| Il giorno 29 Agosto poco dopo il sorgere del sole
siamo già in macchina assieme allinossidabile
Bryan. Abbiamo salutato ieri sera la dolce Cindy, che
stamane si sarebbe reimbarcata per una nuova immersione.
La strada sterrata percorsa due giorni prima è
notevolmente mutata, a causa del diluvio che è venuto
giù nella giornata di ieri, e anche stamattina il cielo
è molto coperto. Troviamo molti punti allagati, ed
impieghiamo diverso tempo prima di arrivare alla statale
307, che imbocchiamo in direzione di Chetumal, dove
arriviamo poco dopo le dieci. Bryan ci conduce
allaffollata stazione degli autobus, nella quale
entra assieme a noi, accompagnandoci ad acquistare i
biglietti. Siamo fortunati, tra poco più di
mezzora parte uno dei tanti autobus espressi che
giornalmente collegano Chetumal a Belize City, e troviamo
posto. Salutiamo con un grosso abbraccio ed un groppo in
gola lamericano, il quale ci regala con un sorriso
la sua guida e si allontana con la sua bionda coda,
dileguandosi tra la colorata folla. Lasciare le persone
con le quali hai legato, e che presumibilmente non
rivedrai mai più, rappresenta forse lunico aspetto
negativo in un viaggio. Bryan, che granduomo! Lo
ricorderò per sempre. Troppo spesso si parla a
sproposito dei viaggiatori statunitensi, riferendosi agli
stessi unicamente come turisti in cerca di mille
comodità e divertimenti. Bryan e la sua compagna sono
viaggiatori veri, gente preparata che si adatta a tutto,
e che frequenta da anni questi posti quasi sconosciuti in
Italia. Imbarchiamo il bagaglio e saliamo
sullautobus della compagnia Venus. Sono
ormai quattordici giorni che ci troviamo nello Yucatan, e
sono molti gli autobus che abbiamo preso, ma dai
finestrini notiamo come la gente che affolla questa
stazione, sia diversa da quella alla quale siamo ormai
abituati. Ci sono molte persone di colore, probabilmente
per lo più beliziani, molti meticci, diversi turisti
occidentali con gli zaini in spalla,
tantissimi Maya. Ancora stento a crederci, stiamo per
recarci in Belize, ma chi ci pensava minimamente alla
vigilia del nostro viaggio. I miei pensieri vengono
interrotti qualche decina di minuti dopo la partenza
dellautobus, quando dobbiamo sbrigare le formalità
doganali, dove il nostro bagaglio viene esaminato con
scrupolo, e ci viene chiesto dai funzionari beliziani, di
mostrare loro il biglietto aereo che dimostri la nostra
futura uscita dal paese. Lautobus ferma ancora alla
stazione di Corozal, dove salgono altri passeggeri,
dopodiché ci addormentiamo e ci risvegliamo dopo circa
tre ore a Belize City. Ancora una stazione degli autobus,
ancora il ritiro dei bagagli sempre più pesanti, ancora
confusione, urla, forti odori, asfissiante caldo umido.
Saliamo al volo su uno sgangherato taxi, il cui
conducente di colore parla un inglese cantilenato, e ci
facciamo condurre allimbarcadero delle lance
dirette ai cayes, mentre il sole è tornato a splendere.
Attraversiamo parte della città piuttosto squallida,
nella quale notiamo indiscutibili segni di sottosviluppo.
Bryan ci consigliò di evitare di trascorrervi la notte,
poiché a suo dire a Belize City gira brutta gente e
circola molta droga, forse troppa. Ci raccontò che
alcuni suoi amici di Chicago erano stati rapinati con le
armi, minacciati, picchiati. Durante il nostro tragitto
notiamo molte casette in legno, poco più che baracche
colorate, ed alcune fogne a cielo aperto. Superiamo
lHaulover Creek, ed arriviamo al terminal delle
lance in North Front Street, dove paghiamo lautista
e veniamo subito circondati da alcune persone
dallaspetto poco rassicurante desiderose di farci
vedere le loro imbarcazioni. Forse saranno le parole di
Bryan, ma confesso che un po mintimorisco,
soprattutto perché vedo mia moglie visibilmente scossa e
ci sediamo qualche minuto vicino ladiacente museo
marino, tenendo i nostri bagagli ben stretti. Poco
distante, notiamo due giganteschi neri che ci girano
intorno da quando siamo arrivati sniffare qualcosa,
dopodiché uno dei due si avvicina lentamente e mi tira
violentemente su per un braccio. Mia moglie urla, ma lui
impreca che non ci sono problemi, che vuole solo farmi
vedere la sua barca, la migliore del Belize, la più
sicura. Lo seguiamo intimiditi con il peso dei nostri
bagagli fino ad una specie di rottame sgangherato, una
sorta di relitto ambulante, e lo ringraziamo con deciso
no, sorbendoci una serie di incomprensibili insulti,
mentre si avvicina un simpatico ragazzo sulla quindicina
che ci indica in lontananza la sua barca. Parte tra dieci
minuti con destinazione finale Caye Caulker ci dice,
costa dieci dollari americani a persona, e con voi due
saremmo al completo. Ed allora salpiamo velocemente
superando lo Swing Bridge, il ponte di ferro costruito a
Liverpool nel 1923, che si apre per consentire
lingresso alle barche dallalto albero, ed
usciamo in mare aperto, lasciandoci alle spalle le
limacciose e maleodoranti acque del torrente Haulover.
Col trascorrere dei minuti le acque sotto la nostra
lancia cambiano rapidamente colore, e dal giallo
dellHaulover Creek diventano progressivamente blu,
azzurro intenso, verde smeraldo. In breve tempo superiamo
St. Georges Caye, uno splendido isolotto cosparso di
palme e giungiamo in prossimità del reef, che avvistiamo
facilmente con la sua lunga scia bianca prodotta
dallinfrangersi delle onde. Tuttintorno è un
susseguirsi di isolotti (cayes) più o meno grandi,
alcuni pieni di vegetazione, altri praticamente aridi.
Limbarcazione ferma a Caye Chapel, bellissimo
isolotto costituito da una esile striscia di sabbia
bianchissima contornata da una fila interminabile di
palme, dove scendono alcuni passeggeri canadesi e dove
purtroppo perdiamo moltissimo tempo fermi per un
imprecisato motivo. Impieghiamo quindi più del previsto
per arrivare a Caulker, che intorno alle sei del
pomeriggio ci appare con la sua linea sconfinata di palme
da cocco e mangrovie. Approdiamo su uno dei tanti pontili
di legno nel mezzo del piccolo villaggio, dove troviamo
un cartello con una scritta colorata Welcome to
Caye Caulker, e come letto sulla guida regalataci
da Bryan, ci dirigiamo direttamente a sinistra, sulla
strada principale che costeggia il mare, in direzione del
Tropical Paradise Hotel, dove posiamo i bagagli in un
piccolo, colorato e spoglio bungalow di legno, che
paghiamo lesagerata cifra di trentacinque dollari
americani per notte. Proviamo a contrattare, ma ci
rispondono picche e siccome siamo quasi esausti,
accettiamo, seppur a malincuore. E ancora giorno e
ne approfittiamo per passeggiare nel minuscolo villaggio,
dove si respira subito unatmosfera molto informale
e simile a quei raduni hippies che abbiamo spesso visto
nei films anni settanta. Musica a tutto volume e
parecchia gente dalla lunghe capigliature che circola a
torso nudo. Veniamo immediatamente avvicinati da alcuni
ragazzi con le capigliature da rasta, che ci
offrono con insistenza della marijuana e che liquidiamo
con dei secchi no thanks. Continuiamo a
passeggiare tra le casette di legno colorate, tra la
cordialità della gente che ci saluta ripetutamente, tra
i sorrisi dei bambini, e tra le improvvisate bottegucce
di souvenirs che sorgono ai margini delle due stradine
principali chiamate con discutibile fantasia Front
Street (di fronte al mare) e Back
Street (la parallela situata dietro la Front
Street), con il sottofondo della musica rap e reggae, ma
inizia a piovere e poi siamo veramente stanchi, così
poco prima del tramonto torniamo indietro, e terminiamo
la nostra stressante giornata al bar dellalbergo
davanti ad un ghiacciato cuba libre, ed ad un
cielo che lentamente si sta colorando di viola. La
mattina seguente, equipaggiati a dovere, siamo intorno
alle dieci su uno dei moli principali dellisola.
Fortunatamente splende il sole, nonostante abbia piovuto
praticamente tutta la notte, e così ci sentiamo
particolarmente ispirati nel contrattare con i numerosi
barcaioli che offrono dei giri sulla barriera corallina
facilmente visibile al largo. Venti dollari a testa per
effettuare qualche ora di snorkeling ci sembrano
decisamente tanti, ma la barriera corallina del Belize
con i suoi 290 chilometri è la seconda del mondo per
estensione dopo quella australiana, e nel prezzo è
compreso il pranzo, quindi accettiamo, anche se ormai
abbiamo da tempo decisamente sforato il nostro budget.
Saliamo su una barca a vela in compagnia di due tedeschi
e del simpatico marinaio di colore con la capigliatura da
rasta, che qui sembra proprio di gran moda.
Mentre ci allontaniamo in direzione del reef, notiamo su
indicazione del marinaio il canale che separa in due Caye
Caulker, causato a quanto sembra addirittura dalla furia
delluragano Hattie nel 1975, e che
viene chiamato localmente The Cut, il taglio.
Lacqua ha una notevole trasparenza, e quando ci
fermiamo in prossimità del reef, possiamo osservare
facilmente la numerosa fauna marina che nuota
indisturbata sotto la nostra barca. Il tempo di infilarci
la maschera e ci tuffiamo in questo mare color smeraldo.
I nostri soldi sono ben ripagati dallo spettacolo a cui
assistiamo. Ci siamo immersi veramente in un acquario e
trascorriamo qualche ora tra discese in apnea e faticose
risalite in superficie, letteralmente circondati dal
libro del mare, tanto che verrebbe voglia di
fare lappello perché attorno a noi vediamo
sguazzare pesci pagliaccio, pappagallo, angelo, murene,
razze, barracuda, piccoli squaletti, tartarughe, cernie e
tanti altri a noi poco conosciuti. Nel primo pomeriggio
ci dirigiamo dallaltra parte del
taglio, nella parte deserta dellisola,
dove una volta scesi a terra, il nostro amico marinaio
allestisce un barbecue sul quale cuoce delle succulente
aragoste, che ci serve accompagnandole con del riso.
Sediamo allombra di una delle tante palme, con lo
sguardo rivolto verso il mare smeraldino ed il cielo
azzurrissimo, nettamente separati allorizzonte
dalla lunga e rumorosa striscia bianca delle onde che
impattano il reef. Purtroppo un piccolo lato negativo in
questo contesto fiabesco esiste, poiché la nostra
macchina fotografica ha smesso inspiegabilmente di
funzionare, ed è un peccato, ma forse pretendere troppo
da questo viaggio, in cui tutto è filato liscio ci
sembra esagerato, e accettiamo il fatto, seppur a
malincuore. Sulla via del ritorno ci facciamo lasciare
dal simpatico rasta proprio sulla spiaggetta
situata dallaltra parte del cut, nella
zona popolata di Caulker, dove in un ambiente da ultima
beat generation, nel quale spira impietosa la
brezza dolciastra della marijuana, trascorriamo un paio
dore più o meno in tranquillità, prima di tornare
a piedi in paese passeggiando scalzi sulla Front
Street, dalla quale ammiriamo linterminabile
fila di palme e le numerose mangrovie che a tratti
nascondono il verde intenso delle acque caraibiche. Ci
fermiamo quindi in un piccolo bar a sorseggiare una
Tequila Sunrise al ritmo sincopato del
reggae, e raggiungiamo il nostro alberghetto, dove ci
facciamo prenotare un volo per lindomani per
Ambergris Caye, lisola più grande degli oltre 200
cayes beliziani. Il 31 Agosto alle 11,30 decolliamo con
un piccolo bimotore della compagnia Maya Island
Air da Caye Caulker che, nonostante misuri circa
sette chilometri di lunghezza, dallalto ci appare
decisamente piccola, e non regge minimamente il confronto
con Ambergris Caye, lunga una quarantina di chilometri,
sulla quale atterriamo dopo appena dieci minuti di volo.
Poiché come ho già scritto, ormai abbiamo
abbondantemente sforato il nostro budget, decidiamo di
concederci un lusso (come si dice fatto trenta
), e
così una volta ritirati i bagagli, ci dirigiamo a piedi
direttamente verso lalbergo consigliatoci da Bryan,
il Sun Breeze Beach Hotel, poco distante dalla pista
datterraggio, che ci accoglie con un simpatico
cartello sul quale è scritto No shoes, no shirt,
no problem. Alla reception spuntiamo un prezzo
formidabile (70 dollari americani) per una camera vista
mare, dotata di gradevoli comfort ai quali non eravamo
più abituati, come aria condizionata e televisore.
Posiamo i nostri bagagli e ci rechiamo sulla antistante
spiaggia, passando nel complesso che si rivela più bello
di quanto immaginassimo. Ci sono molte palme (ma forse è
ormai inutile sottolinearlo), una bella piscina con una
particolare forma, diverse verande sul mare, un gradevole
portico dove troviamo alcuni americani intenti a
sorseggiare dei coloratissimi cocktails. Ci sediamo
quindi a mangiare qualcosa, con lincomparabile
vista azzurro-verde del Mar dei Carabi, dopodiché ci
sediamo comodamente in prossimità della spiaggia, dove
udiamo chiaramente il fragore delle onde che
sinfrangono sulla barriera, distante meno di un
chilometro. Nel tardo pomeriggio con due biciclette
imbocchiamo la strada principale chiamata Barrier Reef
Drive, tramite la quale entriamo nel centro del paesino
di San Pedro, costituito da graziose casette colorate per
la maggior parte di azzurro e rosa. Anche qui molta
musica reggae, che evidentemente ha ben attecchito tra i
numerosi abitanti di colore di queste isole, e molti,
forse troppi negozi. A differenza di Caye Caulker, dove
si avvertiva la piacevole sensazione di trovarsi
veramente isolati dal mondo, qui notiamo uno sviluppo
inaspettato. A San Pedro circolano abbastanza turisti,
prevalentemente statunitensi, e si trova praticamente di
tutto, tantè che ne approfittiamo subito, in
quanto entriamo in unagenzia di viaggi al fine di
trovare la soluzione che ci consenta di raggiungere il
più comodamente Cancun tra due giorni, quando alle 18
partirà il nostro volo per lHavana. Ed i simpatici
ragazzi della Ambergris Tour, la soluzione la
trovano davvero, anche se non economica. Ci prenotano un
volo alle sette del mattino per Corozal con la piccola
compagnia con la quale abbiamo volato stamattina, ed uno
alle 9,50 da Chetumal per Cancun con lAerocaribe.
Prendendo un taxi a Corozal, ci assicurano che al massimo
in quaranta minuti raggiungiamo laeroporto di
Chetumal, formalità doganali comprese. Accettiamo e
prenotiamo anche unescursione per il giorno
seguente, dopodiché ci immergiamo nella scanzonata vita
di San Pedro, pedalando lentamente nelle sue stradine su
cui circolano molte golf cart, e nelle quali
ci si sente subito a proprio agio. Gironzoliamo un poco
nei negozietti di Ambergris Street e Bucaneer Street,
compriamo delle simpatiche e colorate t-shirts, e poi ce
ne andiamo in prossimità del mare ad osservare la gioia
di alcuni bambini che, tra urla e risa, sguazzano
felicemente nelle chiare e calme acque caraibiche.
Ovunque si respira unatmosfera di serenità, di
quiete, il tempo sembra scorrere veramente tranquillo per
gli abitanti di San Pedro, e stranamente non veniamo
abbordati da nessuno in quanto turisti. Dopo cena
terminiamo questa estenuante giornata davanti
allennesimo Cuba libre (che si beve
più in Belize che nella stessa Cuba) in un bar pieno
zeppo di americani, dove la musica reggae rende allegra e
trasgressiva la sera, e dove osservando il cielo, questi
appare più che mai stellato. Il giorno seguente di buon
mattino siamo già sul potente fuoribordo a due motori
che penetra velocemente nel taglio della barriera
adiacente Ambergris Caye, per giungere poco più di tre
ore dopo nel Lighthouse Reef, il più esterno degli
anelli corallini del Belize. Al centro della turchese
laguna dalle basse acque troviamo il Blue
Hole, il mitico buco blu di circa 300 metri di
diametro esplorato nientemeno che da Jacques Cousteau. Il
Blue Hole è una delle mete più ambite dai subacquei
mondiali per le sue grotte dove è possibile ammirare
decine di stalattiti, ma le immersioni vengono effettuate
ad alte profondità e non ci sentiamo ancora
sufficientemente preparati, per cui ci immergiamo in
questo immenso anello di corallo profondo 125 metri,
solamente per un po di snorkeling in compagnia di
branchi di enormi carangidi e di qualche minaccioso
barracuda. Dal Blue Hole, ci spostiamo
velocemente sullHalf Moon Caye, vicina isoletta a
forma di mezzaluna di soli diciotto ettari, dichiarata
parco nazionale dal 1982. La particolarità di
questisola consiste nellesistenza di due
diversi ecosistemi, in quanto la parte ovest che
costeggiamo, ricchissima di vegetazione, è dedicata alla
protezione di oltre cento specie di uccelli, fra cui le
rarissime sule dalla zampe color rosso che qui chiamano
affettuosamente Booby, mentre la parte est
nella quale attracchiamo, possiede una vegetazione più
scarsa, caratterizzata però da file interminabili di
palme da cocco. E anche qui, in unarea
appositamente delimitata, su una striscia di candida
sabbia in pieno caribe, urlando la nostra gioia al vento,
ripetiamo il rito del barbecue, delle aragoste, del riso.
Poi, fra centinaia di pellicani e gabbiani in volo in un
cielo che più azzurro è davvero difficile immaginare,
passeggiamo tutti alla ricerca delle tartarughe, che a
quanto sembra vengono periodicamente sullisola a
deporre le proprie uova, ma sfortunatamente non ne
avvistiamo nemmeno una, e lo skipper ci comunica che è
già ora di ripartire. Costeggiamo quindi le Turneffe
Islands, una serie di straordinari isolotti corallini
racchiusi attorno ad unincantevole laguna color
smeraldo che intravediamo facilmente, e ripartiamo alla
volta di Ambergris Caye, per la nostra ultima notte in
Belize. La sera scivola malinconicamente a un tavolo
sotto lo stellato cielo beliziano, come del resto è
scivolato troppo velocemente il nostro breve, seppur
intenso soggiorno su questi cayes, e domani ripartiremo
con la convinzione che questo splendido paese meriti una
visita più approfondita. Dopo cena sorseggiamo il nostro
ultimo ghiacciato Cuba Libre, e rivediamo i
nostri amici Bryan e Cindy, distanti qualche decina di
chilometri da noi, ma vicini per sempre nei nostri cuori,
e ripensiamo a questo mare fatato, a questa gente dei
cayes così apparentemente spensierata, così socievole
ed amichevole, a questa terra così facile da amare a
prima vista, il cui slogan del nostro hotel sembra
particolarmente indicato per descriverne latmosfera
che vi si respira: No shoes, no shirt, no problem. |