i lati, a circa sette-otto metri di altezza, sono posizionati degli anelli in pietra finemente scolpita, raffiguranti Quetzalcoatl il terribile dio serpente piumato degli Aztechi, noto presso i maya con il nome di Kukulkan. Attraverso questi cerchi doveva passare una pesante palla in caucciù, la quale poteva essere colpita dai partecipanti solo con le anche, protette da apposite imbottiture di cuoio. Era un cruento gioco tra i vari partecipanti, dove in palio c’era la vita. Chi perdeva veniva sacrificato agli dei, sempre avidi di nuove immolazioni. Mentre ci allontaniamo dal campo da gioco della palla, riflettiamo scherzando sull’altra teoria diffusa da alcuni studiosi, i quali sostengono che veniva sacrificato agli dei colui che vinceva il gioco, ed il tutto ci sembra decisamente bizzarro.

Visitiamo in seguito il “palazzo del governatore”, magnifico edificio costruito su tre piattaforme ottimamente conservato, il quale misura circa cento metri di lunghezza e presenta ben undici entrate. A differenza degli altri, esposti verso ovest, questo è’ anche l’unico edificio del complesso rivolto ad est, probabilmente per il fatto che lo stesso veniva usato dai grandi astronomi Maya per osservare il pianeta Venere. Sulla parte superiore ammiriamo neanche a dirlo, un’estesa serie di bassorilievi raffiguranti le ennesime maschere del dio Chac. Adiacente alla costruzione troviamo la “casa delle tartarughe”, un piccolo edificio così chiamato dagli archeologi a causa di un sfilata di tartarughe scolpite con i loro gusci sul cornicione superiore. Tra una pausa e l'altra, con un pizzico di fortuna scorgiamo anche degli animali caratteristici, assai diffusi nelle rovine, come alcune gigantesche iguane, e delle particolari lucertole color verde smeraldo. Dopo aver visitato la “gran piramide”, e la “colombaia”, altre rovine che non ci hanno particolarmente entusiasmati, intorno alle quindici usciamo dal complesso archeologico, ed in attesa di prendere l'autobus per il ritorno a Merida, girovaghiamo un pochino, tra le varie bancarelle gestite da donne di origine Maya.

Visto che non esiste una stazione, occorre comperare il biglietto dell'autobus direttamente dal conducente, il quale assegna i pochi posti a sedere, probabilmente a simpatia. Difatti, la prima volta che mi rivolgo a lui, mi dice che i posti a sedere sono terminati, ma dopo aver parlato con un ragazzo italiano dalla straordinaria rassomiglianza con un nostro vecchio compagno di classe, il quale mi ha detto di aver visto l'autista consegnare ad alcune persone i biglietti con "l'asiento", torno dal messicano con un grandioso colpo di genio. Infatti, con una parte da grande attore, quale credo di esser sempre stato, gli dico che ci ha assegnato dei posti in piedi per un tragitto di un'ora e mezza, nonostante mia moglie si trovi in stato interessante. Il tizio scusandosi, mi sostituisce immediatamente i biglietti, assegnandomi i posti, cosa che deve aver letteralmente fatto impazzire il sosia del nostro vecchio compagno, visto che quando gli ho mostrato i biglietti numerati (ovviamente senza raccontargli l'espediente usato per ottenerli), questi si è diretto con istinto omicida verso l'autista, protestando come una furia. Prima di salire sull'autobus parlo un pò con il ragazzo italiano, scambiandoci le impressioni di viaggio e resto affascinato dal suo itinerario in Messico, raccontandogli a mia volta qualcosa su Cuba. Credo che il bello del viaggiare, sia anche questo. Dopo un tragitto più lungo del previsto, con le persone esauste, coricate persino sul fondo dell'autobus, arriviamo a Merida verso le cinque del pomeriggio e girovaghiamo per le sue spoglie e polverose strade. Il percorso a piedi, dalla stazione degli autobus allo zocalo, mostra l'aspetto genuino di questa città, con i negozi che al posto dell' insegne, hanno le scritte verniciate sui muri, con dei piccoli locali dove a qualsiasi ora mangia la gente del posto, con delle pittoresche chiesette, con alcune fumose cantinas. Facciamo una breve sosta da Tiano's assaggiando per la prima volta il cocktail nazionale, cioè il "Margarita", mentre la sera ceniamo al ristorante Los Almendros, dove gustiamo il “pavo relleno negro”, ossia tacchino ripieno di carne di maiale notevolmente speziata e ricoperto da una salsa scura, che accompagniamo con delle squisite e calde tortillas, ed annaffiamo con la locale birra “Montejo”. Ci addormentiamo, con il pensiero rivolto alle autentiche meraviglie che abbiamo contemplato in giornata. Il giorno seguente (18 di Agosto), alle 7,30 lasciamo definitivamente Merida in autobus di prima classe, per dirigerci alla volta di Chichén Itzà, le rovine Maya più famose di tutto lo Yucatan. Chichén Itzà rappresenta la fusione architettonica di più culture, dove ad esempio, i fregi decorativi dello stile “puuc” si fondono con gli elementi squadrati e le piattaforme dei toltechi, il bellicoso popolo proveniente dal Messico centrale, la cui capitale era Tula, situata a nord di Città del Messico. In realtà sembra che la città sia stata costruita ben tre volte, la prima delle quali dovrebbe risalire al quinto secolo dopo Cristo, su uno stile molto simile al Puuc, come si evidenzia in alcuni edifici dalle diverse effigi del dio della pioggia Chac. Nel corso dei secoli fu abbandonata e riscoperta sia dai Maya di lingua itzà, provenienti dalla regione del Tabasco, sia dai Toltechi del Messico centrale. Dopo circa due ore e trenta di viaggio, scendiamo dall'autobus, che proseguirà la sua corsa verso la cittadina di Valladolid, e dopo aver acquistato il biglietto d’ingresso, attraversiamo bagagli in mano tutto il percorso che si snoda attraverso le rovine, rimanendo ammutoliti dinnanzi la maestosità degli splendidi siti. Con fretta depositiamo i bagagli nel nostro albergo chiamato Hacienda Chichen (che abbiamo riservato grazie all’hotel di Merida) posizionato appena fuori il complesso archelogico, per avventurarci intorno alle 10,30 in questa vasta area, testimone in pieno, dello splendore della civiltà Maya. Scaliamo per primo "El Castillo", la principale piramide del luogo alta circa 25 metri, nota anche come piramide di “Kukulcan”, meno “pericolosa”, ma altrettanto spettacolare della piramide del mago di Uxmal.

Sotto una delle quattro facciate notiamo una lunga fila alla quale ci accodiamo, perché “El Castillo” contiene al suo interno un’altra piramide, dove ammiriamo tra l’altro una scultura di un giaguaro di giada dipinta di rosso. Ma forse la più importante particolarità della “Piramide di Kukulcan”, la cui somma dei gradini delle quattro facciate e della piattaforma in cima, corrisponde ai 365 giorni del calendario Maya, consiste nel singolare fatto che negli equinozi di primavera e autunno, grazie alle grandi conoscenze astronomiche dei Maya, abili nel calcolare la posizione del sole rispetto alla terra, la stessa riflette sul terreno un'ombra raffigurante un serpente strisciante. L’enorme statua in posizione distesa del Chac Mool, il dio che tiene tra le mani una ciotola destinata a raccogliere i cuori pulsanti appena strappati dalle vittime sacrificate, sembra vegliare imperterrito sulle orde di turisti che si accingono a scalare la “piramide di Kukulcan”. Alle sue spalle visitiamo il “tempio dei guerrieri”, vicino al gruppo delle “mille colonne”, sulle quali sono scolpite immagini di guerrieri armati, e dalle quali arriviamo ad un edificio che si pensa avesse la funzione di un mercato.

Gli studiosi sostengono che il “tempio dei guerrieri” presenti delle profonde analogie con il tempio tolteco di Tula, grazie alle colonne costituite da serpenti piumati, e dai motivi raffiguranti alcuni animali come i giaguari in cammino, i puma, e soprattutto le aquile che simboleggiavano gli ordini militari presenti negli altipiani messicani. Chichén Itzà a mio modesto parere, è indubbiamente più bella e grandiosa rispetto ad Uxmal, ed infatti l’intera giornata che le dedicheremo sarà insufficiente, considerata l'estensione della città. Una menzione particolare merita l'enorme campo del gioco della palla presente a Chichén Itzà, il più grande rinvenuto in tutto il Messico, dove navigando con la fantasia, si possono immaginare le gare che vi si svolgevano, nelle quali era in palio la vita, che poteva essere sacrificata agli dei in caso di sconfitta (o di vittoria secondo altre teorie).

Le mura intorno al campo sono piene di scene scolpite raffiguranti sacrifici, dove dalle teste decapitate delle vittime fuoriescono rivoli di sangue che si trasformano in teste di serpente, e parlando a bassa voce da un’estremità all’altra, a causa di un singolare fenomeno acustico, è possibile udire chiaramente le parole. Il campo che stiamo visitando, è solo uno degli otto presenti a Chichén Itzà, e questo credo che possa dirla lunga sull’ossessione che i Maya provassero per questo gioco.

Mentre passeggiamo tra gli scavi, il tempo che fino a questo punto del nostro viaggio è stato più che generoso con noi (considerando che Agosto in Messico non è proprio la stagione più indicata), si ricorda di mandar giù un pò d'acqua, che ci costringe a ripararci sotto alcune rovine, in compagnia di alcuni bambini di origine Maya. Questi, assieme alle proprie madri, vendono per pochi pesos oggetti d’artigianato, frutta, e bibite, all'interno del vasto complesso archeologico. Fa riflettere il fatto che questi bambini, per la maggior parte scalzi e mal vestiti, siano i diretti discendenti di coloro che con grandioso ingegno architettonico, edificarono secoli fa questi edifici che attraggono ogni anno migliaia e migliaia di visitatori da ogni parte del mondo. Comunque la pioggia dura meno del previsto, consentendoci di ammirare in pieno le principali meraviglie del posto, come il tempio dell'uomo dalla barba, nel quale è presente un bassorilievo che raffigura chiaramente un uomo barbuto (che riporta alla mente le numerose leggende circa l’uomo venuto dal mare, adorato da molte civiltà mesoamericane),

lo “Tzompantli”, un tempio di pietra nei quali sono scolpiti dei teschi umani e la “Piattaforma dei giaguari e delle aquile”, dove sono raffigurati questi animali che si accaniscono su dei corpi umani. Da qui imbocchiamo una stradina che ci conduce direttamente al “Sacro Cenote”, un largo pozzo profondo più di trenta metri, dove sono stati rinvenuti scheletri di donne, uomini e bambini, probabilmente sacrificati alle terribili ire dei sanguinosi dei locali. Nelle viscere del “cenote” sono stati ritrovati anche vari tesori d’oro e di giada, alcuni dei quali è stato dimostrato con certezza che provenissero da regioni molto remote. Sulla via del ritorno, poco prima di raggiungere la “piazza principale” del sito archeologico, troviamo un banchetto di un ragazzo che espone bei pezzi di artigianato locale, il quale farà la felicità di mia moglie, che riprenderà il suo cammino con appeso al collo uno splendido medaglione in argento, sul quale è stato finemente inciso il calendario Maya su entrambi i lati. Chichén Itzà è talmente vasta (circa dieci chilometri quadrati), che per visitarla tutta in maniera adeguata, credo occorrano almeno tre o quattro giorni pieni, e non riesco a spiegarmi, cosa poi traggano di positivo quelle persone (provenienti per la maggior parte da Cancun e Cozumel), che con un'escursione di un paio d'ore visitano il sito, affollandolo tra l'altro nelle ore centrali della giornata. All'orario di chiusura, mentre la città si sta colorando del rosso del tramonto, rimanendo praticamente deserta, noi ci rifugiamo nel nostro Hotel, immerso nell’adiacente foresta che circonda Chichén Itzà, facendoci un superbo bagno in piscina e ritornando alle rovine intorno alle sette, quando viene effettuato uno spettacolo di luci e suoni per i pochi turisti che soggiornano sul posto. Considerato inoltre che il povero villaggio di Piste nelle vicinanze, offre ben poco, decidiamo di cenare con una buona bistecca alla parrilla con contorno di fagioli fritti nel nostro Hotel, che in passato è stato tra l'altro, tradizionale Hacienda messicana, consolato degli Stati Uniti d'America, nonché abitazione degli archeologi, che per primi scoprirono Chichén Itzà. Mentre la foresta circostante comincia ad animarsi di misteriosi rumori, che giungono sino al nostro tavolo, ci accingiamo ad addormentarci nella città che ha ospitato una delle più importanti e misteriose civiltà di tutte i tempi: i Maya. Il mattino seguente, dopo un'abbondante ed ottima colazione, rientriamo alle rovine per completare, seppur sommariamente la visita, facendoci tra l'altro intagliare per pochi pesos, una statuetta in legno raffigurante Yum-Kaax, il dio Maya del mais, da un giovane ed abile indio. Siamo praticamente soli, e ampiamente soddisfatti della giusta scelta di aver dormito nelle vicinanze. Riscaliamo in completa solitudine la “piramide di Kukulcan”,


dopodiché imbocchiamo un piccolo sentiero che conduce dapprima ad una fatiscente piramide chiamata “ossario”, all’interno della quale furono trovati i resti di quello che fu presumibilmente un sacerdote, ed in seguito, dopo aver superato altre piccole rovine semisommerse dalla vegetazione, raggiungiamo “El Caracol”, l’osservatorio di due piani che ricorda nella forma circolare una chiocciola. Ci sono diverse finestre orientate nella direzione dei punti cardinali, praticamente a dimostrazione che le stesse venivano usate degli abili astronomi Maya che, probabilmente al fine di conoscere con precisione i periodi della semina, ed ingraziarsi a dovere i propri dei allo scopo di favorire le stagioni e propiziare dei buoni raccolti, seppero elaborare negli anni il loro praticamente perfetto calendario di 365 giorni.

In seguito rientriamo in hotel, dopodiché, preparati i nostri bagagli, ci dirigiamo in taxi alla stazione degli autobus di Piste, distante un paio di chilometri. La nostra prossima destinazione, sarebbe dovuta essere la cittadina di Playa del Carmen, sul caribe messicano, ma il giorno precedente abbiamo verificato che non ci sono autobus in partenza da Piste per tale località, ed abbiamo quindi deciso di prendere l'autobus delle undici con “destino” Cancun, al fine di non rischiare di non trovar posto sugli autobus "de paso" diretti a Playa del Carmen. In circa tre ore di viaggio, giungiamo in quella che al giorno d'oggi, è la località turistica più famosa dell'intero Messico. Dalla stazione degli autobus, raggiungiamo in taxi dopo un'estenuante contrattazione l'Hotel El Pueblito, situato quasi alla fine dei venti chilometri della bianchissima e sottile striscia di sabbia sul Mar dei Caraibi, che costituisce la "zona hotelera" di Cancun. Ci è stata riservata telefonicamente una camera a buon mercato, da un impiegato dell'Hotel Hacienda Chichen, il quale è riuscito a trovarla solo dopo aver effettuato vari tentativi , considerato che Cancun non si contraddistingue certo per la sua economicità. Per fortuna l'hotel si dimostra ottimo, con personale simpatico ed accogliente e con una buona spiaggia sul turchese Mar dei Caraibi, che qui sembra particolarmente bello. Trascorriamo un pomeriggio da sogno, godendoci il bellissimo mare trasparente, dalle tonalità impossibili da descrivere, leggermente mosso, ed usufruendo in pieno di tutte le comodità offerte dall'Hotel, come il bar situato proprio dentro la bella piscina, tra l'altro piena zeppa di americani che si divertono come bambini.

Intorno alle diciotto, dopo una gradevole “Pina Colada”, prendiamo un minibus per andare a visitare i giganteschi centri commerciali di Cancun, dove lo shopping ed i "born in the U.S.A." la fanno solennemente da padroni. Qui, incredibilmente, troviamo anche dei commessi che sembrano non capire (o non vogliono) lo spagnolo, chiedendoci nel loro inglese “messicaneggiante”: "Do you not speak english"? E' il rovescio della medaglia, l'altra faccia del nostro viaggio. Qui gli sbiaditi ideali non contano, qui tutto è in funzione del fantomatico..... “dio dollaro”. Ceniamo in un caratteristico ristorantino frequentato prevalentemente da messicani, in Avenida Cobà nella vecchia Cancun, chiamato "El Tacolote", dove gustiamo una faraonica “parillata” mista di carne, riuscendo tra l'altro ad assaggiare la fatidica carne "al pastor", che immancabile nei localini di Merida, aveva stuzzicato la nostra curiosità. La carne "al pastor", consiste in deliziose sottili striscie di carne di color rosso fuoco, unite l'un l'altra in un enorme cono posizionato ad arrostire su uno spiedo verticale, la quale viene usata dai locali, soprattutto come ripieno per i tacos. Dopo questa cena, che avrebbe sfamato anche un leone, compriamo dei dolci in un supermarket, dopodiché in una ventina di minuti, raggiungiamo il nostro Hotel, con uno dei tanti minibus che collegano 24 ore su 24, la zona hotelera al centro della vecchia Cancun. L’indomani, dopo una goliardica colazione a buffet nel bar adiacente la piscina dell'hotel, ci godiamo in mattinata per l'ultima volta il mare di Cancun, prima di partire nel pomeriggio in autobus, alla volta di Playa del Carmen. Secondo i nostri studi, avremmo dovuto conoscere la tranquillità del tipico villaggio messicano del caribe, ma appena scendiamo dall'autobus, alla stazione di Playa del Carmen ci rendiamo conto che il turismo di massa, tra l'altro prevalentemente italiano, ha fatto proprio questo posto. Appena presi i bagagli nella pancia dell’autobus, all’interno della stazione un giovane messicano ci avverte che tutti gli Hotel del paese sono pieni, consigliandocene uno (l'unico disponibile), dove ci avrebbe accompagnato lui stesso. Noi, malfidati più che mai, lo snobbiamo addentrandoci sulla strada situata a sinistra dall’uscita della stazione, mettendoci alla ricerca di un alloggio. Dopo vari tentativi falliti, stanchi per il notevole peso dei bagagli, ed in preda allo sconforto, decidiamo che mi sarei mosso da solo, mentre mia moglie mi avrebbe aspettato seduta su un marciapiede, custodendo i bagagli. Provo dappertutto, dagli hotel alle semplici cabanas sul mare, ma è tutto pieno. Italiani ovunque, turisti su turisti. Trovo solo due sistemazioni: un bungalow sul mare a 100 dollari americani per notte, ed una squallida capanna dal tetto in paglia, completamente isolata, il cui proprietario mi dice che, nel caso avessi accettato, avrei potuto tranquillamente prenderne possesso anche in sua assenza, pagandogli all'indomani la "modica" somma di circa cinquantamilalire. Mentre ormai sono le diciotto, sconfortato più che mai, raggiungo velocemente mia moglie e torniamo a testa bassa dal ragazzo della stazione degli autobus, il quale molto cortesemente, ci accompagna in questo hotel di sua conoscenza, che poi non è altro che una casa privata di una famiglia messicana, quella che qui semplicemente tutti chiamano "posada". Paghiamo alla proprietaria l'equivalente in pesos di circa trentamilalire, per l'uso di due notti di una stanza ben pulita, con bagno privato e ventilatore a soffitto. Desterà curiosità il fatto che, mentre la moglie risulterà molto affabile ed attiva, in questi due giorni vedremo sempre il marito costantemente spiaccicato sul divano a guardare la televisione. Che sia una forma del tanto decantato "machismo" messicano? Una volta posati i bagagli, andiamo a passeggiare poco prima del tramonto sulla bianca spiaggia di Playa del Carmen, giungendo fino al villaggio turistico denominato "Shangri-La Caribe", dove seduti in riva al mare, mangiamo un paio di arance portateci dietro da Cancun. La sera, passeggiando lungo la strada principale, abbiamo modo di constatare ancor più quanto il paese sia turistico e quanto massiccia sia la presenza, dei turisti dello "stivale". Il luogo nel quale cercavamo la tranquillità, risulta ancor più affollato di alcune zone della stessa Cancun, così mentre cediamo alla prima nostalgia culinaria del nostro viaggio, sedendoci ad un ristorante che inneggia alla nostra italica cucina, capiamo entrambi di non sentir nostro questo posto e decidiamo di spostarci verso un'altra meta non programmata, un altro luogo da scoprire, nel nostro peregrinare attraverso lo stato dello Yucatan. La croccante focaccia bianca e le dolciastre linguine ai frutti di mare, di cui il piatto è letteralmente cosparso, ci riportano alla mente (come sempre facciamo dopo un periodo di assenza più o meno lungo dall'Italia), i nostri piatti favoriti, ed iniziamo così una sorta di masochista revival, che accresce drasticamente la nostra fame. A stomaco pieno, dopo aver pagato un conto veramente irrisorio per ciò che abbiamo consumato, sazi e soddisfatti anche per un piatto di pasta che in Italia non mangeremmo mai, effettuiamo una breve passeggiata, soffermando la nostra attenzione prevalentemente su qualche negozietto, dove finiamo inevitabilmente per comprare qualcosa. La notte non riusciremo praticamente a chiudere occhio, in quanto al caldo asfissiante, si aggiungeranno le grida di baldoria provenienti dai locali sulla strada, ed un paio di ubriachi che tenteranno di intrufolarsi nella nostra camera, probabilmente confondendola con la loro. Il mattino seguente di buon'ora, assonnati più che mai, attraversiamo la deserta strada principale del paese (desta impressione vederla così), recandoci dopo colazione alla stazione degli autobus, dove facciamo la conoscenza della coordinatrice delle attività turistiche, svolte da quei ragazzi messicani, del quale fa parte anche il giovane amico che ci ha trovato l'alloggio. Monica, questo è il suo nome, è un'italiana venuta qui in vacanza nel mese di Aprile, ed innamoratasi del posto a tal punto, che ha deciso di viverci aprendovi un'agenzia di viaggi. Ci racconta che gli affari non le vanno niente male e ci consiglia che se davvero non ci piace Playa del Carmen, potremmo recarci ad Akumal, distante una cinquantina di chilometri, dove tutto è più tranquillo. La incarichiamo di trovarci un alloggio per i successivi tre giorni, dopodiché una volta acquistati i biglietti, ci rechiamo in autobus, a Xaret. Questa specie di affollatissimo parco divertimenti, è decisamente bello, anche se forse il biglietto d’ingresso, ci sembra esageratamente caro. All’interno, tra palme ed altre bellissime piante tropicali, troviamo dei bar, un ristorante, alcune zone adibite a picnic, altre adatte per lo snorkeling ed i bagni, dei resti di una chiesa coloniale e alcune piccole rovine maya, in quanto sembra che il posto fosse un importante centro cerimoniale, da dove i maya partissero per l’isola di Cozumel. C’è anche un’area dove è possibile nuotare a pagamento assieme ai delfini, ma l’attrazione per la quale siamo comunque venuti qui, è il fiume sotterraneo che sbuca da un cenote, nel quale ci tuffiamo appositamente muniti di un ridicolo giubbotto di salvataggio color lilla. Facciamo un mezzora di ottimo snorkeling, osservando alcune interessanti formazioni coralline e diverse specie di pesci tropicali. In serata prendiamo l'autobus per tornare alla nostra "posada" di Playa del Carmen, dove apprendiamo che Monica non ha ancora confermato la nostra prenotazione ad Akumal. Riceviamo rassicurazioni dall'italiana circa il successo dell'operazione, ma cominciamo un pò a dubitare delle sue capacità quando ci informa che avremmo avuto la certezza della conferma da parte dell'hotel, solo il giorno seguente. Solo la distanza (un'ora e trenta di autobus ed un chilometro a piedi dalla strada), ci impedisce di ringraziare la ragazza, e recarci ad Akumal senza prenotazione. Comunque Monica ci convince dicendoci che la tariffa che ci ha proposto, è una tariffa speciale che lei stessa ha pattuito con l'hotel, il quale applica ai viaggiatori che bussano alle sue porte, tariffe ben più gonfie, addirittura impossibili da sostenere per chi come noi ha ancora diversi giorni di viaggio da effettuare. La notte sembra un' esatta replica della precedente, ed il mattino seguente di buon'ora, ci rechiamo alla stazione degli autobus in cerca di Monica, la quale ci annuncia che è tutto o.k. Dopo aver quindi preso i bagagli nella "posada", ed aver salutato Monica e i ragazzi, prendiamo un affollato autobus diretto a Tulum, il quale percorre la prima mezz'ora con il sottoscritto in piedi, cioè fino a quando quasi tutti i passeggeri, scendono al parco divertimenti della laguna di Xaret. Siamo gli unici a scendere ad Akumal e stiamo quasi per dimenticarci la videocamera nel portapacchi dell'autobus. Il chilometro percorso a piedi sull'asfalto infuocato, dalla statale 307 al nostro hotel situato direttamente sul mare, mi sembrerà un'eternità, ed il peso della valigia, addirittura insostenibile. All'improvviso, un cartello indica che siamo giunti ad Akumal, ed una volta superati un piccolo alimentari e una lavanderia, ci troviamo già nella casetta adibita a reception del complesso denominato Akumal Hotel & Villas Maya. Pago all'impiegato dell'hotel solo la prima notte, in quanto se il posto non risulterà di nostro gradimento, saremmo pronti a lasciarlo il mattino seguente, per una nuova meta, come ormai siamo abituati a fare. Il nostro bungalow, immerso completamente nel verde, è molto spazioso e dispone tra l'altro, oltre che dell'aria condizionata, anche di un salottino completo di divano e tavolo con sedie. Una volta posati i bagagli, ripetiamo la solita scena di tutti i nostri viaggi, correndo verso il mare, un mare ancora una volta pronto a stupirci. Il Caribe, per effetto della barriera corallina distante appena un trentina di metri, è di una calma tale che appare ai nostri occhi increduli come una sorta di lago dalla forma di mezzaluna. La sorpresa poi più piacevole, deriva dal fatto che una volta seduti nell'acqua cristallina ad un paio di metri dalla riva, veniamo avvicinati da un paio di pescioni colorati, incuranti di noi e delle nostre grida di stupore. In un attimo capiamo che siamo giunti in un luogo fuori dal comune, la cui natura incontaminata, appare appena sfiorata dai pochi turisti per lo più statunitensi. In realtà, scopriremo poco dopo che poche centinaia di metri dal nostro complesso, c'è un enorme villaggio "tutto compreso" dei Viaggi del Ventaglio, con clientela esclusivamente italiana. Comunque ciò non prevarica lo splendido isolamento di cui ancora gode questa eccezionale località, in quanto per fortuna, gli abitanti “all inclusive” di questi tipi di villaggi, sono “di solito” abbastanza restii nel superare i confini del loro turistico mondo dorato. Trascorriamo tre giorni favolosi ad Akumal, un luogo fatto apposta per oziare sotto una palma, dove l'unico inconveniente è rappresentato dalla fame, poiché ci sono solo un paio di ristoranti che propongono una cucina di pessima qualità.

La prima volta che decidiamo di indossare maschera e pinne, allontanandoci qualche decina di metri dalla riva, restiamo stupefatti dallo scenario che offrono i fondali di Akumal, la sua barriera corallina, la svariata fauna marina. Sarà in questi giorni il nostro passatempo preferito. Trascorreremo ore ed ore facendo snorkeling nelle tranquille acque turchesi del Mar dei Caraibi, finchè una mattina spinti dalla voglia di andare più in profondità, prenoteremo un'immersione nel diving appartenente al complesso alberghiero. Dopo una lunga contrattazione sul prezzo dell'immersione (il portafogli inizia a segnare rosso), ci allontaniamo dalla bianca riva cosparsa di palme intorno alle undici del mattino, in compagnia di altre tre persone e della giovane istruttrice americana che ci è stata assegnata. Dopo i soliti preliminari, nei quali la ragazza nel suo “yankee” ci spiega il da farsi, ci immergiamo a venti metri di profondità indossando unicamente una canottiera. Dopo una trentina di minuti, ed una bellissima visuale della sabbia di Akumal, la ragazza ci dà il segnale di risalita, spiegandoci poi in superficie che la corrente ci ha spinto in una direzione a lei sconosciuta, priva di interessi subacquei. Abbiamo così guadagnato la ripetizione dell' immersione nel pomeriggio, ovviamente gratis. Il tempo quindi di mangiare uno yogurt, ed eccoci di nuovo intorno alle 13,30 ad assemblare l'ara. Questa volta il nostro istruttore è un giovane messicano dall'ingannevole aspetto, ma dalla grande professionalità, che dimostra sin dalla prime battute. Controlla l'assemblaggio dei nostri gruppi personalmente uno ad uno, ed anche in acqua riuscirà a diffondere nella comitiva una certa sicurezza. I trenta minuti dello spettacolo al quale assistiamo nei fondali di Akumal, equivalgono all'essenza stessa della subacquea, un'immersione che da sola vale il costo di un viaggio. Il ragazzo ci porta tra l'altro in una serie di grotte sottomarine, dove in alcune punti occorre passare solo con la forza delle braccia, al fine di non smuovere la sabbia pinneggiando. Così passiamo attraverso vari stretti cunicoli, accerchiati da pesci multicolori di varie dimensioni, fino a quando il nostro istruttore facendoci segno di rimanere immobili, non batte il proprio pugnale sulla bombola, provocando un suono metallico che, come per magia, fa uscire da una grotta svariate splendide tartarughe che si dileguano planando nel blu. Uno spettacolo impareggiabile! Mentre ci avviciniamo alla riva, un'atmosfera di grande allegria si è impossessata della barca, una specie di fratellanza che ci unisce con queste persone di varie nazionalità, con queste persone che possiedono una propria storia, una propria vita, una propria fede politica e religiosa, con queste persone che una volta messo piede a terra, probabilmente non rivedremo mai più, ma con le quali abbiamo condiviso un'esperienza indimenticabile, quale un'immersione subacquea nel mare fatato di Akumal.

Passiamo il nostro terzo pomeriggio ad Akumal, seduti sotto la nostra palmetta personale e mentre stiamo riposando, veniamo avvicinati da un venditore di oggetti in argento. Cerca di accaparrarsi la nostra simpatia parlandoci della sua famiglia e sfodera bei sorrisi mostrandoci orgoglioso i propri denti d’oro, che qui sembrano proprio andare di moda. Gli diciamo che siamo entusiasti di Akumal, ma parlando ci racconta delle possibilità di alloggiare lontano da tutto a sud delle rovine di Tulum, incuriosendoci non poco. Ci segna un indirizzo di un suo amico su un foglio di carta. Mentre il sole sta adagiandosi lentamente nelle tranquille acque caraibiche, vediamo la barca uscita in mattinata per la pesca d'altura far rientro con due enormi barracuda e nonostante abbiamo già deciso di lasciare il posto, veniamo assaliti da una grande malinconia, perché in qualche modo in questi tre giorni ci siamo innamorati di Akumal. Il 25 Agosto di buon mattino, siamo già sulla stradale 307 in attesa di un autobus per Tulum, con il peso non irrilevante del nostro bagaglio, che è andato aumentando di giorno in giorno nel corso del nostro viaggio nello Yucatan. Saliamo sul primo autobus, scendendo a Tulum Pueblo sotto un sole cocente. Ci facciamo indicare dove si trovano le cabanas di Don Armando, l’indirizzo segnatoci dal venditore ambulante, che raggiungiamo dopo un quarto d’ora di cammino su una strada sterrata. Si tratta di un complesso di piccoli bungalow, localmente chiamati cabanas, situato su una spiaggia bianchissima su cui riflette un mare dai colori accecanti. Poiché è praticamente al gran completo, ci viene assegnata una cabana fatiscente che

 non dispone di bagno e letti, ma unicamente di semplici amache, al prezzo di circa quindicimilalire a notte. Ormai però ci siamo e prendiamo possesso di questa specie di baracca nella quale lasciamo frettolosamente i nostri bagagli, per raggiungere le adiacenti rovine di Tulum. Queste rovine, non hanno niente a che vedere in quanto a grandiosità, con quelle di Uxmal e Chichen Itza, ma hanno l'originalità di trovarsi praticamente di fronte al Mar dei Caraibi, che qui assume delle tonalità altamente spettacolari.


In un'ora circa, visitiamo i punti principali di quello che si presume sia stato un avamposto Maya, una specie di fortino adibito a difesa dei territori, fra cui spicca “El Castillo”, così chiamato dalla solita fantasia spagnola. Questa costruzione a picco sul mare, assieme alla “Piramide di Kukulkan” di Chichen Itza, rappresenta sicuramente l’immagine più propagandata dello Yucatan, la tipica “cartolina” da spedire agli amici invidiosi. Quando il sole dei tropici sta ormai sfiancandoci, decidiamo che è giunta l'ora di tuffarci in questo mare da sogno. Tulum è uno di quei posti che mette d'accordo tutti, sia quelli che prediligono una vacanza culturale, sia gli amanti della tintarella e del mare, che qui è di una bellezza unica. Tulum, ovvero due realtà al prezzo di una. Quale prezzo? Ovviamente quello del biglietto di ingresso alle rovine. Trascorriamo tutto il giorno sulla spiaggetta sottostante le rovine, con lo sguardo perso a metà sui riflessi azzurro-verdi dell'acqua marina, ed a metà sulle sovrastanti ed imponenti rovine, appartenute nientemeno che ai misteriosi Maya. Questi sono quei momenti nella vita nei quali un uomo dimentica il proprio passato, la propria condizione, i propri affetti, sono quei momenti in cui ci sembra sempre di esser vissuti qui, quei momenti nei quali ci dimentichiamo di avere una casa, in cui si assapora il sottile piacere del girovago, ovvero colui che ogni giorno scopre un posto nuovo, colui che è libero nello spirito.

Rientriamo poco prima del tramonto alle cabanas di Don Armando, dove ci attende una bella doccia con acqua fredda e dove prendiamo possesso di un paio di candele, poiché qui non c’è elettricità e noi non abbiamo una torcia. La sera a cena facciamo conoscenza di Bryan e Cindy, due americani sulla cinquantina di Chicago. Sono molto cordiali e simpatici e ci raccontano un po’ del loro viaggio e della passione che li accomuna per la subacquea. Lei, che fa di cognome Giannino, è di origine pugliese e parla un discreto italiano, che ci aiuterà meglio a capire il marito quando parlerà nel suo veloce americano. Bryan è un omone alto quasi due metri, dai biondi capelli raccolti in un’enorme treccia. Ha una risata fragorosa e sprizza energia da tutti i pori. Dispongono di una macchina presa a noleggio all’aeroporto di Cancun e ci invitano ad andare con loro il giorno seguente per una visita alla riserva di Sian Ka’an. Con qualche birra di troppo ci corichiamo nella nostra cabana, dietro la cui porta chiusa alla meglio, abbiamo adagiato il nostro borsone. Passeremo una notte insonne, tra afa insopportabile, la scomodità delle amache alle quali non siamo abituati e le zanzare che non ci daranno tregua per un istante. All’indomani partiamo con i due americani imboccando la strada chiamata Boca Paila Road, dapprima asfaltata per un breve tratto iniziale, e poi sconnessa e piena di buche, fino a giungere nell’omonimo paese, che superiamo per giungere a El Rancho Retiro, una splendida spiaggia disabitata cosparsa letteralmente da palme. Sembra un sogno, tanto che umoristicamente ci diamo qualche pizzicotto per svegliarci. Siamo praticamente in piena riserva Sian Ka’an, una zona protetta, di circa 528 mila ettari. I nostri amici yankee avevano previsto tutto e troviamo ad attenderci una piccola barca che ci conduce a fare un giro nelle grande laguna dalle basse acque posta alle spalle della spiaggia, chiamata Chunyaxche. Tra zanzare fameliche, che sembrano completamente indifferenti alle numerose spruzzate di autan a cui ci siamo sottoposti, e qualche altro sconosciuto insetto che sibila minaccioso sulle nostre teste, riusciamo a vedere numerosi fenicotteri e altri uccelli abbastanza inconsueti ai nostri occhi. Ci viene spiegato che la riserva annovera in totale qualcosa come trecento specie diverse di uccelli, oltre ad altri animali rari come gli alligatori, che a quanto ci dicono, abitano anche la laguna dove ci troviamo, ma degli stessi non vediamo nessuna traccia. Il nostro giro continua in mare, attraverso la visita non facile di alcune grotte, nella cui limpida acqua sottostante ci tuffiamo per un bagno rigeneratore fra pesci colorati ed aragoste, che però per legge non si possono prendere. Il ragazzo che conduce la barchetta illumina con una potente torcia le pareti rocciose, sulle quali notiamo distintamente delle incisioni che ci dice risalire nientemeno che ai Maya. Mi rifiuto di crederci forse offendendolo, fino a quando Bryan, sulla via del ritorno non mi mostrerà un suo libro che parla delle stesse. Facciamo una tirata fino a Tulum Pueblo, dove gli americani fanno rifornimento di benzina che mi offro di pagare, considerata la cortesia che ci hanno fatto. Bryan dapprima non voleva, ma poi dopo le nostre insistenze accetta, a patto che all’indomani li seguiamo. Ci comunica che lasceranno le cabanas di Don Armando, per spingersi ancora a sud, praticamente ai confini con il Belize, in un piccolo complesso turistico nel quale sono già stati, situato nella penisola di Xcalak, della quale abbiamo sentito un gran bene dagli istruttori del diving di Akumal. Faremo delle immersioni fantastiche ci dicono. Il solo pensiero ci stuzzica terribilmente, ma non rientra nei nostri programmi, in quanto vorremmo trascorrere i giorni rimanenti sull’isola di Cozumel e poi nonostante siano così gentili, sappiamo ben poco dei due. La sera dopo aver mangiato uno squisito huachinango a la veracruzana (una specie di spigola cotta in una salsa piccante comprendente pomodori e cipolle), ci sediamo comodamente davanti a qualche bicchierino di tequila. Bryan e Cindy insistono. Vedrete, non ve ne pentirete ci dicono, e così in preda all’euforia alcolica, tra un brindisi e l’altro, forse imprudentemente accettiamo.

Dopo un’ennesima notte insonne, il 27 di Agosto eccoci di nuovo in macchina sulla statale 307 assieme ai due americani. Costeggiamo nuovamente la riserva Sian Ka’an spingendoci verso l’interno, sulla strada che improvvisamente diventa piuttosto spoglia e sui cui lati notiamo decine di piccoli allevamenti. Dopo aver superato la cittadina di Felipe Carrillo Puerto, continuiamo la nostra marcia fino alla località di Limones, poco dopo della quale imbocchiamo una strada in direzione del mare. Lungo il percorso attraversiamo varie paludi e notiamo nuovamente molte varietà di uccelli, fino a quando il paesaggio inizia a cambiare di nuovo, segno che stiamo per raggiungere il mare. Giunti nella località di Majahual, voltiamo a destra in un’unica strada non asfaltata che costeggia uno spettacolare Mar dei Carabi. Candide spiagge solitarie, file interminabili di palme da cocco, barchette di pescatori, miriadi di uccelli in volo. Questo è il paesaggio a cui assistiamo percorrendo in solitudine circa sessanta chilometri su questa strada. Abbiamo da poco superato mezzogiorno, quando nella località di Xcalak, raggiungiamo il Costa de Cocos Resort, un piacevole complesso turistico costituito da comodi bungalow costruiti su una spiaggia da cartolina. I nostri due amici hanno riservato il loro bungalow e purtroppo per noi, sembrano esserci delle serie difficoltà in quanto è tutto pieno. Malediciamo la nostra imprudenza e siamo soggetti alle decisioni di una coppia messicana, che avrebbe dovuto liberare l’unico bungalow disponibile a mezzogiorno, e della quale non c’è traccia nelle vicinanze. Dipende tutto da loro.

Ci sediamo sconsolati e stanchi ad attenderli sorseggiando l’ennesimo margarita, mentre rientrano i sub dalle immersioni mattutine e chiediamo loro cosa hanno visto. Aumenta il nostro desiderio di fermarci in questo posto fatato, anche perché non credo che muoverci da Xcalac sia poi così facile, non disponendo di un nostro mezzo di trasporto. Dopo una mezz’ora di nervosa attesa arrivano i due giovani messicani pieni di pacchetti, scusandosi con il personale del minuscolo resort, al quale comunicano per nostra fortuna che lasceranno il bungalow. Anche stavolta è fatta e in questo viaggio la sorte sembra decisamente dalla nostra parte. Siamo euforici e presi da una strana sensazione di scoprire tutto ciò che è inaspettato, non preventivato, casuale. Di colpo ritroviamo le energie. Non perdiamo tempo e dopo aver sistemato i bagagli nel bungalow che paghiamo circa quaranta dollari americani per notte, armati di pinne, maschere e boccagli, partiamo con i due dinamici americani per un giro in barca. In poco tempo raggiungiamo delle bellissime formazioni coralline ricche di fauna marina, dove trascorreremo in pratica l’intero pomeriggio. La sera ceniamo assieme a Bryan e Cindy nei pochi tavoli del Costa de Cocos, assaggiando una sublime sopa de lima, cioè un brodo di tacchino nel quale galleggiano piccoli pezzi di carne e tortillas e nel quale è stata aggiunta una sostanziosa spremuta di limetta, a cui facciamo seguire delle freschissime aragoste. Un posto davvero speciale questa Xcalak, oserei dire quasi romantico. Confesso che poche volte mi sono sentito così entusiasta, soprattutto per il fatto che non pensavamo affatto di giungere fin qui e che la nostra inseparabile Lonely Planet non menziona affatto il posto. Questa è la località dove si potrebbero veramente far perdere le proprie tracce. Siamo fuori dal mondo, in un luogo dimenticato, con un giungla incredibile così vicina a noi, la quale chissà cosa nasconde, in fondo…. siamo nella terra dei maya. Ma ci troviamo anche a pochissima distanza dal Belize (Ambergris Caye è quasi attaccata alla penisola di Xcalak), ed in preda ad una strana sensazione, inizio a fantasticare. Così chiedo al personale del piccolo resort se esistono delle possibilità di andarci via mare, e qualcuno mi dice che qualche pescatore locale potrebbe condurci su qualche cayos disabitato al largo, ma non sulle isole principali. Bryan afferma che il periodo è estremamente difficile, in quanto ci sono da anni dei disaccordi tra gli stati riguardo i confini e potremmo incorrere in qualche serio guaio. Sembra addirittura che periodicamente, negli anni passati, ci siano state delle scaramucce tra gli stati del Belize ed il Guatemala, che ne rivendicava addirittura l’annessione. Una vera e propria guerra tra poveri. Bryan e Cindy si fermeranno a Xcalac l’intera settimana, l’ultima del loro viaggio, ma con la gentilezza che lo contraddistingue, Bryan si dice disposto ad accompagnarci fino a Chetumal, qualora intendessimo recarci in Belize e mi presta la sua guida per leggere qualcosa di interessante sul paese. Trascorrerò qualche ora leggendo prima di addormentarmi. Il giorno seguente di buon mattino ci imbarchiamo tutti e quattro su El Gavilan, l’imbarcazione del diving center. La nostra destinazione è il Banco Chinchorro, situato circa 30 chilometri al largo, che raggiungiamo in poco più di un’ora. Il Banco Chinchorro è un grandioso ed esteso complesso corallino situato in prossimità della penisola di Xcalac. Ancorata la barca, ci tuffiamo in acqua, dalla quale traspaiono chiaramente bellissime formazioni di corallo nero e dalla quale spunta la prua di un relitto. Sgonfiamo il gav e scendiamo lentamente in queste acque dalla visibilità notevole. Veniamo accolti da ingenti branchi di enormi pesci angelo i quali formano una specie di barriera che perforiamo pinneggiando a circa dieci metri di profondità. L’istruttore ci conduce tra una serie di articolate foreste di coralli, una sorta di fragilissimo labirinto creato dalla natura, fino a quando scende ancora di livello, penetrando di fatto nel relitto. Lo seguiamo abbastanza intimoriti, ma prendiamo fiducia anche vedendo Bryan, il quale dimostra una certa dimestichezza. All’interno di questo barcone troviamo dei veri e propri branchi di enormi e impressionanti cernie che, con molta probabilità, hanno fatto del relitto la loro casa. Facciamo un giretto all’interno dello spoglio relitto praticamente irriconoscibile seguendo l’istruttore, per poi uscire dalla parte opposta a circa ventitre metri di profondità, dove veniamo gelati dalla spaventosa visione di alcuni enormi barracuda. Dopo circa quaranta minuti risaliamo in superficie ancora una volta in preda all’entusiasmo. Sulla barca ci guardiamo soddisfatti, mentre il cielo si sta annuvolando. Nel viaggio di ritorno e per tutto il pomeriggio, prendiamo la prima consistente pioggia del nostro viaggio e questo è di cattivo auspicio, in quanto siamo praticamente attaccati al Belize, spesso devastato dagli uragani in questo periodo. Continuo a leggere avidamente la guida di Bryan nel pomeriggio piovoso, mentre la sabbia perde il suo color borotalco, ed i granchi giocano a nascondino. Così scopro che il Belize (ex Honduras britannico) del quale sapevo poco e niente, è indipendente dall’Inghilterra solo dal 1981, che il paese annovera una ventina di zone protette che si estendono su circa 500.000 ettari, che circa la metà di questo territorio non più grande di una nostra regione, è occupato dalla foresta tropicale dove vivono allo stato brado moltissimi animali come giaguari, ocelot, tapiri, alligatori, che ci sono diverse piste sparse sul paese sulle quali pare atterrino i velivoli dei narcotrafficanti colombiani, che hanno qui le loro basi di smistamento verso gli Stati Uniti. Mia moglie, che fino a quel momento non si era espressa sull’argomento, si avvicina fugando ogni mia perplessità: “mi piacerebbe andare sui cayes del Belize” mi dice.


Il nostro viaggio continua in Belize


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