- Aquarela do Brasil -   


Venerdì 13. Sì, niente male come data per partire. Venivamo da un anno difficile, caratterizzato da un’infinita ristrutturazione e da un trasloco effettuato in extremis, con tutto ciò che lo stesso generalmente comporta. Per la prima volta nella mia vita, malgrado tutto, non avevo molta voglia di viaggiare. Ero stanco, stressato, provato fisicamente e psicologicamente. Venerdì 13 dunque, e pensavo scherzosamente che avremmo volato assieme a Jason, il sanguinario protagonista di quella serie di film horror così intitolati. E poi, quella coincidenza strettissima a Lisbona, appena quarantacinque minuti per cambiare aereo, una coincidenza che, nonostante le ripetute rassicurazioni della compagnia aerea, non mi lasciava affatto tranquillo. Quando l’aereo della Tap decolla da Fiumicino con più di mezz’ora di ritardo, già mi vedo vagare per le vie di Lisbona, mentre tra le file dei passeggeri s’aggira ridendo il fantasma di Jason. Maledetto il giorno in cui la mia razionalità ha sopraffatto quel pizzico d’inevitabile scaramanzia che quasi ognuno di noi possiede, malgrado tenda a convincersi del contrario. Il volo risulterà più breve del previsto, lasciandoci venti minuti di tempo per cambiare aereo, venti minuti puntualmente azzerati dai vari spostamenti all’interno dell’aeroporto, nonché dagli inevitabili controlli. Niente, l’aereo dovrebbe esser ormai decollato da una decina di minuti. Venerdì 13, “ci credi ora alla iella?”, pensavo sconsolato. Scoprirò però che, malgrado il tabellone segnali il nostro volo in partenza, l’imbarco non è stato mai effettuato, così come quello di tutti gli altri voli per il Brasile, ampiamente posticipati, in alcuni casi addirittura di qualche ora. Nel terminal regna il caos. I display diffondono informazioni del tutto sbagliate, le porte d’imbarco sono erroneamente prese d’assalto, il personale aeroportuale fornisce informazioni confuse e frammentarie, invitando tutti ad avere pazienza, mentre Jason siede in un angolo e sa la ride, in fondo oggi è venerdì 13, e quanti passeggeri sento incredibilmente inveire contro questa fatidica data. Restiamo nei paraggi del gate, assistendo all’imbarco di almeno tre voli, mentre non c’è traccia del nostro, nonostante non venga minimamente cambiato l’orario sui display, fino a quando ci avvisano che l’imbarco sarà effettuato a breve presso un’altra uscita. Finalmente decolliamo, lasciandoci alle spalle il grande pandemonio oggi presente nell’aeroporto lusitano. Jason ci saluta e se va definitivamente, il Brasile ci aspetta.E’ già buio quando sette ore e mezza dopo atterriamo al Guararapes International di Recife, capitale dello stato del Pernambuco nel nordest brasiliano, dove veniamo accolti da una leggera pioggerellina. In quasi un’ora di auto, copriamo i circa sessanta chilometri che ci separano da Porto de Galinhas, meta scelta come nostra base pernambucana, dove caliamo il sipario su questo  interminabile venerdì 13. Ma in fondo, siamo davvero così superstiziosi?

L’indomani splende fortunatamente il sole. L’hotel prenotato per le prime notti è spettacolare, ma troppo grande e dispersivo per i nostri gusti, sebbene presenti indubbiamente un elevato standard  qualitativo, ed è stato scelto appositamente per far ambientare senza problemi Valentina. In breve ci accorgiamo che è frequentato quasi esclusivamente da brasiliani, per lo più facoltosi abitanti di San Paolo. Ci troviamo nei pressi di Muro Alto, un tempo spiaggia isolata e raggiungibile unicamente con le Dune Buggy dal vicino villaggio di Porto de Galinhas, mentre attualmente annovera un paio di resort, nonché alcuni condomini in costruzione. 

La spiaggia di fronte al nostro hotel è soggetta al fenomeno delle maree, come del resto tutto il tratto costiero del circondario, così, mentre al mattino l’Atlantico si ritira, creando delle piccole piscine naturali protette da scogliere sulle quali s’infrangono le immense onde oceaniche, nel pomeriggio irrompe fragorosamente sul litorale caratterizzato da interminabili file di affusolate palme da cocco. A breve distanza sorge appunto Muro Alto, un immenso spiaggione lungo quasi due chilometri e mezzo, ed interamente protetto da scogliere, le quali creano una grande laguna dalle placide acque. Trascorriamo la giornata su questa spiaggia, il cui tratto iniziale è molto frequentato ed animato, essendo tra l’altro meta di escursioni con le Dune Buggy, mentre diventa pressoché deserto allontanandosi qualche centinaia di metri. Nonostante siamo in inverno, la temperatura si aggira sui ventotto gradi, con un’assenza quasi totale di umidità, ed è estremamente piacevole trascorrere spensieratamente del tempo in spiaggia, ammirando la bellezza esplosiva del paesaggio circostante, la forza brutale dell’Oceano che s’arresta sulla fila di scogliere, l’andirivieni dei venditori ambulanti di parei, noccioline, agua de coco, souvenir vari. Nel pomeriggio ci rechiamo nel paesino di Porto de Galinhas, costituito da poco più di un pugno di case e negozietti ad uso e consumo turistico. Il luogo, venne così chiamato perché, quando fu ufficialmente abolita la schiavitù, qui continuarono ad imperversare i contrabbandieri di schiavi, i quali, per avvisare agli acquirenti che era giunto il triste carico umano, erano soliti usare una sorta di parola d’ordine, in cui comunicavano che erano arrivate le galline dell’Angola. Da qui, appunto il nome “Porto delle galline”.Mentre sta lentamente imbrunendo, sorseggiando una sublime Antartica, terminiamo questa giornata in un bar in riva al mare, da cui ammiriamo il lungo tratto di costa che si estende a perdita d’occhio, fino a quando la sabbia e le palme si mischiano alla spuma creata dalle immense onde oceaniche, diventando un tutt’uno.

Pioggia. Stamattina piove, e lo fa di brutto. Avevamo in mente di fare un giro in dune buggy lungo il litorale di Porto de Galinhas, ma lo rimandiamo a domani, sperando sempre nella clemenza del tempo, piuttosto instabile a quanto sembra. Conosciamo Adriano, un simpaticissimo taxista con il quale contrattiamo un’escursione dell’intera giornata a Recife ed Olinda. La spuntiamo per 120 reais, grosso modo trentatre euro, e ci sembra pochissimo, considerata la confortevole macchina con aria condizionata di cui dispone, la distanza e, soprattutto, il tempo che avremo a nostra disposizione, ovvero tutto il giorno. Partiamo quindi verso le nove sotto una pioggia battente, che però cessa già all’altezza di Ipojuca, cittadina che annovera nel suo municipio la stessa Porto de Galinhas. Il paesaggio che scorre fuori dai finestrini dell’auto è costituito da immense distese di piantagioni di canna da zucchero, che in sostanza rappresenta la principale fonte di reddito del Pernambuco. Attraversiamo dei minuscoli villaggi, per la maggior parte composti da una manciata di basse case con le scritte colorate sui muri, una stazione di benzina, spesso un lanchonete, tipico locale dove consumare dei sandwich, ma dove notiamo non mancare quasi mai uno spazio nel quale un pugno di ragazzini a piedi nudi giocano a calcio. Dopo un’ora scarsa le piantagioni iniziano a diradarsi, le strade diventano più ampie e trafficate, ed iniziano ad intravedersi le sagome dei grattacieli di Recife. Splende ormai il sole quando passeggiamo lungo il calçadão dell’Avenida Boa Viagem, la lunga arteria che costeggia l’omonima spiaggia, lungo la quale si alternano da un lato eleganti condomini, alberghi, ristoranti, banche e negozi, e dell’altro appunto la spiaggia, delimitata da file di basse palme da cocco. Ci fermiamo un po’, proprio sotto l’ombra di una palma, presso uno dei tanti chioschi presenti su questa immensa spiaggia lunga circa sette chilometri. Patrizia e Valentina sorseggiano la gustosissima acqua di cocco, magistralmente aperto dal barista con assoluta maestria, tramite un paio di colpi di machete ben assestati, mentre il sottoscritto si diletta con una sublime caipirinha. Ci colpiscono i cartelli di pericolo inerenti gli attacchi degli squali, ed effettivamente quest’anno, fino ad oggi si sono verificati a Recife già sei episodi, anche se la maggior parte degli stessi riguardano non propriamente Boa Viagem, quanto la vicina spiaggia di Piedade. Sembrerebbe che gli arenili della capitale pernambucana convivano da sempre con questo tipo di problema, anche se in passato riguardavano solo i surfisti, i quali venivano attaccati soventemente lontano da riva, mentre recentemente gli squali si avvicinano sempre più alla spiaggia. Comunque sia, un lungo tratto di Boa Viagem è protetto da una serie di scogliere, che formano delle piscine naturali ove potersi bagnare in tranquillità, come notiamo fare a moltissima gente. 

Lasciamo Recife, dove torneremo nel pomeriggio, per dirigerci alla volta di Olinda, distante circa sei chilometri dalla stessa. Iniziamo a piedi il nostro giro da Praça do Carmo, dando appuntamento ad Adriano per il pranzo, in un ristorante ubicato più in alto. Olinda si sviluppa infatti su una collina, ed è puro piacere visitare le sue tante chiese barocche e passeggiare tra le sue lastricate viuzze tortuose, ammirando le belle case coloniali color pastello, arricchite da finestre in ferro battuto, pesanti porte intarsiate, antichi balconi. Questa incantevole cittadina, dichiarata dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità, fu fondata dai portoghesi nella prima metà del 1500, e divenne un punto strategico del Pernambuco, nonché capitale della capitaneria fino al 1631, quando, durante l’invasione olandese, fu completamente rasa al suolo. La quasi totalità dei suoi edifici, quelli che vediamo attualmente, furono dunque ricostruiti negli anni a seguire, e nel 1825 la città perse il titolo di capitale a favore della vicina Recife. Oggi Olinda rappresenta una delle città coloniali più integre del Brasile, un’autentica perla culturale di cui può a ben ragione vantarsi il Pernambuco, ed a detta di molti,   annovera anche uno dei migliori carnevali del paese.

 Ben presto, passeggiando tra le spettacolari stradine di Olinda, sotto un sole che ora spacca le pietre, ci accorgiamo che vale la pena ingaggiare una guida, non tanto per le spiegazioni, che comunque di certo non disdegniamo, quanto per scoraggiare le altre, che ci tampinano in continuazione. Assoldiamo quindi un simpatico quindicenne che, per soli venti reais, poco meno di sei euro, si rivelerà un’autentica enciclopedia vivente di Olinda. Ben presto si resta ammaliati dalla magia di questo posto, dalle sue chiese, dai suoi colori, dalle sue spettacolari vedute, prima tra tutte quella offerta dalla Piazza Alto da Sé, dove l’Igreja do Carmo, circondata dal verde della vegetazione tropicale, sembra sbucare direttamente dall’azzurro dell’Atlantico, mentre volgendo lo sguardo verso destra, si vedono chiaramente i profili degli alti grattacieli di Recife. Olinda è indubbiamente un gran bel posto e ritengo che sarebbe opportuno anche soggiornarvi, per godersela con la calma che merita, facendosi trasportare dalla sua bellezza e perdendosi senza una meta precisa, tra le sue stradine senza tempo. Terminata la nostra visita, raggiungiamo l’Oficina do Sabor, il ristorante dove troviamo Adriano ad attenderci, a cui offriamo il pranzo, nonostante il suo iniziale rifiuto, dovuto ad un lecito imbarazzo. Gran brava persona Adriano, un ragazzo estremamente educato, cortese e disponibile. Ci racconta dei suoi quattro figli, due dei quali vivono a San Paolo con la prima moglie e la cosa che più ci sorprende, è che ha solo venticinque anni. Ben presto la tavola viene riempita di pietanze. Un quarto di bue grigliato con riso bianco e patatine fritte, dovrebbe essere il filetto richiesto per Valentina, mentre una sorta di zucca (moranga) contenente dei giganteschi gamberoni, ed uno smisurato vassoio con del riso e polipo, ovvero dei piatti in grado di sfamare un intero esercito, costituiscono il pranzo del sottoscritto, Patrizia, ed Adriano, che annaffiamo con dell’ottima cerveja Brahma. La cosa più singolare, sarà comunque il conto, ammontante a 116 reais, poco più di trentadue euro. Nel pomeriggio, completamente satolli, torniamo a Recife, di cui visitiamo la parte antica. La città, essendosi sviluppata su delle isole formate dai fiumi Capibaribe e Beberibe, e disponendo di vari ponti che collegano le stesse, è stata nel tempo soprannominata la Venezia del Brasile, ma ritengo personalmente che l’accostamento all’italica città lagunare sia del tutto fuori luogo. Malgrado Recife possieda comunque alcuni bei edifici, non è a mio avviso particolarmente attraente e girandola un pochino al di fuori della turistica Boa Viagem, emergono purtroppo facilmente alcuni forti problemi sociali che la caratterizzano, come le favelas, facilmente visibili su una sponda del Capibaribe, o le decine di bambini che dormono nelle strade del centro, tristi elementi in stridente contrasto con lo shopping Recife, un mastodontico e modernissimo centro commerciale, dove ci fermiamo a prelevare del denaro ad uno sportello bancomat. La città, la cui sola area urbana annovera oltre il milione e mezzo di abitanti, deve far spesso fronte a numerosi problemi di carattere sociale e sanitario, considerate alcune forme di epidemie che sovente l’affliggono, come quella di leptospirosi, scoppiata appena due mesi fa, a seguito di una pesante alluvione, che aveva intasato il sistema fognario. Dopo esserci fermati presso un supermercato appartenente alla catena Bompreço, che scopriremo essere assai diffusa nelle altre città che visiteremo, riprendiamo la nostra marcia verso Porto de Galinhas, poco prima della quale restiamo bloccati dietro ad un corteo di propaganda politica. Una coda composta da almeno una decina di automobili, oltre che da un paio di autobus, pubblicizzano il volto del candidato. Il prossimo ottobre, in moltissimi municipi della federazione ci saranno le elezioni dei prefeitos (sindaci), viceprefeitos (vicesindaci) e vereadores (consiglieri comunali). Adriano scuote la testa, dicendoci che il candidato in questione, altri non è che uno dei principali proprietari terrieri del municipio di Ipojuca. Vedi quel terreno, quell’altro, e quell’altro ancora? Sono i suoi, ci dice sconsolato. Come possiamo aver fiducia in una persona così, che ha sempre salvaguardato esclusivamente i propri interessi? Non possiamo certo dargli torto, considerato che il sistema latifondista è praticamente intrinseco da queste parti, dove la totalità delle terre è in mano ad un pugno di persone. Torniamo dunque a Porto de Galinhas, giusto in tempo per sorseggiare una meritata caipirinha, contemplando il sole che si corica dolcemente tra le grandi onde dell’Atlantico.

Anche quest’oggi ci svegliamo con la pioggia. Poco male, considerato che ieri, pur diluviando in mattinata, la giornata è stata in seguito eccezionale. Decidiamo dunque di effettuare un giro in dune buggy lungo il litorale di Porto de Galinhas. Ci informiamo in hotel circa un “passeio de buggy”, prenotando alla reception un’escursione di quattro ore per 60 reais, ma, appena conosciuto il bugeiro, questi ci dice che, aggiungendo appena altri 20 reais (meno di sei euro), sarebbe stato a nostra disposizione per l’intera giornata. Come rifiutare una simile offerta? Partiamo dunque, attraversando rapidamente alcuni boschetti di palme da cocco, fino ad arrivare alla praia de Gamboa, continuazione naturale di Muro Alto, che troviamo letteralmente deserta. Tira un forte vento, ma questo consente anche al cielo di aprirsi lentamente, facendo rapidamente cambiare colore alla sottostante laguna naturale, la quale inizia a tinteggiarsi di verde. Si riparte a velocità sostenuta, prendendo dapprima la strada principale, salvo poi immetterci nuovamente all’interno, verso la costa, passando per una fitta foresta, che, come appositamente segnalato, costituisce una piccola porzione di mata atlantica. Giungiamo quindi sulla spiaggia do Cupe,

bellissima, immensa, totalmente deserta e letteralmente cosparsa da altissime palme da cocco lievemente piegate dal vento, che riflettono la propria immagine sull’esteso bagnasciuga. La prima lunga parte della spiaggia è zona protetta, in quanto vi vengono stagionalmente a deporre le uova le tartarughe marine, mentre più in là, man mano che ci si avvicina al centro di Porto de Galinhas, s’incontrano i primi complessi alberghieri. Eccoci dunque nel centro del piccolo paesino, puntuali secondo l’orario delle maree, per salpare a bordo di una jangada alla volta delle rinomate piscine naturali. Qui, infatti, dopo una decina di minuti di navigazione, approdiamo su un’immensa radura costituita da coralli morti, all’interno di cui sorgono delle pozze d’acqua caldissima, dove sguazzano decine di pesci multicolori. In diverse di queste piscine naturali, risorgive secondo alcune teorie, è consentito immergersi, mentre in delle zone appositamente delineate, ed il cui accesso è ovviamente negato, i coralli sono tutt’ora vivi, ed ammirabili nel loro splendore. Ora il cielo si è aperto, dandoci la possibilità di osservare con meraviglia questo particolare posto in tutta la sua bellezza cromatica, ed è puro spettacolo ammirare questi coloratissimi pesci nuotare in queste pozze di acqua cristallina, spaziando successivamente la vista verso la costa ricoperta di palme, ed il mare circostante, totalmente disseminato dalle colorate vele delle tante jangadas. L’oceano ora inizia lentamente ad ingrossarsi, ed è giunto il tempo di risalire a bordo della jangada, mentre il cielo si è nuovamente oscurato, ed all’improvviso, nel bel mezzo della traversata, si diverte a mandar giù tanta di quell’acqua, che quasi rischiamo di affogarci. Per fortuna abbiamo con noi gli inseparabili key-way, che ci permettono di limitare i danni. Decidiamo di sostare per il pranzo al ristorante Miramar, ubicato proprio sulla spiaggia principale di Porto di Galinhas, dove, dopo aver sorseggiato come aperitivo una sublime caipirinha, consumiamo uno squisito e ricco antipasto composto da granchio fritto, ed un megapiatto di aragostine grigliate, accompagnate da una quantità indefinita di riso e contorni vari, annacquandoli con più di qualche bottiglia di gelata cerveja Antartica, che inizio in assoluto a prediligere tra le birre provate finora. Nel frattempo le nuvole si sono completamente diradate, ed il sole è tornato a splendere. La spiaggia di Porto de Galinhas si è animata di turisti, venditori di cibarie varie che spaziano dagli anacardi agli spiedini di formaggio fusi sulla carbonella, ragazzi che giocano a calcio, volenterose signore in cerca di qualche chioma su cui modellare le treccine, mentre delle piscine naturali, questa mattina facilmente visibili da riva, non c’è traccia, essendo state completamente inghiottite dal mare, un mare dagli splendidi colori, le cui grosse onde s’infrangono ora poderosamente sulla battigia. Cerchiamo il nostro amico tra i tanti bugeiros che stazionano dietro il ristorante, dopodiché riprendiamo la nostra marcia, raggiungendo in breve la spiaggia di Maracaípe, luogo frequentato prevalentemente dai surfisti. Il posto è incantevole, tanto che proviamo a cercare un alloggio per i prossimi giorni, quando lasceremo il nostro hotel di Muro Alto, ma le poche poudas presenti risultano al gran completo. Dopo aver a lungo passeggiato sulla lunga spiaggia, rimontiamo sul buggy alla volta del vicino Pontal de Maracaípe, dove l’omonimo fiume si getta placidamente nell’Atlantico, in un ambiente costituito da fitta vegetazione tropicale e mangrovie. Mentre i raggi solari scaldano ora vigorosamente la nostra pelle, saliamo su una jangada, risalendo lentamente parte del Rio Maracaípe. Purtroppo, le piogge degli ultimi giorni hanno reso abbastanza torbida l’acqua, non consentendoci di avvistare i cavallucci marini, di cui il posto è riserva naturale protetta. Il barcaiolo decide però di non privarci di tale spettacolo, così, aiutato da un suo collega, il quale ha nel frattempo allineato la propria jandada alla nostra, si cala nell’acqua bassa e raccoglie in un vaso di vetro qualche esemplare mostrandocelo, per la felicità soprattutto di Valentina, a cui ricorda un personaggio presente nel lungometraggio de La Sirenetta. Dopo aver liberato gli animali, continuiamo il nostro giro attraverso le mangrovie, dopodiché rientriamo in paese, sondando con scarso successo la disponibilità di qualche pousada che ci aggradava, e successivamente in hotel, facendo meritatamente calare il sipario su questa intensa giornata. L’indomani ci svegliamo con un grosso problema, anzi, ci sveglia Valentina, perché vomita. La bambina non sta visibilmente bene, in quanto non riesce ad ingerire nulla senza rimetterlo velocemente. Ci rechiamo presso il locale ambulatorio, dove la dottoressa di turno, dopo averla visitata, le somministra uno sciroppo, dicendoci che ha probabilmente contratto un virus, ed invitandoci a tornare nel pomeriggio per un controllo. Trascorriamo dunque in camera l’intera mattinata e, considerato che lo sciroppo non sortisce l’effetto previsto, torniamo nel primo pomeriggio in ambulatorio, dove le viene praticata un’iniezione, che per fortuna risolverà definitivamente il problema. Nel pomeriggio Patrizia rimane in hotel con la piccola, mentre io, dopo aver chiamato Adriano al cellulare, mi muovo alla ricerca di un alloggio dove trascorrere i restanti giorni qui a Porto de Galinhas, considerato soprattutto che  dove ci troviamo ora non c’è posto. Essendo le pousadas che più mi piacevano tutte piene, scelgo un albergo ubicato direttamente sulla spiaggia, ed il cui costo è tutto sommato non proibitivo, considerati i servizi che offre. Il giorno seguente dunque ci trasferiamo. Conosciamo una simpatica coppia di Milano, anch’essa con una bambina, tra l’altro coetanea di Valentina e di cui sarà compagna di giochi nel tempo che trascorreremo sulla spiaggia adiacente. Qui il paese è decisamente più vicino e facilmente raggiungibile via spiaggia con mezz’ora di passeggiata, cosa che faremo di sovente. Dopo un paio di giorni lasciamo il Pernambuco, con il sottile rimpianto di non esser stati ad Itamaracà, ed al suo centro studi del peixe-boi (lamantino), la cui visita rientrava nei nostri programmi. Con un’ora di volo raggiungiamo in serata Salvador, capitale dello stato di Bahia, dove alloggiamo in un appartamento ubicato nella moderna zona di Ondina. Ci rechiamo quindi a far spesa in un vicino supermercato, facendo una scorta di cibarie varie per Valentina, dopodiché usciamo alla volta della churrascaria Boi Preto, ubicata sull’Avenida Otávio Mangabeira, s/nº Jd. Armação. E’ la nostra prima esperienza in questi tipi di locali, assai diffusi in Brasile. Ad un prezzo fisso, ammontante grosso modo a 20 euro, birra a volontà compresa, possiamo dapprima servirci presso un buffet contenente oltre quaranta tipi d’insalate, formaggi, pasta, paella, frutti di mare vari tra cui aragoste, polipi, gamberoni, dopodiché, se così si può dire, si passa a mangiare concretamente… Si viene muniti di un piccolo disco da porre sulla tavola. Da una parte è colorato di verde e dall’altra di rosso. Lasciandolo dalla parte verde, si da il via alle danze dei camerieri, che servono continuamente tra i tavoli una quantità industriale di carne di eccellente qualità cotta alla brace, che presentano infilzata in dei giganteschi spiedi, tagliandone la quantità desiderata direttamente nei piatti dei commensali. Si va da oltre sette tagli di manzo, alle costine di maiale, dallo gnu all’agnello, dalle quaglie al pollo, dalle salsicce al vitello, a cui vengono accompagnati del riso bianco, fagioli neri, formaggio fuso e salse varie. Solo quando ci si arrende, girando il disco dalla parte rossa, il festival termina e, se si dispone ancora di un piccolo angolino nello stomaco, si può passare alla frutta, ed ai dolci. Cullati del poderoso rumore delle onde del sottostante oceano, ci addormentiamo sazi come non mai, qui, a Salvador de Bahia.

Il giorno successivo ci muoviamo alla volta della Praça Thomè de Souza, per andare alla scoperta del Pelourinho. Ci soffermiamo un po’ di tempo vicino all’ingresso dell’Elevador Lacerda, l’ascensore in stile Liberty che collega la parte alta della città, dove ci troviamo attualmente, alla parte bassa. Da qui, possiamo godere della spettacolare visuale offerta dalla Baia di Todos os Santos e della sottostante cidade baixa. Salvador, che annovera quasi due milioni e mezzo di abitanti, afro-brasiliani per un buon 80%, sorge infatti sulla punta meridionale di una penisola affacciata sulla Baia di tutti i Santi, così chiamata, perché Amerigo Vespucci vi approdò appunto il primo novembre del 1501. Iniziamo dunque la nostra passeggiata nel Pelourinho, la parte storica della città, dichiarata nel 1985 dall’Unesco patrimonio culturale dell’umanità, la quale ha subito una colossale opera di restauro, che ha consentito alle sue tante chiese, ed ai suoi innumerevoli edifici coloniali, di tornare al loro antico splendore. In breve giungiamo al Terreiro de Jesus, una delle piazze più suggestive della città vecchia, circondata da antiche costruzioni, ed abbellita in alcuni tratti da alberi e palme reali. Si resta ammaliati dalla bellezza di questo posto, che tende a farti istintivamente muovere senza fretta, al fine di spaziare lentamente con la vista tra le sue tante ricchezze, temendo quasi che qualcosa possa sfuggirti. Così come stupiscono gli interni finemente decorati delle sue sfarzose chiese, primo tra tutti quello della Cattedrale, in stile barocco e neoclassico, costituito da varie navate, e caratterizzato da un incantevole soffitto intarsiato da disegni dorati, 

o quello della Igreja São Francisco, contraddistinto da un imponente lampadario d’argento, da pareti che sembrano tappezzate da lamine d’oro e da alcune balaustre costituite da legno nero di jacarandà, mentre ovunque si notano sculture squisitamente intagliate rappresentanti cherubini, animali ed angeli, alcuni dei quali raffigurati con immense teste o con organi sessuali sproporzionati, appositamente realizzate in questo modo dagli schiavi, che così sfogavano la propria frustrazione. Sì, perché Salvador è fatta anche e soprattutto di lacrime e sangue, quelle di decine di milioni di africani trafugati qui dalla madrepatria, e, come ha spesso scritto il grande scrittore bahiano Jorge Amado, l’Africa in fondo costituisce di fatto l’ombelico di Bahia. Africa presente nei tratti somatici dei suoi abitanti, nelle pietanze, nei riti religiosi. L’Africa degli orixàs, divinità di origine yoruba che incarnano le forze della natura, protagoniste di un sincretismo religioso con i santi cattolici portoghesi, ed interpreti di prim’ordine nella suggestiva manifestazione dalle finalità puramente pragmatiche, quale è il culto afro-brasiliano del Candomblè, in cui le stesse divinità entrano in contatto con gli uomini, penetrando nei loro corpi che, ormai in stato di tranche, si abbandonano in danze e movimenti rappresentativi, ricavando l’axè, energia vitale che permea tutte le materie del creato. Colpisce dritto al cuore il Pelourinho, colpisce con le sue bellezze artistiche ed architettoniche, nonché con le grandi contraddizioni che lo caratterizzano, costituite soprattutto da realtà e finzione, sacro e profano, antico e moderno. La realtà degli storici edifici, dei bei palazzi coloniali, delle strade acciottolate e delle tante chiese barocche. La finzione della messa in scena turistica, con i vecchi abitanti a cui è stata offerta una buonuscita per liberare le case da adibire a negozi di souvenir, bar e ristoranti, sottraendo di fatto l’anima socioculturale a questo antico quartiere e conferendogli una natura sintetica, accresciuta dalle ragazze vestite in abiti tradizionali, pronte a posare dietro lauto compenso per i turisti. Il sacro delle maestose chiese, dei chiostri circondati da mura decorate da spettacolari azulejos, 

dell’austerità dei monasteri. Il profano di altre chiese come Nossa Senhora do Rosario dos Pretos, in Largo do Pelourinho, una delle poche dove è ammesso il rito cattolico-sincretico, secondo cui gli orixàs diventano santi cattolici. Ecco dunque che Sant’Antonio viene identificato con Ogum, dio del ferro e della guerra, San Giorgio con Oxòssi, divinità dei cacciatori, Omulu, dio delle malattie e dei dolori, con San Lazzaro, Yansa, dea dei venti e delle tempeste, con Santa Barbara, Yemanjà, dea delle acque, con la Madonna, ed altro ancora. L’antico, costituito dai tanti banchetti disseminati agli angoli delle strade, appartenenti alle venditrici di acarajé, una sorta di polpetta di fagioli e cipolle fritta nell’olio di dendè, (una palma di origine africana), e farcita con peperoncino, vatapà o gamberetti essiccati. Il moderno dei ristoranti che propongono pizza e degli internet point. E’ davvero piacevole passeggiare tra le stradine del Pelourinho, soffermarsi ad osservare qualche improvvisato spettacolo di capoeira, antica lotta praticata dagli schiavi africani, in seguito proibita e trasformatasi in una sorta di danza, fino ad essere oggigiorno considerata come uno sport nazionale, nonché riconosciuta quale espressione socioculturale, ereditata dal periodo coloniale. Nonostante il Pelourinho abbia sicuramente perso  autenticità, rimane a mio avviso affascinante, malgrado i tanti negozi turistici, ed i numerosi poliziotti intenti a sorvegliare i turisti nelle ladeiras da eventuali malintenzionati. Verso l’ora di pranzo, il forte odore dell’olio di dendè si propaga nell’aria pungendo le narici dei visitatori, quasi avvisandoli che dietro il prossimo angolo si trova un banchetto di acarajé. Quest’oggi salteremmo tranquillamente il pranzo, continuando a girovagare in questo antico quartiere coloniale, ma Valentina ha le sue esigenze e pertanto ne approfittiamo… fermandoci in Rua Frei Vicente, presso il ristorante Sorriso di Dadà, dove consumiamo una sublime moqueca de polvo, uno stufato di polipo tipicamente bahiano, i cui ingredienti primari sono costituiti oltre che dal pesce (esistono, come nel caso della nostra scelta, varie versioni, ma l’originale è appunto la moqueca de peixe), anche dall’olio di dendè e latte di cocco, ma in cui figurano cipolle, aglio, peperoni, coriandolo, pomodori, prezzemolo e peperoncino. Sapore indubbiamente forte, ma delizioso a nostro avviso, e, come al solito, le porzioni servite sono a dir poco gigantesche, ed andrebbero probabilmente considerate per due persone. Dopo pranzo continuiamo il nostro giro, fermandoci proprio in Largo do Pelourinho, la piazza dove venivano frustati e messi pubblicamente alla gogna gli schiavi, un posto che evoca feroci sofferenze, ed atroci ingiustizie. Visitiamo la Fundação Casa de Jorge Amado, piccolo museo contenente numerose foto e trame dei libri del famoso scrittore bahiano scomparso nel 2001, e l’attiguo Museo da Cidade, nel quale sono riportati gli abiti degli orixàs raffigurati nel Candomblè, vecchie foto della città di Salvador, antichi dipinti e statuine appartenenti al periodo coloniale. Risaliamo quindi la Ladeira do Carmo, fino a giungere presso la chiesa di Nossa Senhora do Carmo, al cui interno restiamo attoniti di fronte alla spettacolare scultura del Cristo morto, scolpita nel legno di cedro nel corso del XVIII secolo dallo schiavo Francisco Xavier. Le gocce di sangue del Cristo sono formate da circa 2000 rubini. Ripercorriamo quindi a ritroso la strada percorsa da questa mattina, fino a giungere in Praça Thomè de Souza quando il sole sta ormai tramontando. Prendiamo l’Elevador Lacerda, discendendo fino alla Praça Cairu nella città bassa, da cui raggiungiamo a piedi il Mercado Modelo, un tempo antica sede della dogana, ed attualmente gigantesco agglomerato di banchi d’artigianato.

Il giorno seguente, di buon mattino, veniamo svegliati dai raggi del sole, che penetrano nella nostra stanza illuminandola. Nonostante siano appena le sette, la sottostante spiaggia è animata da ragazzi che giocano a calcio. Esco dall’hotel, ed attraverso rapidamente a piedi l’Avenida Presidente Vargas, la lunga arteria a doppia corsia, che collega il quartiere di Barra alle altre spiagge cittadine. Prelevo dei reais presso uno sportello bancomat Bradesco, dopodiché mi soffermo a scambiare un paio di chiacchiere con due tassisti che stazionano fuori dalla banca, sondando il terreno circa i costi di una corsa fino a Praia do Forte, situata pressappoco 80 chilometri a nord di Salvador. Centoventi reais per l’intera giornata, senza limiti di orario. Decido quindi, soprattutto in base al bel tempo, di effettuare oggi quest’escursione, ed il bello del viaggiare senza vincoli e programmi prestabiliti è soprattutto questo, poiché si ha la libertà di poter decidere giornalmente quali visite effettuare,    comunque agevolati nel nostro caso, anche dal fatto di aver pianificato diversi giorni di permanenza qui a Salvador. Partiamo quindi verso nord, attraversando le numerose spiagge cittadine, davvero molto animate in questa giornata domenicale. I numerosi venditori di acqua di cocco e di spremute di canna da zucchero, sembrano fare affari d’oro, mentre le partite di calcio e beach volley sono praticamente una costante nella maggior parte degli arenili. Vediamo sfilare rapidamente Praia do Rio Vermelho, Praia do Buracão, Amaralina, Tituba, Jardim dos Namorados, Jardim de Alá, Praia de Armação, Praia dos Artistas,  Boca do Rio, Corsário, Pituaçu, Patamares, Jaguaribe, Piatã, Placaford, e la famosa spiaggia di Itapuã che, nonostante i celebri e suggestivi versi di Toquinho e Vinicius de Moraes

 

É bom Passar uma tarde em Itapuã,

Ao sol que arde em Itapuã,

Ouvindo o mar de Itapuã,

Falar de amor em Itapuã

 

non è particolarmente attraente, anzi, è decisamente bruttina rispetto ad altre. Poco dopo imbocchiamo la statale BA099, comunemente chiamata Estrada do Coco, a causa degli estesi palmeti, che si perdono a vista d’occhio. Dopo un’ora circa ci fermiamo a Guarajuba, una bella spiaggia, ricoperta ovviamente dalle immancabili palme e lunga cinque chilometri. Questa è una località in espansione, ma il posto è indubbiamente carino e frequentato quest’oggi quasi esclusivamente da brasiliani, che colorano decisamente l’ambiente. Sotto gli ombrelloni stazionano numerose famigliole che, dopo aver ordinato nei vicini bar qualche bottiglia di cerveja, tirano fuori dei pentoloni contenenti riso, ed altre cibarie. Non mancano naturalmente le venditrici di acarajé, che sprigionano nell’aria il denso aroma del dendè, od ambulanti che vendono anacardi, frittelle, parejos. E poi la musica Axè sparata a tutto volume, che contribuisce a rendere magico questo posto,

riempiendolo di allegria. Un ragazzo del bar ci mostra il pesce fresco che ha da friggere nell’attiguo chiosco, costituito da una cucina a gas, ed un paio di frigoriferi ubicati sotto un tetto di foglie di palma. Ovviamente non rifiutiamo, optando per un megadentice e delle aguglie, i quali ci vengono serviti accompagnati dalla solita generosa porzione di riso bianco, patatine fritte, ed intingoli vari. Terminato il pranzo, si presentano al tavolo dei piccoli venditori di anacardi, bambini di sette, al massimo otto anni. Fanno un timido cenno con le dita indicando gli avanzi, salvo poi allontanarsi subito dopo. Li chiamo, avendo forse intuito le loro intenzioni, ed annuisco con la testa. Sparecchiano quindi la tavola, depositando gli avanzi alla rinfusa in una busta di plastica, e si spostano velocemente di qualche decina di metri, sedendosi ad un tavolo libero. Poi, iniziano a spartirsi il contenuto della busta, che divorano avidamente. Sono scene che ti ammutoliscono. Il mondo sa certamente stupirci con le sue infinite meraviglie, ma troppo spesso sa anche farci star male con le sue grandi ingiustizie. Nel pomeriggio raggiungiamo Praia do Forte, situata dodici chilometri più a nord. Ci sorprendono il cospicuo numero di locali presenti, ed i tanti turisti stranieri. Il posto è comunque piacevole, sebbene la spiaggia non sia a mio avviso bella come quella di Guarajuba, ma Praia do Forte è soprattutto famosa poiché possiede il più grande centro ricerche del progetto Tamar, mirato alla salvaguardia delle tartarughe marine. Il progetto Tamar è stato ideato nel 1980 dall’ente brasiliano di tutela ambientale, ed annovera attualmente venti basi sulle coste del Brasile,

monitorando circa mille chilometri di spiagge e coprendo ben otto stati all’interno del paese. Dopo aver visitato il centro ricerche, torniamo in città, dove giungiamo quando è ormai buio, dopo essere stati bloccati parecchio tempo nel traffico, che ha letteralmente paralizzato le strade periferiche. Nei giorni seguenti godremo appieno delle bellezze di Salvador, città dai mille aspetti, la quale sembra sempre riservare al visitatore una sorpresa dietro l’angolo e che sarebbe fantastico visitare in uno dei tanti giorni di festa presenti nel calendario bahiano. Primo tra tutti quello del Lavagem do Bonfim, forse il più popolare avvenimento di Salvador dopo il carnevale, in cui una processione composta da migliaia di persone parte dal mercato modelo, raggiungendo dopo nove chilometri l’Igreja de Nosso Senhor do Bonfim, dove le sacerdotesse del candomblè, vestite con tuniche bianche, lavano la scalinata del santuario, cospargendola successivamente di fiori. Prima di entrare nella chiesa, veniamo assaliti da un nugolo di venditori, che tentano di venderci dei braccialetti colorati portafortuna, chiamati fitas. Quello che  più ci colpisce in questo luogo di culto, venerato come il più miracoloso del Brasile, è appunto la sala dos milagres, dove sono stipati centinaia di articoli di giornali, foto, oggetti votivi, che testimoniano la grande fede che la gente ripone nei poteri curativi e miracolosi della chiesa. Nella nostra visita di Salvador, omettiamo volutamente di effettuare un’escursione presso una delle isole della Baia di Todos os Santos, perché nel corso di questo viaggio abbiamo già abbondato di mare e spiagge, mentre ci dedichiamo più alla visita della città in sé stessa, tornando varie volte a passeggiare tra i vicoli storici del Pelourinho, visitando alcuni dei suoi quartieri moderni, dei suoi fari, primo tra tutti il Farol de Barra, che di sera regala visuale e tramonto fantastici, ed anche i suoi immensi centri commerciali, come lo Shopping Barra, l’Aeroclub e, soprattutto, il mastodontico Shopping Iguatemì, composto da ben 520 negozi, molti dei quali davvero lussuosi e frequentati dalla ricca borghesia bahiana. Già, il lusso… distante anni luce dalle favelas che circondano Salvador, molte delle quali chiuse da un alto muro di cinta, mirato ad impedirne la visuale ai turisti. Il lusso distante anni luci da posti come Novos Alagados, una delle dieci favelas di Ribeira Azul, una sorta di girone dantesco costituito da palafitte sul mare, dove abitano migliaia di persone, ed in cui malattie come parassitosi, scabbia e tigna sono all’ordine del giorno. Forse qualcosa cambierà, si stanno lentamente portando servizi necessari come acqua, luce e fognature, oltre a servizi sociali essenziali, grazie a quel processo di riurbanizzazione  studiato dal governo, al fine di trasformare le favelas da insalubri agglomerati, a dignitose abitazioni popolari. Forse qualcosa sta veramente cambiando, forse…

Il volo che ci conduce a Foz do Iguaçu non è dei più agevoli, cinque ore e quaranta minuti, cambio di aeromobile a San Paolo compreso. Comunque, alle 14,30 atterriamo nello stato del Paranà, in un punto situato al confine con la provincia Argentina di Misiones, ed il Paraguay. Siamo un po’ sorpresi dal tempo, in quanto, essendo pieno inverno e trovandoci al sud, ci aspettavamo delle temperature più basse, mentre oggi si registrano ventisei gradi e splende il sole. In breve, procedendo sulla Rodovia das Cataratas, raggiungiamo l’ingresso del Parque Nacional do Iguaçu, il quale comprende circa 185.000 ettari di foresta pluviale preservata. Il parco fu istituito nel 1939, sulla scia del confinante Parque Nacional Iguazù argentino, sorto nel 1934 al fine di salvaguardare le celeberrime cascate. Entrambi i parchi, il cui territorio complessivo ammonta grosso modo a 260.000 ettari, e che annoverano oltre 2000 specie di piante, moltissime esemplari di uccelli, circa 80 specie di mammiferi, oltre ad un numero indefinito di insetti e rettili, sono stati dichiarati patrimonio naturale dell’umanità dall’Unesco. Rispettando i bassi limiti di velocità, dovuti soprattutto ai frequenti attraversamenti da parte degli animali, come testimoniano i numerosi segnali di pericolo, percorriamo gli undici chilometri che separano la entrada do Parque dal nostro hotel, il Tropical das Cataratas, unico albergo ubicato all’interno del parco nazionale brasiliano, a pochi passi dalle cascate, ed il quale rappresenta per noi un piccolo lussuoso sfizio, che ci siamo voluti concedere in questo viaggio, più che altro per la sua posizione, assolutamente privilegiata. Posati i bagagli nella spaziosa camera dagli alti soffitti, ed arredata con antichi mobili scuri, usciamo subito alla volta delle cascate, di cui già dalla hall udiamo chiaramente il fragore. Lo spettacolo che si manifesta ai nostri occhi ci lascia attoniti. 

Avevamo visto decine di foto, documentari, letto vari racconti, ma nulla può descrivere la meraviglia di queste cascate. Qui, il Rio Iguaçu si immette nel Rio Paranà in una valanga d’acqua rimbombante, costituita de 275 distinte cascate, la cui altezza è compresa tra i 50 e gli 80 metri, ed i cui salti si estendono in semicerchio su una lunghezza complessiva di quasi tre chilometri. Un’autentica esplosione della natura, la quale si scatena in una grande sinfonia di suoni, spruzzi, immense cascate d’acqua, oltre all’inebriante bellezza rappresentata dal territorio circostante, costituito da una fitta ed impenetrabile foresta pluviale, in alcuni tratti resa spettrale dal vapore generato dalle ribollenti acque. All’inizio del sentiero, un piccolo gruppo di quati, una sorta di simpatici procioni assai diffusi nel parco, distolgono la nostra attenzione dalle cascate, per la felicità soprattutto di Valentina, assai attratta da questi animaletti in cerca di cibo, a cui è però tassativamente vietato dar da mangiare, come chiaramente esposto su diversi cartelli. Iniziamo dunque a passeggiare lungo i due chilometri su cui si sviluppa il sentiero che, attraversando la foresta pluviale, costeggia le cascate, le quali ci appaiono in tutto il loro splendore da svariati punti di vista, e sempre ad una certa distanza, consentendoci quindi di poterle ammirare mediante un’estesa ottica di osservazione. Intorno a noi, i mille rumori della foresta, e decine di farfalle multicolori. Dopo esserci fermati in diversi balconcini panoramici ubicati lungo il percorso, giungiamo in prossimità del Salto Floriano. Qui siamo molto vicini alle cascate, ed alla grossa quantità d’acqua che scende vigorosamente nebulizzandosi, ed inducendoci rapidamente ad indossare i nostri key-way. Tramite una passerella raggiungiamo il Salto Santa Maria, dove, a causa dei numerosi spruzzi, facciamo la nostra bella doccia pomeridiana. Successivamente saliamo sulla torretta d’osservazione ubicata in cima al Salto Floriano, da cui si vedono gran parte di un ramo del Rio Iguaçu, il poderoso gettito d’acqua del

ravvicinato salto, nonché il panorama sottostante, insomma, uno spettacolo assoluto. Percorriamo a ritroso il sentiero, proprio mentre il sole ci regala uno spettacolare tramonto, tingendo di rosso queste straordinarie cascate che, è il caso di dirlo, rappresentano un vero e proprio trionfo della natura. Fuori l’hotel conosciamo Roberto, tassista con il quale contrattiamo una corsa per il lato argentino, da effettuare domani. Dopo cena la temperatura scende sensibilmente, ed è puro piacere trascorrere del tempo davanti al camino, sorseggiando una sublime cachaça 51, ed annotando le sensazioni di questa intensa giornata. Ci addormentiamo con il rumore in sottofondo delle cascate, il cui fragore riesce persino spesso a far vibrare i vetri della nostra camera. Il giorno seguente, di buon mattino, troviamo come concordato Roberto ad attenderci davanti all’ingresso dell’hotel. Quest’oggi c’è una densa foschia, tanto da rendere quasi invisibili le cascate ai tanti visitatori che stanno giungendo nel parco brasiliano. Si parte dunque alla volta del lato argentino, dove giungeremo dopo circa un’ora. Roberto ci racconta delle sue origini tedesche e della forte rivalità con i vicini argentini, che giudica estremamente arroganti. Il discorso scivola poi sulla fauna presente nel parco e soprattutto sui giaguari, a quanto sembra ridotti ad una cinquantina di esemplari censiti, e controllati da appositi collari, sebbene negli ultimi anni ne siano stati abusivamente “matati” decine e decine nelle vicine fazendas, dove questi ogni tanto sconfinavano in cerca di cibo. Dopo aver superato il Visitor’s Centre del Parco, dove reperiamo qualche utile mappa, prendiamo un comodo e pittoresco trenino interno, che ci conduce alla Estación Garganta, da cui iniziamo a percorrere i duemila metri di passerella che ci separano dalla Garganta do Diablo, dove 14 allineate cascate alte circa ottante metri e disposte a ferro di cavallo, rovesciano poderosamente migliaia di metri cubi d’acqua al secondo, generando un rumore assordante e creando un incredibile spettacolo della natura. 

Tra nugoli di spruzzi e vapore, facciamo anche qui l’inevitabile nostra bella doccia, che continuerà anche mentre torniamo alla Garganta Station, considerato che inizia a piovere a dirotto. Mentre i diversi indios paraguaiani presenti iniziano velocemente a riporre la propria mercanzia, raggiungiamo la Estación Cataratas, da dove iniziamo a percorrere il Circuito Superior, il quale offre incredibili visuali dall’alto delle cascate, snodandosi per 1200 metri attraverso la foresta pluviale, che già da sé costituisce un superbo spettacolo per il visitatore, che rimane notevolmente attratto da alcune sue meraviglie, come alcuni bellissimi esemplari di tucano, che intravediamo facilmente in cima agli alberi. Dopo pranzo affrontiamo i 1600 metri del circuito inferior, da cui si ammirano i vari salti da una prospettiva ovviamente diversa. Alcuni segnali avvertono circa il pericolo dei molti serpenti presenti, invitando i visitatori a non spingersi al di fuori dei sentieri. 

Siamo sbalorditi dalla spettacolarità offerta dai vari salti, completamente differenti gli uni dagli altri, e restiamo completamente estasiati di fronte alla maestosità del Salto Bossetti, dove facciamo un’altra bella doccia. Al nostro ritorno, troviamo il lato brasiliano ancora avvolto nella densa foschia in cui l’avevamo lasciato stamattina e così sarà all’indomani, con le cascate di fatto nascoste dalla nebbia. Cascate di cui si ode unicamente il rimbombante rumore prodotto dal loro possente gettito. Ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati a giunger qui due giorni or sono, in una splendida giornata di sole. Dedichiamo l’ultima mattinata a Valentina, la quale ha ieri dimostrato di avere delle buone doti di viaggiatrice, adattandosi magistralmente nell’umidità della foresta pluviale e scarpinando per chilometri all’interno del parco argentino. Visitiamo infatti il Parque das Aves, un bel parco di 16,5 ettari, dove si possono ammirare oltre 500 uccelli in stato di semilibertà. Nel pomeriggio, con un volo diretto a Rio lasciamo le cascate di Iguaçu, un’autentica meraviglia della natura, che valgono da sole un viaggio in questo angolo di mondo.

Nonostante la giornata nebulosa, la visuale di una buona parte di Copacabana di cui godiamo dalla nostra stanza, è eccezionale. Alle sette del mattino il traffico è gia intenso, ed il calçadão pullula di gente che corre, ma la vera attrattiva è la famosa spiaggia, sconfinata, larghissima e bagnata da immense onde oceaniche, che la ricoprono di spuma per un buon tratto. Dopo una lauta colazione, come concordato, troviamo il nostro amico ad attenderci nella hall. Carlos, che sarà il nostro driver a Rio, è un parente della simpatica moglie carioca di mio cugino, il quale ha vissuto qualche anno in questa che viene comunemente chiamata la "cidade maravilhosa". Ci rechiamo in Praça General Tibùrcio, dove prendiamo la teleferica lunga circa 1400 metri, che conduce rispettivamente sui colli (morros) dell’Urca e del Pão de Açucar, quest’ultimo situato ad un’altezza di quasi quattrocento metri. La foschia che avvolge la città non ci permette di ammirare in tutto il suo splendore il sottostante panorama, ma riusciamo facilmente a distinguere le principali spiagge, ed il Cristo Redentor in cima al

Corcovado. Scendendo sul Morro da Urca, dopo qualche tentennamento decidiamo di rinunciare al volo panoramico in elicottero, sapendo di aver comunque perso una buona occasione di osservare Rio da una prospettiva unica. Chiedo a Carlos di condurci al Maracanà, il più grande stadio del mondo e tempio del calcio carioca, che visitiamo salendo dapprima sugli spalti, ed in seguito direttamente sull’erba di gioco, in un’apposita parte recintata, che raggiungiamo dopo aver percorso il sottopassaggio tra fumogeni, cori e slogan registrati, i quali danno la reale impressione di entrare in campo all’immediata vigilia di una partita. Questo stadio suscita in me delle particolari sensazioni, dovute all’idolatria adolescenziale nei confronti di Arthur Antunes Coimbra, alias Zico, asso del Flamengo, che ha militato anche nel campionato italiano nelle file dell’Udinese, il quale detiene tutt’ora il record di reti ufficiali segnate nel Maracanà, oltre trecento. Peccato solo che in questi giorni il Flamengo non giochi in casa, perché non avrei certamente perso l’occasione di assistere ad una partita del più titolato club di Rio. Carlos ci conduce a pranzo in un galeto di sua conoscenza, tra l’altro affollato all’inverosimile, dove per una manciata di reais mangiamo dell’ottimo pollo cotto sulla fiamma, che accompagniamo con una chop gelata. Imboccando le varie strade e sopraelevate di Rio, ci si rende meglio conto di quanto particolare e ricca di contrasti sia la conformazione architettonica della città, in cui le sagome di alti palazzi moderni si sovrappongono alle piccole casette che compongono le decine di favelas presenti nelle colline retrostanti. Ci rechiamo in seguito in centro, che visitiamo a piedi partendo da Praça Floriano. Qui Rio sembra abbandonare l’icona da cartolina dovuta alle sue famose spiagge, ed assume maggiormente le sembianze di una moderna e caotica città sudamericana, con bar all’aperto affollati di avventori e numerosi suonatori di strada, ma dove non mancano anche tristi spettacoli dovuti a decine di bambini scalzi e malvestiti, che dormono sui cartoni. Raggiungiamo Largo do Carioca, dove visitiamo la chiesa ed il convento di Santo Antonio, uno degli edifici religiosi più antichi della città, ed in seguito giungiamo presso la moderna Catedral Metropolitana, caratterizzata al suo interno da spettacolari vetrate. Passeggiando sull’Avenida Rio Branco, non resistiamo alla tentazione, ed imbocchiamo rua Gonçalves Dias, dove entriamo nella storica Confeitaria Colombo, nella quale prendiamo un thè, che ci viene servito con degli squisiti biscotti chiamati casadinhos. Servendoci dell’automobile, visitiamo in seguito alcune delle principali chiese di Rio, come quella di NS da Candelaria, NS do Carmo da Antiga Sé, teatro dell’incoronazione di Don Pedro I nel 1761 e cattedrale cittadina fino al 1976, e lo spettacolare Monastero de São Bento, il quale rappresenta uno dei più significativi esempi del barocco brasiliano. La sera ceniamo presso Marius Crustaceos, un locale ubicato sull’Avenida Atlantica, tra Leme e Copacabana, dove con poco meno di venti euro a persona, ci serviamo presso un megabuffet contenente qualche decina di tipi di insalate, contorni vari, paella, moqueca, aragoste, granchi, ostriche gamberoni, ricci di mare, polipi, seppie, vongole, cozze, cicale di mare, mazzancolle ed altro ancora, prima di passare ad essere serviti al tavolo in stile churrasco, ma con colossali portate di pesce. Tornando in hotel, restiamo ancora una volta molto colpiti dai numerosi bambini di strada, che dormono sui marciapiedi delle vie limitrofe all’Avenida Atlantica. Il giorno seguente splende il sole su Rio e ne approfittiamo per salire alla volta del Corcovado. Raggiungiamo quindi con Carlos il quartiere di Cosme Velho, da cui prendiamo il trenzinho inaugurato nel 1884 dall’imperatore Don Pedro II, che con corse frequenti ogni mezz’ora, raggiunge attraversando la foresta tropicale di Tijuca la cima del più alto morro carioca, appunto il Corcovado, ubicato ad un’altezza di circa 710 metri. Ai piedi del Cristo Redentor, la statua alta 38 metri scolpita da Paul Landowsky, si gode di un panorama davvero incomparabile di Rio e delle sue spiagge, a cui nessuna descrizione o fotografia potrà mai rendere il giusto merito. Nel pomeriggio ci rechiamo presso la Quinta de Boa Vista, un tempo residenza imperiale, ed ora ritrovo di molte famigliole e coppiette di cariocas, che trascorrono il tempo libero nei tanti bei giardini costellati da laghetti. Visitiamo l’attiguo giardino zoologico, dove saremo gli unici turisti senza macchine fotografiche, in mezzo a decine di famiglie locali armate di obiettivi fino ai denti. Restiamo successivamente impantanati in mezzo al traffico e ne approfittiamo per fare quattro passi a piedi nel Bairro de Fátima, un quartiere popolare nei pressi del centro, vicino a Santa Teresa, dove passa il celebre bondinho, tram che attraversa anche gli arcos de lapa, resto di un acquedotto del diciottesimo secolo composto da quarantadue archi, dove ci fermiamo per uno scatto fotografico. Il giorno seguente è domenica, giorno in cui Copacabana ed Ipanema vengono chiuse al traffico. Ne approfittiamo per effettuare una lunga passeggiata di circa sei chilometri che, dagli inizi di Copacabana ci condurrà appunto fino all’altezza del Caesar Park hotel di Ipanema. Nel pomeriggio passiamo vicino alla Favela di Rocinha, la più grande del sudamerica con oltre duecentocinquantamila abitanti, ed oggi addirittura meta di appositi tour organizzati da parte di turistiche agenzie locali. Ancora una volta la città mostra i suoi grandi contrasti quando, percorrendo appena qualche centinaio di metri, giungiamo nel quartiere di São Conrado, nel quale vi sono alcuni dei condomini più lussuosi ed esclusivi di Rio. Nelle vicinanze troviamo la Praia do Pepino, luogo di atterraggio di molti ragazzi che si lanciano con il parapendio dalla vicina Pedra Bonita, planando in volo per circa cinquecento metri. Trascorriamo la mattina seguente a Copacabana, spiaggia che non presenta certo i canoni

estetici della classica spiaggia tropicale da cartolina, ma che seduce tremendamente con la sua particolare atmosfera e con il calore della sua gente. Nel pomeriggio lasciamo Rio de Janeiro dopo avervi trascorso qualche giorno ed aver visitato le sue principali attrattive turistiche, ben consapevoli che il tempo dedicatole è stato del tutto insufficiente, perché la città andrebbe vissuta più che visitata, città che ha saputo incantarci con le sue grandi attrattive e farci star male al momento di salutarla, come raramente ci era capitato in altri posti del mondo. Lasciamo dunque il Brasile, eccezionale paese ricco di contrasti, che ci ha letteralmente sbalorditi durante queste settimane di permanenza, regalandoci un viaggio andato ben oltre le nostre aspettative, e la cui gente conosciuta, incredibilmente generosa, allegra, cordiale e disponibile, è sempre stata disposta a regalarci un sorriso, malgrado tutto. Brasile che ora, mentre ascolto la bella voce della bahiana Ivete Sangalo e rovisto nella mia memoria redigendo questi appunti di viaggio, sento incredibilmente già mancarmi... 

 

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