| La Jamaica è
        collegata con molte città degli U.SA. da varie compagnie
        statunitensi e dalla stessa Air Jamaica. Personalmente ho
        scelto la British
        Airway che vola almeno
        quattro volte a settimana  da Londra su
        Kingston-Montego Bay, consentendo così un'ampia
        possibilità di programmare il viaggio (atterrare ad
        esempio su una città e ripartire dallaltra). In
        alternativa si può acquistare il volo direttamente
        (senza obblighi di pacchetti da tour operators) dall'Air
        Europe che raggiunge una volta la settimana direttamente
        Montego Bay da Milano, dopo una sosta all'Havana. La Jamaica non è assolutamente una destinazione a buon
        mercato, anzi, direi che è carissima, soprattutto nel
        periodo invernale, (Dicembre-Aprile) considerato
        alta stagione e nel quale è concentrato il
        flusso migratorio dei turisti nordamericani ed europei
        nell'area caraibica. Effettivamente, questi mesi sono
        statisticamente i migliori per recarsi
        sullisola con una buona media di precipitazioni
        mensili (Dicembre 91 mm. , Gennaio 68 mm. , Marzo 58 mm.
        , Aprile 63 mm. ), mentre, come nella maggior parte dei
        Carabi, il tempo peggiora sensibilmente nei mesi di
        Maggio (149 mm.) e Giugno (139 mm.) per poi migliorare a
        Luglio (73 mm) e ad Agosto (132 mm) la cui media è
        abbassata dagli ultimi giorni, nei quali, assieme a
        Settembre, Ottobre e la prima parte di Novembre, si
        concentrano la maggior parte delle piogge e spesso si
        verificano nellarea caraibica violenti uragani.
 I principali turisti in Jamaica sono gli statunitensi e
        sull'isola si paga ovunque indistintamente in dollari USA
        o Jamaicani. Nel periodo di alta stagione (v. sopra)
        anche le strutture più semplici sono care per noi.
 Quindi o si dorme a casa di qualcuno, o bisogna esser
        preparati ad un salasso, nonostante il paese sia
        estremamente povero.Sistemazioni a parte, c'è il
        problema degli spostamenti. I taxi con regolare licenza,
        appartenenti alla compagnia Juta, hanno tariffe fisse e
        anche queste sono abbastanza care. Esempio pratico:
        Aeroporto di Kingston  Port Antonio (2 ore circa di
        tragitto) 110 dollari americani.
 Per risparmiare, si dovrà dividere la spesa con altre
        persone (se si troveranno), o (come abbiamo fatto noi)
        contrattare la corsa con qualche abusivo del quale
        fidarsi istintivamente a proprio rischio e pericolo,
        considerata la alta percentuale di rapine ed aggressioni
        ai danni dei turisti.La terza possibilità consiste nel
        prendere gli autobus di linea che permetteranno di avere
        un contatto diretto con la popolazione, ma che si fermano
        praticamente ogni due minuti e sono stipati
        all'inverosimile di gente e animali. E importante
        sapere che statisticamente la Jamaica risulta al terzo
        posto nel mondo per incidenti mortali automobilistici. Le
        sue strade sono in condizioni pessime, e se si da
        unocchiata quanto scrivono sul sito dell' ACI
        Viaggiare Sicuri sui pericoli per i turisti che
        viaggiano individualmente nel paese, forse si rinuncia al
        viaggio. Per i lunghi spostamenti, come ad esempio il
        tratto Ocho Rios - Negril , consiglio addirittura di
        prendere l'Air Jamaica
        Express in quanto costerà molto meno di una normale
        corsa con un taxi autorizzato e si risparmieranno almeno
        quattro ore di tempo. Sembra strano, ma quando si
        vedranno le condizioni delle strade Jamaicane, ci si
        renderà conto del perchè i taxi con regolare licenza
        sono così cari. Difficoltà economiche a parte, la
        Jamaica è uno splendido paese, e la sua gente,
        nonostante la cattiva propaganda, è a mio parere
        eccezionale.
 Le
        quattro località più gettonate turisticamente, sono
        anche quelle che offrono le maggiori attrattive e si
        trovano tutte nella parte nord dellisola.
        Rispettivamente da ovest ad est sono: Negril, Montego Bay, Ocho Rios,
        Port Antonio.  Noi
        abbiamo fatto un piccolo tour dell'isola, soggiornando
        nellordine a Port Antonio,
        Ocho Rios e Negril, ed abbiamo evitato Montego
        Bay perché caotica, e con poche spiagge pubbliche (le
        migliori sono quelle dei resort più esclusivi e la
        famosa Doctor Cave Beach, decisamente troppo
        affollata da quanto mi risulta). Port Antonio, nella
        regione del Portland, è la località che
        più mi è piaciuta, in quanto poco inflazionata
        turisticamente. Ci sono pochi locali notturni ed un ritmo
        di vita che scorre lento e tranquillo. Le numerose
        spiagge sono molto diverse l'una dall'altra e frequentate
        prevalentemente dai locali. La zona è molto
        scenografica, in quanto negli anni vi sono stati girati
        tantissimi films. Parliamo delle numerose spiagge, tutte
        nascoste nella fittissima vegetazione tropicale:
        Frenchman's Cove è splendida, anche se molto piccola e
        bisogna pagare per accedervi. Blue Lagoon è un posto
        magnifico dallacqua verde smeraldo, la spiaggetta
        del Dragon Bay hotel è molto bella, San San Beach è una
        discreta spiaggia con un bell'isolotto facilmente
        raggiungibile a nuoto, a Boston Beach si potrà gustare
        il Jerk originale, non quello fatto con la salsa che
        vendono un pò ovunque, Long Bay è una spiaggiona
        selvaggia ed immensa, dalle acque spesso molto mosse.
        Ancora, a sud di Long Bay si potranno raggiungere le
        Reach Falls, le cascate della scena d'amore del film
        "Cocktail".  E' molto
        bello anche il rafting sul fiume Rio Grande, dove
        sconsiglio di andare se la sera prima è piovuto,
        altrimenti si troverà il fiume color marrone, mentre
        solitamente le acque sono trasparenti e ci si può fare
        anche il bagno. Il costo è piuttosto caro (45 dollari
        USA a zattera), ed il percorso dura circa due o tre ore,
        ma è molto interessante, perchè si naviga sul fiume
        attraverso delle foreste spettacolari. Anche davanti la
        stessa cittadina di Port Antonio, c'è un'isoletta
        facilmente raggiungibile in battello, molto bella, dove
        trascorrere una buona giornata. Le possibilità sono
        svariate, io non ci sono andato ad esempio, ma si
        potrebbe fare una capatina a Kingston, per visitare la
        casa-museo di Bob Marley, o trascorrere un paio di giorni
        sulle Blue Montains. A Port Antonio ho soggiornato
        all'hotel Dragon Bay
        bellissimo e non proprio economico, ma girando nella zona
        del Portland ho notato alcune sistemazioni più a buon
        mercato sulla grande spiaggia di Long Bay, distante da
        Port Antonio circa 15 miglia, ed ho visitato
        unaltra struttura ad ovest di Port Antonio
        costituita da 5 bungalow piuttosto spartani, gestita da
        un italiano. Hanno anche un sito internet: http://www.italvillage.com/
         Questo è invece il
        sito dellAssociazione
        guest house di Port Antonio dove è possibile trovare
        delle gradevoli sistemazioni più a buon mercato  Se oltre alle bellezze
        naturali si cerca il divertimento puro, allora consiglio
        di recarsi a Negril, situata esattamente dalla parte
        opposta dell'isola. Sulla bellissima Long Bay, tipica e bianchissima
        spiaggiona tropicale bordata da palme da cocco, lunga
        circa undici chilometri, si alternano hotel, ristoranti,
        bar ed ogni forma di divertimento.
 Inoltre
        ogni sera ci sono concerti reggae dal vivo, ed il mare è
        splendido. E' sicuramente il posto più
        "giovane" della Jamaica. Qui si possono trovare
        delle sistemazioni a buon mercato, soprattutto dalla
        parte della scogliera. Certo è confusionaria, certo gira
        molta "roba" e cè parecchia
        prostituzione maschile e femminile, ma il mare è
        cristallino, la sabbia di un bianco accecante, ed è
        possibile praticare dell'ottimo snorkelling e fare delle
        piacevoli escursioni a sud, prima fra tutte quella sul
        Black River, un fiume dove vivono ancora i coccodrilli, e
        sulle eccezionali YS Falls, cascate meno famose di quelle
        di Ocho Rios, ma altrettanto spettacolari. Altra tappa da
        non perdere, è inoltre il Ricks Cafè, dal quale
        è possibile assistere ad uno spettacolare tramonto.
        Questo è un discreto sito su Negril per quanto riguarda
        la scelta degli hotel: http://negril.com/binhotel.htm
         Ocho Rios è da
        considerarsi alla pari di Montego Bay per quanto riguarda
        i prezzi, sicuramente fra i più alti dellisola, e
        le spiagge (le migliori sono quelle degli hotel pìù
        lussuosi), ed inoltre le due famose località sono
        accomunate anche dalle numerose navi da crociera che
        approdano nelle loro baie giornalmente. Ma
        Ochi, come viene comunemente chiamata dai
        giamaicani, possiede le Dunns River Falls, le
        spettacolari ed altissime cascate immerse in una
        vegetazione rigogliosa, che vale sicuramente la pena
        scalare per un divertimento garantito. Sono a mio parere
        una tappa inevitabile in una visita in Jamaica.  
 "L'isola
        delle tre R" Il mio
        racconto e foto di viaggio  
 Questisola
        tormentava da tempo i miei pensieri, sin da quando, esile
        adolescente, occupavo timidamente i banchi di scuola.
        Quel caldo genere musicale, seducente e ritmato, ricordo
        era di gran moda allepoca, ed il successo su scala
        mondiale dello stesso, aveva consolidato la leggendaria
        figura del suo massimo esponente, considerato dalle masse
        meno abbienti, una sorta di messia del terzo mondo.
        Negli ultimi anni avevamo
        gironzolato abbastanza, tornando più volte anche in
        paesi dove avevamo lasciato il cuore, ma questa piccola
        isola, per un motivo o laltro ci sfuggiva sempre,
        come quando, pur disponendo delle prenotazioni aeree,
        fummo costretti a rinunciare in extremis alla partenza, a
        causa di alcuni gravi disordini legati allaumento
        del carburante, con conseguente sospensione dei voli e
        chiusura degli aeroporti locali. Viaggiammo quindi
        lontano, dallaltra parte del mondo, scoprendo terre
        di ineguagliabile bellezza, il cui mito non rende
        giustizia alla loro reale magnificenza, e di cui ci
        innamorammo perdutamente, trovando un senso di
        appagamento che ci accompagnò nei mesi a seguire, quei
        mesi in cui gli alberi ingialliscono e le foglie cadono
        tristemente confondendosi con i ricordi.
 Mentre di tanto in tanto,
        riaffiorava prepotentemente il desiderio di rimettersi in
        viaggio, nei primi giorni dinverno, durante una di
        quelle giornate in cui il sole ci saluta presto, troppo
        presto, stavo mettendo un poco dordine nella mia
        testa e tra alcune vecchie cose, ormai quasi dimenticate.
        Inaspettatamente ritrovai un vecchio nastro di
        Legend, la raccolta del mitico Bob
        Marley,  proprio quel grande artista che dettò il
        tempo agli anni delladolescenza, che iniziai a
        riascoltare ininterrottamente in macchina, durante le
        interminabili code mattutine nel grigiore metropolitano.
        Spinto dal ritmo, e da quellirrequietezza che ha
        spesso accompagnato la mia esistenza, iniziai, come
        spesso mi accade quando sogno di visitare un paese,
        dapprima a leggere appassionatamente, e poi a navigare
        con la fantasia. Così, dopo qualche tempo, tra prima e
        seconda, pirati, semafori rossi, vigili e reggae, decisi
        che la Jamaica non poteva più aspettare.
 Alle 17,30 del 21 Gennaio,
        laereo della British Airways effettua il suo
        atterraggio sulla pista dellaeroporto Norman Manley
        di Kingston, collocata di fatto in mezzo al Mar dei
        Caraibi, sulla lunga striscia di sabbia chiamata
        Palisadoes, distante una ventina di
        chilometri dal centro della città. Siamo gli unici
        europei a scendere dal boeing proseguente per Montego Bay
        e, considerata la brutta reputazione di cui gode questa
        città, confesso che qualche pensiero negativo mi frulla
        per la testa. Sbrighiamo facilmente le formalità
        doganali, dirigendoci verso il recupero bagagli, dove
        troviamo inesorabilmente ad attenderci una brutta
        sorpresa. Infatti, dopo un paio di minuti che aspettiamo,
        ci viene incontro unimpiegata della compagnia aerea
        che ci informa che tutti i bagagli scaricati sono stati
        consegnati. Ero sicuro che prima o poi sarebbe successo,
        il nostro sè smarrito.
 Mentre qualche gocciolina
        di sudore scende lentamente sulle nostre fronti, quasi a
        volerci ricordare che ci troviamo ai tropici, compiliamo
        tristemente la denuncia di smarrimento. Desolati,
        avviliti e stanchi, cerchiamo di spiegare che non ci
        tratterremo a Kingston, ma abbiamo riservato solo tre
        notti a Port Antonio, distante almeno un paio dore
        di auto, e che non ripartiremo da qui, ma da Montego Bay,
        situata praticamente dallaltra parte
        dellisola. Limpiegata della British ci
        assicura che il nostro borsone arriverà sicuramente con
        il prossimo dei quattro voli settimanali provenienti da
        Londra, ma di volta in volta, dovremo comunicarle
        telefonicamente i nostri recapiti allinterno
        dellisola, al fine di permetterle di recapitarci il
        bagaglio, di cui siamo comunque tenuti a lasciarle le
        chiavi, per consentirle di riconoscere qualcosa di quanto
        abbiano elencato sulla denuncia.
 Semplice no?
 Intanto ci consegnano un
        kit a testa per la notte e lequivalente in dollari
        giamaicani di cento americani per le spese necessarie.
 Usciamo
        dallaeroporto sentendoci improvvisamente come delle
        mosche bianche e ci rechiamo nel parcheggio dei taxi con
        regolare licenza, appartenenti alla compagnia
        Juta. Purtroppo non cè nessuno che
        vada nella nostra direzione con il quale possiamo
        dividere la spesa, anzi, a dire il vero, nel parcheggio
        non cè proprio nessun altro cliente tranne noi.
        Tariffa piena quindi e via cento dollari americani.
 Quando è ormai buio,
        attraversiamo tra mille ingorghi la capitale giamaicana,
        che si è guadagnata la triste fama di essere una delle
        città più violente del mondo. Kingston rappresenta
        ancora oggi la mecca di tutti i poveri giamaicani in
        cerca di fortuna, che finiscono quasi sempre per
        accrescere le baraccopoli presenti ai margini della
        città. In questi ghetti sono purtroppo ancora molto
        sviluppate numerose forme di epidemie di febbre tifoide,
        dovute alla mancanza di acqua potabile, e alle fogne a
        cielo aperto. Il diffuso analfabetismo ha portato la
        disoccupazione alle stelle e la maggior parte delle
        decine di migliaia di abitanti di queste baraccopoli,
        vivono di elemosina e delle forme più disparate di
        mestieri improvvisati. Alcune zone della città sono
        totalmente out per gli stranieri, che qui rischierebbero
        la pelle per un niente. In questa metropoli, dove si
        concentra circa un terzo della popolazione giamaicana, si
        verificano circa il 60% del totale dei reati
        dellisola, e, oltre ai delinquenti comuni, ci sono
        decine di bande armate dai vari partiti che si contendono
        a suon di stragi il potere politico.
 Ma Kingston è anche la
        culla del Rastafarianismo, praticamente sinonimo di
        Jamaica, sul quale desidero aprire una doverosa parentesi
        storica. Il movimento derivante dai termini Ras
        (principe) e Tafari (da temere) in onore
        dellimperatore etiope Hailè Salassiè, è nato in
        Jamaica alla fine degli anni venti come rivendicazione
        del nazionalismo nero, e si è rapidamente diffuso in
        molti angoli dei caraibi. Il padre ideologico fu Marcus
        Garvey, personaggio di spicco dellAmerica nera dei
        primi del novecento, creatore di unassociazione per
        il miglioramento della condizione negra nel mondo, e
        sostenitore del ritorno alla madre Africa.
 Garvey, nato in Jamaica, ma trasferitosi
        successivamente negli Stati Uniti, aprì sostanzialmente
        la strada al movimento di Martin Luther King e fondò un
        giornale chiamato Negro World, nonché una
        compagnia di navigazione, la Black Star Line, che
        collegava gli Stati Uniti ed i Carabi allAfrica.
        E chiaramente intuibile come le idee di Garvey
        attecchirono facilmente in un paese povero come la
        Jamaica, oppresso da anni di colonialismo britannico, e
        dove la popolazione risulta sostanzialmente composta dai
        discendenti degli schiavi africani. Dalle sue idee nacque
        appunto un  movimento premonitore di un imminente
        giorno nel quale, un redentore nero sarebbe diventato re
        in Africa. Lo stesso fu presto facilmente identificato in
        Ras Tafari, il quale prese il nome di Hailè Selassiè,
        incoronato imperatore dEtiopia nel 1930.  Selassiè, venne considerato addirittura diretto
        discendente del Re Salomone e dalla regina di Saba,
        nonché re dei re e leone conquistatore della tribù di
        giudea. Fu rapidamente ritenuto come Dio incarnato, colui
        che avrebbe ricondotto i rastafariani nella terra
        promessa chiamata Sion, dal luogo desilio nel quale
        ora si trovavano, denominato Babilonia, ed inteso come la
        Jamaica, ma soprattutto come lo stato bianco potente e
        corrotto che comanda in pratica il mondo. Alla base del
        movimento, cè quindi una comune origine africana
        che unisce i giamaicani e la numerosa gente di colore
        sparsa nel mondo, infondendo loro un messaggio di
        speranza, un senso alla loro triste ed ingiusta storia di
        esiliati, un ritrovamento di una propria identità
        culturale. Col trascorrere degli anni, il movimento fece
        numerosi proseliti sullisola, i quali, a
        simboleggiare la criniera del leone di giudea, adottarono
        come capigliatura le lunghe trecce chiamate dreadlocks,
        usate da alcune tribù dellAfrica orientale, ed
        indossarono il Tam, il tipico berretto di
        lana con i colori etiopi. I rastafariani asseriscono che
        la razza africana è una tra le predilette da Dio e la
        loro dottrina prende spunto dalla Bibbia, la quale
        sostengono che raccontasse originariamente la storia dei
        popoli africani e che sia stata nel corso dei secoli
        riscritta dai bianchi per dominare i neri. I
        Rasta rifiutano il principio cristiano della
        redenzione dopo la morte, in quanto convinti che il
        paradiso esista sulla terra, ed il loro pensiero ha
        accresciuto negli anni la diffidenza e la sfiducia della
        popolazione appartenente ai ceti meno abbienti nei
        confronti dei bianchi. I Rasta inoltre si nutrono solo di
        cibi naturali, non ambiscono a possedere beni materiali e
        nutrono la loro forza tramite linseparabile Bibbia
        e la fede nella divinità Ras Tafari. Circa il 60% degli
        appartenenti al movimento fuma la marijuana (comunemente
        chiamata ganja), importata sullisola a fine
        ottocento dai lavoratori indiani e diffusa tuttoggi
        praticamente su tutto il territorio, anche se viene
        considerata illegale a tutti gli effetti dalle autorità.
        I Rastafariani asseriscono che la ganja li aiuta a
        restare in contatto con Dio, prendendo fanaticamente
        spunto da un salmo della bibbia nel quale è scritto
        Fai crescere il fieno per gli armenti e lerba
        al servizio delluomo. Lo spregiudicato cantante
        reggae Peter Tosh, assassinato nella sua casa di Kingston
        nel 1987, lanciò spesso nei suoi brani un chiaro
        messaggio circa la legalizzazione della stessa sostanza
        proibita.
 Certamente il
        rasta più famoso e sinonimo stesso di
        Jamaica, resta comunque Bob Marley, il cantante che ha
        fatto conoscere il Reggae, la musica di protesta nata nei
        ghetti di Kingston (come evoluzione dei precedenti generi
        mento, ska e
        rocksteady) in tutto il mondo.
 Marley, che crebbe praticamente in uno dei
        sobborghi più diffamati di Kingston, dove fondò assieme
        a Peter Tosh e Bunny Livingstone il leggendario gruppo
        dei Wailers, ebbe il merito di diffondere in
        Jamaica il messaggio della lotta non violenta contro
        Babilonia e fu osannato in tutto il terzo
        mondo per i suoi testi contro le oppressioni razziali, le
        ingiustizie e lamore. La musica reggae, autorevole
        mezzo di divulgazione della dottrina rasta, grazie al suo
        massimo esponente ha valicato barriere razziali,
        linguistiche e di classe, divenendo un genere musicale
        che ha influenzato non poco le rock-star più famose del
        mondo. Il corpo del profeta
        del reggae, prematuramente scomparso di tumore a
        Miami l11 maggio 1981 a soli 36 anni, fu esposto
        alcuni giorni dopo nella National Arena di Kingston per
        dodici ore.
 Le sue
        dreadloks furono raccolte nel classico
        berretto rosso, verde, oro, nella mano destra gli fu
        messa una bibbia, a testimonianza del suo credo alla
        filosofia rasta, mentre nella sinistra la sua chitarra,
        che ha donato al mondo alcune tra le più belle melodie
        mai scritte. Il giorno seguente si svolsero i funerali
        nella chiesa etiope ortodossa, ed un corteo funebre si
        snodò per decine di chilometri (ben 80 a quanto si
        narra), accompagnando il corpo del grande Bob fino al
        distretto di St. Ann, dove tuttora è sepolto, .
 Purtroppo, col trascorrere
        degli anni il Rastafarianismo è diventato anche una
        copertura per i delinquenti comuni e gli imbroglioni, che
        nascondendosi dietro le dreadlock, sfruttano il movimento
        per alimentare i loro traffici e per spillar dollari ai
        turisti. Gli autentici Rasta, che scendono di
        rado nelle città, sono elementi pacifici, religiosi
        allinverosimile nei confronti di Jah (Dio), ed in
        simbiosi con la natura, dalla quale traggono tutto quanto
        loro necessita, compresa la loro erba sacra
        "Ganja"
 Dai finestrini del taxi
        entrano le note sincopate della musica reggae sparata a
        tutto volume ad ogni angolo delle strade, le nostre
        narici percepiscono lodore pungente del fumo
        proveniente dai bidoni sui quali cuoce il Jerk, il piatto
        nazionale giamaicano, mentre i nostri occhi vedono uno
        degli spettacoli più deprimenti ai quali si possa
        assistere, quello della miseria, tanta miseria, che si
        manifesta con interminabili file di costruzioni di
        lamiera, case di cartone, mendicanti, storpi.
        Indubbiamente tutto ciò stona con limmagine
        patinata dei cataloghi turistici, i quali presentano la
        Jamaica come la terra del perenne divertimento.
 Ci sarebbe piaciuto
        fermarci almeno questa notte, soprattutto per visitare
        allindomani la superturistica casa-museo di Bob
        Marley, ma disponiamo di poco tempo, e così, imboccando
        la dissestata strada statale A3, ci lasciamo alle spalle
        Kingston, per addentrarci in balia del nostro sconosciuto
        autista nel buio di una fitta foresta, dalla quale
        usciamo solo dopo un paio dore di ripetute curve,
        una volta giunti sul versante opposto dellisola,
        nella località di Annotto Bay, da dove, in una buona
        mezzora di strada costiera raggiungiamo Port
        Antonio ed il Dragon Bay Hotel, nel quale soggiorneremo
        le prossime notti.
 Il mattino seguente di
        buonora, sono già in piedi a spalancare la
        finestra del nostro bel cottage situato in cima ad una
        collinetta degradante verso il mare. E una
        splendida giornata e il cinguettio dei doctorbirds, i
        colibrì endemici della Jamaica, fa da colonna sonora al
        sublime paesaggio che si manifesta ai miei occhi. Il
        Dragon Bay, incastonato in una meravigliosa piccola baia
        lambita da calme acque trasparenti, ed interamente
        circondata da una rigogliosissima vegetazione, mi appare
        in tutto il suo splendore. Tutto secondo copione, se non
        fosse per il problema non trascurabile del bagaglio.
        Così, dopo aver fatto unabbondante colazione a
        base di uova fritte e bacon, ackee  (tipico frutto
        giamaicano) & Salt Fish (merluzzo), usciamo sul
        piccolo piazzale antistante il nostro cottage in cerca di
        un taxi che ci conduca in paese dove acquistare qualcosa,
        poiché non disponiamo praticamente di nulla, fatta
        eccezione per gli abiti con i quali abbiamo viaggiato.
 Dallalto della
        collina dove ci troviamo, restiamo per un istante
        folgorati dallincredibile vista della Blue Lagoon,
        ed in seguito, considerato che non cè praticamente
        alcun taxi, ci riversiamo sulla strada principale, dove,
        dopo pochi minuti di cammino, saliamo a bordo di uno
        sgangherato autobus, il quale ci permette di raggiungere
        in pochi minuti il paesino di Port Antonio ascoltando
        dellottima musica reggae, sparata a tutto volume da
        una radio posta sul cruscotto del driver.
 Sebbene sia mattina, già
        splende un sole accecante, il quale crea degli
        incredibili giochi di luce con i forti colori tropicali.
        Fa decisamente caldo, ed il paese pullula di gente nella
        quale vorremmo confonderci, ma è ovviamente impossibile
        cromaticamente, e ci sentiamo giustamente osservati.
        Così, veniamo immediatamente avvicinati da una specie di
        armadio ambulante alto un paio di metri, il quale non ci
        molla un attimo e mi parla a pochi centimetri dal viso,
        facendomi sorbire il suo pesante alito saturo di alcool.
        Ci propone rapidamente di tutto, esprimendosi in un
        inglese cantilenato e seguendoci passo dopo passo,
        nonostante cerchiamo ripetutamente di scoraggiarlo.
        Sappiamo che il fenomeno degli hustler è
        assai diffuso in Jamaica, una specie di piaga endemica,
        tanto che lente turistico si è molto dato da fare
        negli ultimi anni per eliminarlo. Gli hustler sono
        persone senza lavoro, che vivono di espedienti ai danni
        dei turisti, spesso semplicemente molestandoli, ma a
        volte anche minacciandoli con fare aggressivo, al fine di
        vendergli a tutti i costi qualcosa o farsi magari
        regalare qualche dollaro. Cerco di fargli capire che
        desideriamo essere lasciati in pace, ma il tizio continua
        a seguirci dappertutto, fino a quando, forse stanco, non
        impreca qualcosa verso di noi e se ne va in unaltra
        direzione brontolando.
 Ci riversiamo
        immediatamente allinterno del pittoresco ed
        affollatissimo Musgrave Market, dove la Jamaica ci offre
        il meglio di se, ammaliandoci con unintensa
        esplosione di colori, odori, suoni. Ci sono decine di
        banchi che offrono uninfinità di frutti come
        banane, guava, cocchi, manghi, star apple, ma anche altri
        che arrostiscono grassi jerk di maiale, lanciando
        nellaria intensi profumi. Riusciamo a comprendere
        ben poco di quanto udiamo, in quanto la maggior parte
        delle urla dei venditori e dei rumorosi ed animati
        colloqui avvengono in un dialetto (patois), il quale
        consiste in misto di termini inglesi, spagnoli, ma
        soprattutto africani. Con non pochi sforzi, ma molto
        divertiti da questa simpaticissima gente, la quale mostra
        tutto il suo calore nelle vivaci contrattazioni,
        acquistiamo qualche maglietta, dei costumi da bagno, dei
        sandali di gomma, ma anche qualche dolcissima e saporita
        banana. Mentre aspettiamo lautobus, veniamo
        avvicinati da un ragazzo sulla trentina, che subito si
        propone per condurci ovunque desideriamo. Gli diciamo che
        non siamo interessati ai suoi servizi, ma si mostra
        simpatico, cordiale, spiritoso, e poi lautobus non
        si decide a partire, quindi saliamo sulla sua vettura,
        dopo aver ovviamente contrattato lo strappo fino al
        nostro albergo.
 Joseph mi piace, trovo il
        ragazzo veramente amichevole e così ci fermiamo un poco
        a scambiare quattro chiacchiere. Si offre di farci
        visitare i dintorni e, nonostante non sia un taxista,
        subito dopo ci troviamo a contrattare sulla cifra da lui
        richiesta, per trasportarci in determinate località che
        ci interessano. Ci diamo quindi appuntamento
        allindomani mattina, ma prima, dopo aver indossato
        i costumi da bagno e le colorate magliette acquistate al
        mercato, ci facciamo accompagnare nella sottostante Blue
        Lagoon.
 Il colpo docchio è
        eccezionale. La profonda laguna dalle acque color giada
        è interamente circondata da una folta vegetazione e si
        apre verso il mare attraverso uno stretto canale, ma è
        alimentata anche da sorgenti di acqua dolce che salgono
        dal basso. Trascorriamo degli intensi attimi sereni,
        comodamente seduti al bar di fronte la laguna,
        sorseggiando una ghiacciata Red Stripe, la
        birra locale, chiamata simpaticamente
        policeman, a causa della striscia rossa posta
        diagonalmente sulletichetta bianca, la quale
        ricorda appunto i pantaloni dei poliziotti giamaicani.
        Veniamo adescati da un ragazzo, il quale ci offre una
        gita in barca che, considerato il tempo magnifico, ed il
        mare dalle mille sfumature che si presenta dinnanzi a
        noi, ci sembra proprio lideale in questo momento.
        Il giamaicano scompare praticamente nel nulla, quasi
        facendoci pensare che non ci siamo compresi, ma poco dopo
        riappare a bordo di una lunga lancia a motore, sulla
        quale saliamo, salpando velocemente verso il mare aperto.
 Il panorama è
        straordinario e dal mare possiamo ammirare ancora meglio
        la fitta vegetazione che ricopre sostanzialmente
        lintera costa, ma più ci allontaniamo dalla
        placida laguna e più le onde diventano grandi, sempre
        più minacciose, terrificanti. Il ragazzo procede spedito
        tagliandole a tutto volume, facendo in questo modo
        oscillare incredibilmente la lancia a destra e sinistra.
        Abbiamo più volte la sensazione di ribaltarci in acqua,
        e gli urlo a squarciagola di rallentare, sorbendomi i
        suoi poco rassicuranti ja mon, no problem
        mon, ma per fortuna rallenta poco dopo la corsa,
        considerato che siamo giunti in prossimità della
        Winnifred Beach, una bella spiaggia a forma di mezzaluna.
        Praticamente terrorizzati scendiamo dalla barca,
        adagiandoci sulla spiaggia dorata in compagnia di
        numerose famigliole giamaicane. Qui siamo gli unici
        turisti e la cosa effettivamente non ci dispiace, anche
        se ovviamente ci sentiamo osservati e, forse, considerati
        a ragione un poco invadenti. Osserviamo i bambini giocare
        semplicemente nelle limpide acque, alcune coppiette
        scambiarsi teneri baci, altre persone che fanno il bagno
        nude in un piccolo torrente poco distante, a ridosso
        della generosa vegetazione tropicale che circonda la
        zona. Nonostante i giovanissimi giamaicani sembrano
        prediligere oggigiorno una sorta di particolare rap
        caraibico, qui il classico reggae aleggia ancora sovrano
        nellaria, contribuendo a conferire al posto
        unaria prettamente giamaicana, la Jamaica che
        sognavo, lontana dalla spiagge turistiche degli hotel
        all inclusive. Passiamo un paio dore
        divertiti su questa spiaggia, crogiolandoci al sole, ma
        dialogando spesso anche con questa gente così amichevole
        e cordiale, che quando parlano tra loro in realtà non
        capiamo, ma che simpaticamente si sforzano di comunicare
        con noi, mentre i bambini, veramente bellissimi, a volte
        si avvicinano per sfotterci chiamandoci
        whitey, e come possiamo dargli torto,
        considerato che a gennaio la nostra abbronzatura estiva
        è bella che andata, ed effettivamente sembriamo dei
        latticini, vicino alle loro belle lucide carnagioni color
        ebano.
 Il giorno successivo
        telefoniamo alla compagnia aerea, ma non riceviamo buone
        notizie, in quanto sembra che il nostro borsone sia
        atterrato a Barbados, e dovrebbe esserci recapitato nei
        giorni seguenti. Quando però, non si sa.
 Joseph arriva puntuale
        allappuntamento. In macchina, assieme a lui siede
        un signore sulla cinquantina, il capitano della nostra
        zattera. Si, perché stamattina siamo diretti al Rio
        Grande per effettuare rafting, ma Joseph ha ben pensato
        di far guadagnare qualcosa a questo suo amico, il quale
        lavora da anni trasportando turisti sul fiume. Il
        percorso fino a Barridale è alquanto piacevole,
        nonostante le strade versino in pessime condizioni e
        siamo costretti ad innumerevoli rallentamenti per evitare
        delle buche grandi come crateri. Oggi è domenica e le
        piccole chiese straripano di fedeli, molti dei quali
        vestiti a festa. Ne incontriamo parecchi lungo la strada
        e restiamo colpiti in particolar modo dalle donne,
        particolarmente agghindate. Le melodie delle messe
        cantate si odono sin fuori i portoni delle chiese, così
        come gli alleluia, che echeggiano imperiosi
        nellaria. Strano ma vero, la Jamaica detiene il
        record del più alto numero di chiese per chilometro
        quadrato al mondo. La maggior parte della popolazione
        appartiene alla Chiesa Anglicana, ma sono presenti anche
        culti battisti, cattolici, metodisti, ed altri ancora.
        Poi, come ci ricorda un anziano signore che incontriamo
        ai margini della strada, una volta usciti dal centro
        abitato, ci sono sempre i rasta. Le sue trecce gli
        arrivano fino ai piedi e sono particolarmente folte,
        ingiallite, hanno laspetto di enormi e spesse funi
        di canapa. I nostri amici ci raccontano che lui è un
        vero rastaman, abita nei boschi e raramente
        scende in paese.
 Continuiamo a viaggiare su
        strade dissestate attraverso bellissime foreste,
        incontrando di tanto in tanto alcuni piccoli agglomerati
        di case molto modeste e qualche ragazzino che porta al
        pascolo delle caprette. Arriviamo quindi nei pressi di
        Barridale, dove troviamo alcune decine di zattere
        ormeggiate su una piccola spiaggia ghiaiosa in
        prossimità del Rio Grande. Joseph ci saluta, dandoci
        appuntamento in prossimità del mare, dove arriveremo
        alla fine del nostro rafting, mentre il
        capitano sceglie una zattera, che fa
        scivolare lentamente in acqua e ci invita a salire.
        Iniziamo quindi a navigare sul fiume, a bordo di questa
        lunga e stretta zattera composta da canne di bambù,
        sulla quale è stato appositamente collocato una specie
        di sedile con tanto di cuscino, che ci permette di stare
        comodamente seduti, mentre il nostro amico si è
        posizionato in piedi sulla parte anteriore, e tramite una
        lunga pertica di legno indirizza la zattera lungo il
        percorso. Il tragitto è alquanto piacevole, e forse
        definirlo rafting è unesagerazione, considerato
        che le rapide che incontriamo sono relativamente poche,
        ma lo spettacolo al quale assistiamo è indimenticabile.
        La vegetazione che accompagna le sponde del Rio Grande è
        rigogliosa, verdissima, intensa.
 Su alcune piccole anse osserviamo diverse donne
        lavare il bucato, così come i soliti bellissimi
        divertiti bambini che ci salutano gridando, mentre spesso
        il cielo si copre di storni di piccoli uccelli colorati.
        Lacqua del fiume è estremamente limpida, ed in una
        piccola rientranza, particolarmente protetta dalla
        corrente, ci tuffiamo per un bagno rigeneratore. Il
        nostro capitano ci racconta di quando, ancora
        bambino, accompagnava il padre sul fiume, e si ricorda di
        Errol Flynn, il celebre attore di Hollywood che, in
        seguito ad una tempesta, approdò a Port Antonio nel 1946
        e sinvaghì talmente tanto del posto da risiederci
        a lungo. Sembra che proprio Flynn inventò il rafting
        turistico sul Rio Grande. Secondo quanto si narra, dopo
        aver osservato le zattere che trasportavano le banane
        dallinterno fino alla costa, avrebbe suggerito lui
        stesso ai residenti lidea di trasportare
        turisti anziché banane, poiché avrebbero
        sicuramente guadagnato molto di più. Dopo il grande Bob,
        ritrovo un altro mito del passato, uno degli eroi della
        mia tenera giovinezza, il mitico Capitan
        Blood, il quale sembra aver intensamente legato
        parte della sua vita a questa splendida terra. Dopo circa tre ore
        intravediamo il mare, segno che la nostra gita in zattera
        è terminata, ed infatti poco dopo udiamo la voce di
        Joseph, che dallalto ci saluta. Torniamo indietro
        lungo la costa, superando Port Antonio ed il nostro
        hotel, quindi ci fermiamo sulla Boston Beach. Altro posto
        frequentato prevalentemente dai locali, ed altra bella
        piccola spiaggia, dove ammiriamo molti giamaicani
        occupati  a cavalcare magistralmente le impetuose
        onde caraibiche con delle rudimentali tavole da surf. Il
        motivo principale per cui ci siamo fermati qui, è però
        dettato dalle molteplici bancarelle dove, su alcuni fusti
        di petrolio tagliati a metà, sta lentamente arrostendo
        il jerk, il cui odore stuzzica non poco il nostro
        famelico appetito. Il termine jerk indica il
        modo come vengono cucinate le carni di maiale e pollo, ma
        talvolta anche il pesce. Le stesse vengono dapprima
        lavate con aceto e marinate successivamente per diverse
        ore in una piccantissima salsa composta da varie spezie,
        dopodiché vengono fatte arrostire lentamente sopra un
        fuoco di legno di pimento, su dei fusti di petrolio
        tagliati a metà e ripiegati in maniera tale che una
        parte funga da coperchio. Anche qui dei grossi
        altoparlanti diffondono nellaria il battito
        cardiaco dellisola, ovvero la pulsante musica
        reggae, mentre noi, divertiti più che mai e con lo
        sguardo rivolto verso limpetuoso Mar dei Carabi,
        gustiamo del pollo dal sapore eccezionale, anche se siamo
        costretti a far fuori diverse policeman, per
        fronteggiare lincendio che è divampato nelle
        nostre bocche. Patrizia chiede a Joseph se è sposato, ed
        il giamaicano, sentendosi forse ora più a suo agio e
        vinte le iniziali diffidenze nei nostri confronti,
        diventa serioso e ci racconta qualcosa di lui e del suo
        paese. Così ci parla dei suoi tre bambini, tutti
        maschi per fortuna, del suo diploma, che gli serve
        però a ben poco, considerato che lavora in una piccola
        fabbrica come operaio, dalla quale spesso si assenta per
        andare a caccia di turisti, poiché in un giorno o due,
        riesce a guadagnare quasi quanto percepisce in un mese di
        lavoro. Joseph conosce bene le elevate tariffe dei taxi
        autorizzati e quelle dei noleggi di autovetture, quindi
        riesce a proporsi ai turisti in maniera per loro
        conveniente, considerato che, chi vuole fare dei lunghi
        giri come noi, non può certo servirsi degli autobus, i
        quali garantiscono solo saltuari collegamenti tra le
        principali località. Ci racconta che spesso però molti
        forestieri hanno paura, non si fidano, e che non di rado
        deve elargire una piccola offerta ai
        poliziotti, in quanto la sua posizione è chiaramente
        illegale, ma il nostro paese versa nella
        corruzione prosegue, per cui è normale,
        tutto funziona così. Joseph continua dicendoci che
        difficilmente il suo paese riuscirà ad uscire dalla
        stato in cui versa, poiché la gente, nonostante la presa
        di coscienza di uno spirito nazionalistico, ragiona
        purtroppo ancora secondo abitudini secolari, spesso
        legate alla condizione di vita degli schiavi, alla quale
        è stata sottoposta per anni. Inoltre, la povertà è
        assai diffusa e molta gente è costretta a vivere alla
        giornata, spesso improvvisandosi nei più disparati
        mestieri. La vecchia società di tipo agricolo si sta
        gradatamente trasformando in una società urbana, anche
        se, la maggior parte di quelli che si recano ad esempio a
        Kingston in cerca di fortuna, accrescono sostanzialmente
        il gran numero di disoccupati che vivono di stenti nelle
        baracche. Molte persone nascono e muoiono povere, e sono
        già fortunate se nella loro triste esistenza non hanno
        mai avuto a che fare con la giustizia. Il guaio, prosegue
        Joseph, è che molti, oltre a non disporre di mezzi
        sufficienti, hanno anche paura di essere intraprendenti,
        di provare a fare qualcosa per smuoversi dallo stato in
        cui versano, ed accettano passivamente la loro vita così
        come viene, come ai tempi degli schiavi, quando gli
        stessi venivano costretti a non prendere iniziative, ed
        obbligati con la forza ad accettare le loro misere
        condizioni. In questo modo non si progredisce, e molti
        trovano la strada del crimine come la più semplice da
        percorrere. Patrizia ed io ci guardiamo per un istante,
        colpiti dalle profonde parole del ragazzo, il quale
        prosegue dicendoci che ci racconta queste cose, perché
        sediamo assieme a lui e alla sua gente senza pregiudizi,
        senza sentirci superiori perché bianchi, e sicuramente
        benestanti. Sapete come chiamano la nostra
        terra? continua il giamaicano, Lisola
        delle tre R, e le stesse significano per la
        stragrande maggioranza dei turisti che mettono piedi qui
        unicamente Rum, Reggae e Rasta, ma nessuno, dico nessuno
        si interessa a noi, alla gente comune che abita questo
        paese, a chi quotidianamente li serve a tavola, li
        accompagna in giro, fa si che non manchi niente nel loro
        dorato soggiorno giamaicano. Rimango completamente
        annichilito da quanto afferma Joseph, ma non posso che
        concordare con le sue affermazioni. Troppo spesso il
        turista è attratto unicamente dalle bellezze naturali di
        un posto, praticamente infischiandosene delle gente che
        vi risiede, e troppo spesso la stessa viene vista
        soltanto come un fenomeno da baraccone, al quale scattare
        foto a ripetizione da mostrare agli amici. La storia
        della Jamaica è una storia che gronda di sangue, il
        sangue sacrificale di migliaia di africani strappati alle
        proprie terre, in virtù di miseri interessi elaborati
        secondo ignobili calcoli fatti a tavolino. I suoi
        abitanti, oltre ad aver subito per anni lonta della
        schiavitù, sono stati assoggettati fino ancor prima
        della recente indipendenza, anche ad una classificazione
        dettata in base al colore della pelle, secondo biechi
        motivi stabiliti dallimpero britannico, facilmente
        riassumibili in dividi et impera. Ecco
        quindi, che questa nazione a larga maggioranza nera, dove
        il potere era tenuto da pochissimi bianchi, divenne una
        nazione fondamentalmente basata sulle sfumature della
        pelle, nella quale, più la stessa tendeva al chiaro e
        più si poteva accedere a determinati servizi, ovviamente
        negati ai più.
 Quasi volutamente, dai
        giganteschi altoparlanti posizionati allinizio
        della spiaggia echeggiano ora le note di Marcus
        Garvey, noto brano di Burning Spear, un altro
        grande del reggae, e non posso far a meno di riflettere
        sulle grandi ideologie di Garvey, ispiratore del
        rastafarianismo, ed autentico sostenitore della
        rivendicazione del nazionalismo nero nel mondo. Già,
        proprio Marcus Garvey, nato e vissuto a lungo in una
        nazione imperniata sulla gamma dei colori, nella quale
        hanno sempre dettato legge gli uomini bianchi, ed in
        rapida successione chi più si avvicinava a questo
        colore, una nazione indipendente solo nel 1962, la cui
        bandiera porta i colori del verde per simboleggiare la
        rigogliosa vegetazione che ricopre il territorio,
        delloro per simboleggiare il sole, ma soprattutto
        del nero, per simboleggiare il colore della sua
        popolazione, diretta discendente dagli africani strappati
        brutalmente alle proprie terre. Nonostante questo, e
        nonostante la forte adesione delle masse al
        rastafarianismo, alla lotta aperta contro
        Babilonia, ed in sostanza allavversione
        nei confronti del corrotto mondo dei bianchi, rifletto
        ancora sul fatto che il primo premier nero a
        tutti gli effetti, sia stato eletto solo trentanni
        dopo lindipendenza, cioè nel 1992, e nel
        frattempo, mentre le note sincopate del reggae si
        contrappongono alle onde violente del mare, incrocio gli
        occhi di Joseph, che credo abbia capito di aver colpito
        nel segno.
 Lasciamo la Boston Beach,
        continuando il nostro giro verso est, lungo la dissestata
        strada A4, nella quale si alternano belle spiagge dal
        mare increspato, a tratti di verdissima vegetazione tanto
        intensa da togliere sostanzialmente ogni visuale. Ogni
        tanto notiamo ai margini della strada dei piccoli
        banchetti che espongono la solita coloratissima frutta,
        mentre a volte, ci troviamo davanti qualche sconquassato
        autobus che rallenta la nostra già fiacca marcia, ma che
        non sempre Joseph riesce a superare, considerato
        lalto numero di buche che rendono molto accidentata
        la strada. Arriviamo alla Long Bay, una lunghissima
        spiaggia a forma di mezzaluna, dove il mare, dolcemente
        increspato, presenta varie tonalità di azzurro. Ci
        fermiamo un paio dore, passeggiando sulla
        spettacolare spiaggia e bagnandoci di tanto in
 
        tanto,
        seppur facendo particolare attenzione alla forte corrente
        che sembra trascinarci pericolosamente verso
        linterno. Il posto presenta unatmosfera
        rilassata, molto informale, e si potrebbe stare qui per
        ore senza far niente, semplicemente osservando le onde
        che sinfrangono sulla bianca spiaggia, od il cielo
        tanto azzurro da far male agli occhi, ma vogliamo
        proseguire oltre, e ci mettiamo alla ricerca di Joseph,
        che nel frattempo si è addormentato sotto una palma.
        Sono ormai le 17 quando,
        poco dopo aver superato il piccolo villaggio di
        Manchioneal, ci addentriamo per un breve tratto verso
        linterno e raggiungiamo le Reach Falls. Sebbene le
        stesse rappresentino una delle principali attrazioni del
        poco turistico distretto del Portland, di fatto non
        cè nessuno, e così, dopo aver sceso una serie di
        gradini, ci troviamo davanti alla scenografica immagine
        delle cascate, interamente circondate dalla foresta
        pluviale. Lacqua del piccolo laghetto sotto le
        cascate è gelida, ma la notevole trasparenza della
        stessa invita assolutamente ad un bagno, e dopo aver
        indugiato non poco, mi immergo lentamente, provando
        dapprima una specie di paralisi dellintero corpo,
        seguita quasi subito da un piacevole senso di diffuso
        benessere. Raggiungo il punto più profondo del laghetto,
        in prossimità del massiccio gettito dacqua
        proveniente dallalto, e mi soffermo meravigliato,
        ad osservare ciò che mi circonda. Mentre lacqua
        precipita con forza sulla mia testa, spazio con lo
        sguardo tra il verde intenso della vegetazione
        circostante e la pozza color giada nella quale sono
        immerso, restando letteralmente incantato da codesto
        spettacolo. Vengo immediatamente raggiunto da Patrizia,
        con la quale ci abbracciamo entusiasticamente sotto il
        gettito dacqua, ed il posto è talmente isolato,
        ricco di suggestivo fascino e così romantico, che quasi
        ci vien voglia di emulare la scena di un famoso film
        girato proprio sotto queste cascate, ma le note
        strimpellate da una piccola chitarra, ed un cenno di
        saluto da parte di un paio di giamaicani che nel
        frattempo hanno raggiunto il laghetto, ci riportano alla
        realtà, seppur sempre piacevole.
 Siamo di nuovo sulla statale A4 ad evitare
        buche, ed a conversare con Joseph, che nel frattempo ha
        inserito un nastro di musica reggae, la quale
        contribuisce sostanzialmente a rendere allegro il
        movimentato tragitto. Poco prima di arrivare al nostro
        hotel, il ragazzo imbocca una stradina sterrata che
        percorre per qualche centinaio di metri, fino a giungere
        in prossimità di una semplice casetta. Questa è
        la mia abitazione, dichiara fieramente il nostro
        amico, invitandoci ad entrare. Subito dopo escono dal
        nulla due bambini, che corrono veloci verso il padre
        salutandolo affettuosamente, prima di scomparire
        nuovamente nei paraggi. Entriamo, nonostante ci sentiamo
        imbarazzati, e facciamo la conoscenza di Margaret, la
        giovane moglie, la quale ci fa accomodare. Le diciamo che
        è ormai tardi, ma Joseph insiste, e ci dispiace
        rifiutare la sua ospitalità, soprattutto dopo quanto ci
        aveva detto in giornata. Linterno della casa, tra
        laltro molto piccola, è arredato alquanto
        modestamente, ma un focolare domestico può essere
        costituito anche da un piccolo fornello dove bolle una
        minestra dallaspro odore, un tavolo, quattro sedie
        e qualche branda, ed inoltre,  la bella Margaret ci
        offre un tè con una dignità tale da far invidia.
        Conosciamo anche Tommy, lultimo dei tre figli che,
        nonostante abbia ormai compiuto i tre anni di età,
        ancora non cammina. Joseph ci spiega che il bimbo è
        normale, non presenta nessuna patologia che gli impedisca
        di camminare, ma non ci riesce, malgrado si presenta
        alquanto vivace, come ben capiamo, anche quando si
        rivolge a noi sorridendoci e spalancando i suoi occhioni
        che sembrano due enormi fari lampeggianti sulla sua bruna
        pelle. Joseph ci spiega che hanno provato a portarlo
        anche dal balmist, una sorta di guaritore che
        pratica antichi riti obeah, cioè legati alla
        magia nera, ma malgrado le numerose pozioni ingerite, il
        bambino non ha fatto progressi. Anche per
        questo continua, spesso mi assento dal
        lavoro, rischiando di fatto il licenziamento, perché
        voglio portarlo da uno specialista a Kingston, uno di
        quei dottori che chiedono un mucchio di soldi per una
        visita. Cerchiamo di rincuorarlo, anche se sappiamo
        che le nostre parole servono a ben poco, e dopo aver
        ringraziato Margaret e salutato Tommy, ci facciamo
        accompagnare in hotel. Telefono alla compagnia
        aerea a Kingston, dalla quale ricevo ancora una volta
        esito negativo circa larrivo del nostro borsone, e
        subito dopo ci sediamo ad uno sgabello del bellissimo bar
        circolare posizionato direttamente sulla spiaggia del
        Dragon Bay Hotel. Qui, dopo aver sorseggiato un paio di
        colorati cocktails a base di rum, scesi facilmente al
        ritmo incalzante del reggae, la Jamaica appare ancora
        più bella e spensierata, anche se non posso far a meno
        di ripensare a questa giornata, alle sentite parole di
        Joseph, a Tommy, a Marcus Garvey, ai ghetti di Kingston,
        allorgoglio nero di una nazione che arranca da
        decenni nelle difficoltà postcoloniali.
 Nelle prime ore del
        mattino seguente, dopo una lauta colazione, ci
        incamminiamo sulla strada principale, raggiungendo in
        breve tempo altre due rinomate gemme dei dintorni. Le
        scenografiche San San Beach e la vicina Frenchmans
        Cove, entrambe immerse in una lussureggiante vegetazione
        tropicale, sono indubbiamente bellissime, tanto che sono
        state usate come set cinematografico per svariati film,
        ma le stesse, poiché sono spiagge private a pagamento,
        rimangono prive di quella calda atmosfera locale a noi
        tanto cara in questi giorni, e pertanto non ci
        entusiasmano particolarmente, sebbene la trasparente
        acqua color verde smeraldo della seconda in particolare,
        le conferisce un fascino speciale, che tende a rapire gli
        sguardi ammaliandoti.
 Poco prima di mezzogiorno
        rientriamo in hotel, dove troviamo Joseph ad attenderci,
        tramite il quale lasciamo definitivamente Port Antonio e
        la florida regione del Portland, percorrendo la statale
        A3 verso ovest. Il ritmo sincopato dellimmancabile
        musica reggae accompagna il nostro viaggio attraverso
        pittoreschi villaggi locali e colorate cittadine ricche
        di fascino come Buff Bay ed Annotto Bay. La strada, come
        sempre sufficientemente sconnessa, alterna tratti in cui
        corre parallela al mare, generalmente abbastanza mosso, a
        tratti in cui si immerge totalmente in una folta
        vegetazione.
 Dopo un paio dore di
        tragitto, il paesaggio prevalentemente rurale lascia il
        posto ai primi cartelloni pubblicitari, mentre le strade,
        dapprima completamente libere, diventano improvvisamente
        trafficate. Capiamo immediatamente che siamo giunti ad
        Ocho Rios e, guida alla mano, ci facciamo condurre da
        Joseph direttamente allHibiscus Lodge, una della
        poche sistemazioni decorose a buon mercato, dove
        contrattiamo il prezzo di una stanza per la notte.
        Scarichiamo velocemente i bagagli, telefoniamo alla
        compagnia aerea per informare dove soggiorneremo questa
        notte, ed approfittando del nostro amico, il quale deve
        compiere il viaggio di ritorno verso Port Antonio, ci
        facciamo accompagnare alla principale attrazione del
        paese, ovvero le Dunns River Falls. Scendiamo nel
        grosso parcheggio adiacente le cascate, dove un forte
        abbraccio ci congeda forse per sempre da Joseph, con il
        quale abbiamo trascorso intensi felici attimi. Sarà
        perché mi affeziono ai posti, sarà perché mi lego
        tremendamente alle persone, ma gli adii non mi sono mai
        piaciuti, e saluto con immensa tristezza Joseph, grazie
        al quale ho vissuto più sentitamente questi giorni in
        Jamaica. Chissà quanti altri bianchi dovrà
        ancora scorazzare sulle tortuose strade del Portland,
        chissà mai quando Tommy inizierà a camminare, e chissà
        quando, il suo paese potrà effettivamente emergere dallo
        stato in cui versa, riscattando definitivamente secoli di
        incivili soprusi.
 Viaggiando attraverso le
        sue trafficate strade avevamo avuto dei preoccupanti
        sentori, ma ora, incamminandoci dal parcheggio verso
        lingresso delle cascate, ci rendiamo effettivamente
        conto di quanto sia diversa Ocho Rios dalla Jamaica che
        abbiamo vissuto in questi giorni. Qui, il turismo
        discreto di Port Antonio lascia il posto alle comitive di
        vacanzieri delle numerose navi da crociera. Quindi anche
        la risalita delle spettacolari Dunns River Falls,
        diventa una sorta daffollato luna park offerto
        dalla natura. Le cascate però sono effettivamente
        scenografiche, e le loro limpide acque degradano per ben
        180 metri verso il mare, formando lungo il percorso
        numerosi piccoli laghetti dove potersi tranquillamente
        immergere, magari in compagnia di qualche grasso
        pensionato americano. Scendiamo attraverso dei comodi
        gradini fino allo sottostante spiaggia lambita da un mare
        che presenta i classici colori caraibici, dopodiché ci
        apprestiamo a risalire le belle cascate, letteralmente
        immerse nella rigogliosa foresta pluviale. Sebbene molti
        paghino delle guide, o si cimentano in buffe e
        coreografiche cordate, la risalita delle
        Dunns River Falls è estremamente semplice, ed il
        piacere migliore consiste nellimmergersi nelle
        tante pozze che sincontrano lungo il percorso.
        Trascorriamo così il pomeriggio, bagnandoci in queste
        chiare acque, ed osservando intere comitive di gente che
        si  diverte come bambini alle giostre. Poco distante
        dal grosso parcheggio, troviamo un grosso mercato che
        vende paccottiglia per turisti a prezzi da rapina, dove
        anche una semplice t-shirt costa unocchio della
        testa, ma il tutto è ampiamente giustificato, poiché
        i  turisti che vanno per la maggiore, qui sono i
        facoltosi yankees che sbarcano giornalmente dalle navi da
        crociera. La sera ci riversiamo per le strade di
        Ochi, anche perché dobbiamo rinnovare il
        guardaroba, considerato che del nostro borsone non
        cè nessuna traccia e sono giorni che indossiamo
        gli stessi indumenti acquistati al mercato di Port
        Antonio.
 Alle cinque del mattino
        del giorno seguente, mentre mia moglie è ancora assorta
        dolcemente nel sonno, mi trovo già sulla veranda della
        nostra stanza ad ammirare il sorgere dellalba,
        mentre unenorme nave da crociera entra lentamente
        nelle placide acque della baia. Ochi si prepara a un
        altro giorno e le Dunns River Falls
        allennesima invasione.
 Decidiamo di non andare a
        Montego Bay, la principale meta turistica
        dellisola, da dove fra tre giorni ripartiremo per
        lItalia, ed optiamo invece per Negril, che dista da
        Ocho Rios quattro o cinque ore di macchina. Già, perché
        qui, considerate le pessime condizioni delle strade
        giamaicane, le distanze si calcolano meglio in ore che in
        chilometri. La spesa per un taxi privato o collettivo è
        però elevata, ed allora proviamo con successo a
        contattare telefonicamente lAir Jamaica Express,
        che in poco più di unora ci farà atterrare
        comodamente a Negril, per la modica cifra di cinquanta
        dollari a persona. Avremmo potuto risparmiare solo
        prendendo almeno un paio di autobus locali, ma avremmo
        impiegato quasi lintera giornata.
 Ecco quindi Negril e la
        sua candida spiaggia lunga circa undici chilometri,
        denominata appunto Long Bay, nella quale si
        alternano innumerevoli bar ed hotel non più alti delle
        palme, a negozietti di souvenir.
 Negril, lontana dai miserabili ghetti di
        Kingston, rappresenta la Jamaica del classico immaginario
        collettivo europeo, la classica isola delle tre R,
        secondo il detto del nostro amico Joseph. Sole, palme,
        sabbia fine color borotalco, mare caraibico, divertimenti
        a non finire, musica reggae sparata a tutto volume.
        Negril invoglia a fare tutto e niente, nel senso che si
        possono praticare tutti gli sport dacqua possibili
        ed immaginabili, oppure si può stare comodamente
        sdraiati allombra di una palma ad osservare la
        gente cha passa, i venditori di frutta tropicale, di
        oggetti dartigianato, di aragoste, di ganja, da noi
        conosciuta più comunemente come marijuana, il cui
        dolciastro odore aleggia nellaria.  Comè lontano il Portland, come sono
        lontane le sue spiagge frequentate prevalentemente dai
        giamaicani, comè lontana la sua dolce atmosfera
        rilassata. Sulla spiaggia di Negril abbondano i rasta, o
        pseudo tali ad uso e consumo turistico, che con le loro
        dreadlocks, le lunghe trecce bruciate dal sole,
        contribuiscono a rendere effettivamente
        Jamaica questimmensa spiaggia, ed a far
        sentire felici le giovani turiste occidentali color latte
        in cerca davventure, con le quali passeggiano per
        mano creando un interessante binomio cromatico. Tra lunghe passeggiate,
        colossali sbronze ai numerosi bar disseminati lungo
        limmensa spiaggia, alcune ore snorkeling sulla
        vicina barriera corallina, il nostro soggiorno giamaicano
        giunge al termine e ci riserviamo per lultima sera
        una visita al luogo culto del circondario, ovvero il
        celeberrimo Ricks Cafè.
 Il bar, situato dalla parte della scogliera,
        consente di ammirare secondo molti uno spettacolare
        tramonto. Paghiamo il biglietto dingresso, il quale
        consiste nellacquisto di una consumazione,
        dopodiché ci sistemiamo seduti su un muretto a picco sul
        Mar dei Carabi. Ingurgitiamo un paio di rum punch, mentre
        brevemente il bar si riempie di turisti, i bassi gonfiano
        ripetutamente le grandi casse acustiche posizionate a
        breve distanza e la mitica voce di Bob Marley diffonde
        nellaria la leggendaria Jamming.
        Ad un tratto tutti
        iniziano a cantare, il rum scorre a fiumi, ed il sole,
        camuffato da grossa sfera color fuoco, inizia la sua
        lenta discesa allorizzonte, adagiandosi lentamente
        nella placide acque caraibiche. Effettivamente debbo
        ammetterlo, si è trattato di un gran bello spettacolo.
 Eh si caro Bob, quanto è
        bella la tua terra.
 In hotel troviamo ad attenderci un messo della
        British Airways, il quale ci comunica che domani ci
        consegneranno il nostro bagaglio, e ci
        elargisce 400 dollari americani come
        indennizzo per i giorni in cui ne siamo stati sprovvisti.
        Lindomani mattina,
        effettuiamo molto presto la solita passeggiata sulla
        lunga spiaggia di Negril, la quale è ancora deserta, e
        quindi effettivamente ancor più bella. Incontriamo i
        soliti colibrì che si divertono saltellare sulla sabbia,
        ed una coppia bianconera che sbuca da un cespuglio, nel
        quale avrà presumibilmente soggiornato tutta la notte.
        Poco distante, alcune donne iniziano a montare i loro
        banchetti, dove appendono colorati parei, teli da mare
        che rappresentano la bandiera giamaicana, cuffie in lana
        o cotone con i colori rasta, i colori dellEtiopia.
        Lentamente la spiaggia si popola, Negril assume la
        consueta fisionomia, la musica reggae ritma il tempo, i
        venditori ambulanti iniziano le loro innumerevoli
        passeggiate, i facoltosi turisti rosolano al sole cocente
        della Jamaica, lodore della ganja si espande
        nellaria.
 Davanti la porta del
        nostro bungalow troviamo il nostro borsone, ma ormai il
        nostro viaggio è finito, la sera raggiungiamo
        laeroporto di Montego Bay, ed al check-inn troviamo
        uninaspettata sorpresa. Imbarchiamo il bagaglio, ed
        entriamo allinterno del moderno aeroporto, dove
        apriamo la busta a noi indirizzata, contenente una
        lettera con su scritte poche righe: Cari Benedetto
        e Patrizia, inaspettatamente Tommy ha mosso ieri sera i
        primi passi, sono estremamente felice e pensavo sareste
        stati contenti anche voi di apprenderlo. Tornate a
        trovarci, voglio farvi conoscere molti altri posti della
        mia terra, e Margaret desidera invitarvi a cena, per
        farvi gustare la sua rinomata cucina. Con amicizia,
        Joseph.
 Alzo lo sguardo, scorgendo
        un manifesto che pubblicizza le tante bellezze nazionali,
        ed un ritratto del grande Bob, The king of
        reggae. Ripiego con cura la lettera, asciugo gli
        occhi, ormai completamente inumiditi e stringo forte la
        mano di Patrizia.
 Si, ora ne sono certo, un
        giorno torneremo sullisola delle tre R.
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