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Aquarela
do Brasil -
Venerdì 13.
Sì, niente male come data per partire. Venivamo da un anno
difficile, caratterizzato da un’infinita ristrutturazione e da
un trasloco effettuato in extremis, con tutto ciò che lo stesso
generalmente comporta. Per la prima volta nella mia vita,
malgrado tutto, non avevo molta voglia di viaggiare. Ero stanco,
stressato, provato fisicamente e psicologicamente. Venerdì 13
dunque, e pensavo scherzosamente che avremmo volato assieme a
Jason, il sanguinario protagonista di quella serie di film
horror così intitolati. E poi, quella coincidenza strettissima
a Lisbona, appena quarantacinque minuti per cambiare aereo, una
coincidenza che, nonostante le ripetute rassicurazioni della
compagnia aerea, non mi lasciava affatto tranquillo. Quando
l’aereo della Tap decolla da Fiumicino con più di mezz’ora
di ritardo, già mi vedo vagare per le vie di Lisbona, mentre
tra le file dei passeggeri s’aggira ridendo il fantasma di
Jason. Maledetto il giorno in cui la mia razionalità ha
sopraffatto quel pizzico d’inevitabile scaramanzia che quasi
ognuno di noi possiede, malgrado tenda a convincersi del
contrario. Il volo risulterà più breve del previsto,
lasciandoci venti minuti di tempo per cambiare aereo, venti
minuti puntualmente azzerati dai vari spostamenti all’interno
dell’aeroporto, nonché dagli inevitabili controlli. Niente,
l’aereo dovrebbe esser ormai decollato da una decina di
minuti. Venerdì 13, “ci credi ora alla iella?”, pensavo
sconsolato. Scoprirò però che, malgrado il tabellone segnali
il nostro volo in partenza, l’imbarco non è stato mai
effettuato, così come quello di tutti gli altri voli per il
Brasile, ampiamente posticipati, in alcuni casi addirittura di
qualche ora. Nel terminal regna il caos. I display diffondono
informazioni del tutto sbagliate, le porte d’imbarco sono
erroneamente prese d’assalto, il personale aeroportuale
fornisce informazioni confuse e frammentarie, invitando tutti ad
avere pazienza, mentre Jason siede in un angolo e sa la ride, in
fondo oggi è venerdì 13, e quanti passeggeri sento
incredibilmente inveire contro questa fatidica data. Restiamo
nei paraggi del gate, assistendo all’imbarco di almeno tre
voli, mentre non c’è traccia del nostro, nonostante non venga
minimamente cambiato l’orario sui display, fino a quando ci
avvisano che l’imbarco sarà effettuato a breve presso
un’altra uscita. Finalmente decolliamo, lasciandoci alle
spalle il grande pandemonio oggi presente nell’aeroporto
lusitano. Jason ci saluta e se va definitivamente, il Brasile ci
aspetta.E’ già buio quando sette ore e mezza dopo atterriamo
al Guararapes
International di Recife, capitale dello stato del
Pernambuco nel nordest brasiliano, dove veniamo accolti da una
leggera pioggerellina. In quasi un’ora di auto, copriamo i
circa sessanta chilometri che ci separano da Porto de Galinhas,
meta scelta come nostra base pernambucana, dove caliamo il
sipario su questo interminabile
venerdì 13. Ma in fondo, siamo davvero così superstiziosi?
L’indomani
splende fortunatamente il sole. L’hotel prenotato per le prime
notti è spettacolare, ma troppo grande e dispersivo per i
nostri gusti, sebbene presenti indubbiamente un elevato standard
qualitativo, ed è stato scelto appositamente per far
ambientare senza problemi Valentina. In breve ci accorgiamo che
è frequentato quasi esclusivamente da brasiliani, per lo più
facoltosi abitanti di San Paolo. Ci troviamo nei pressi di Muro
Alto, un tempo spiaggia isolata e raggiungibile unicamente con
le Dune Buggy dal vicino villaggio di Porto de Galinhas, mentre
attualmente annovera un paio di resort, nonché alcuni condomini
in costruzione.
La spiaggia di fronte al nostro hotel è
soggetta al fenomeno delle maree, come del resto tutto il tratto
costiero del circondario, così, mentre al mattino l’Atlantico
si ritira, creando delle piccole piscine naturali protette da
scogliere sulle quali s’infrangono le immense onde oceaniche,
nel pomeriggio irrompe fragorosamente sul litorale
caratterizzato da interminabili file di affusolate palme da
cocco. A breve distanza sorge appunto Muro Alto, un immenso
spiaggione lungo quasi due chilometri e mezzo, ed interamente
protetto da scogliere, le quali creano una grande laguna dalle
placide acque. Trascorriamo la giornata su questa spiaggia, il
cui tratto iniziale è molto frequentato ed animato, essendo tra
l’altro meta di escursioni con le Dune Buggy, mentre diventa
pressoché deserto allontanandosi qualche centinaia di metri.
Nonostante siamo in inverno, la temperatura si aggira sui
ventotto gradi, con un’assenza quasi totale di umidità, ed è
estremamente piacevole trascorrere spensieratamente del tempo in
spiaggia, ammirando la bellezza esplosiva del paesaggio
circostante, la forza brutale dell’Oceano che s’arresta
sulla fila di scogliere, l’andirivieni dei venditori ambulanti
di parei, noccioline, agua de coco, souvenir vari. Nel
pomeriggio ci rechiamo nel paesino di Porto de Galinhas,
costituito da poco più di un pugno di case e negozietti ad uso
e consumo turistico. Il luogo, venne così chiamato perché,
quando fu ufficialmente abolita la schiavitù, qui continuarono
ad imperversare i contrabbandieri di schiavi, i quali, per
avvisare agli acquirenti che era giunto il triste carico umano,
erano soliti usare una sorta di parola d’ordine, in cui
comunicavano che erano arrivate le galline dell’Angola. Da
qui, appunto il nome “Porto delle galline”.Mentre sta
lentamente imbrunendo, sorseggiando una sublime Antartica,
terminiamo questa giornata in un bar in riva al mare, da cui
ammiriamo il lungo tratto di costa che si estende a perdita
d’occhio, fino a quando la sabbia e le palme si mischiano alla
spuma creata dalle immense onde oceaniche, diventando un
tutt’uno.
Pioggia.
Stamattina piove, e lo fa di brutto. Avevamo in mente di fare un
giro in dune buggy lungo il litorale di Porto de Galinhas, ma lo
rimandiamo a domani, sperando sempre nella clemenza del tempo,
piuttosto instabile a quanto sembra. Conosciamo Adriano, un
simpaticissimo taxista con il quale contrattiamo un’escursione
dell’intera giornata a Recife ed Olinda. La spuntiamo per 120
reais, grosso modo trentatre euro, e ci sembra pochissimo,
considerata la confortevole macchina con aria condizionata di
cui dispone, la distanza e, soprattutto, il tempo che avremo a
nostra disposizione, ovvero tutto il giorno. Partiamo quindi
verso le nove sotto una pioggia battente, che però cessa già
all’altezza di Ipojuca, cittadina che annovera nel suo
municipio la stessa Porto de Galinhas. Il paesaggio che scorre
fuori dai finestrini dell’auto è costituito da immense
distese di piantagioni di canna da zucchero, che in sostanza
rappresenta la principale fonte di reddito del Pernambuco.
Attraversiamo dei minuscoli villaggi, per la maggior parte
composti da una manciata di basse case con le scritte colorate
sui muri, una stazione di benzina, spesso un lanchonete, tipico
locale dove consumare dei sandwich, ma dove notiamo non mancare
quasi mai uno spazio nel quale un pugno di ragazzini a piedi
nudi giocano a calcio. Dopo un’ora scarsa le piantagioni
iniziano a diradarsi, le strade diventano più ampie e
trafficate, ed iniziano ad intravedersi le sagome dei
grattacieli di Recife. Splende ormai il sole quando passeggiamo
lungo il calçadão
dell’Avenida Boa Viagem, la lunga arteria che costeggia
l’omonima spiaggia, lungo la quale si alternano da un lato
eleganti condomini, alberghi, ristoranti, banche e negozi, e
dell’altro appunto la spiaggia, delimitata da file di basse
palme da cocco. Ci fermiamo un po’, proprio sotto l’ombra di
una palma, presso uno dei tanti chioschi presenti su questa
immensa spiaggia lunga circa sette chilometri. Patrizia e
Valentina sorseggiano la gustosissima acqua di cocco,
magistralmente aperto dal barista con assoluta maestria, tramite
un paio di colpi di machete ben assestati, mentre il
sottoscritto si diletta con una sublime caipirinha. Ci
colpiscono i cartelli di pericolo inerenti gli attacchi degli
squali, ed effettivamente quest’anno, fino ad oggi si sono
verificati a Recife già sei episodi, anche se la maggior parte
degli stessi riguardano non propriamente Boa Viagem, quanto la
vicina spiaggia di Piedade. Sembrerebbe che gli arenili della
capitale pernambucana convivano da sempre con questo tipo di
problema, anche se in passato riguardavano solo i surfisti, i
quali venivano attaccati soventemente lontano da riva, mentre
recentemente gli squali si avvicinano sempre più alla spiaggia.
Comunque sia, un lungo tratto di Boa Viagem è protetto da una
serie di scogliere, che formano delle piscine naturali ove
potersi bagnare in tranquillità, come notiamo fare a moltissima
gente.
Lasciamo Recife, dove torneremo nel pomeriggio, per
dirigerci alla volta di Olinda, distante circa sei chilometri
dalla stessa. Iniziamo a piedi il nostro giro da Praça do Carmo,
dando appuntamento ad Adriano per il pranzo, in un ristorante
ubicato più in alto. Olinda si sviluppa infatti su una collina,
ed è puro piacere visitare le sue tante chiese barocche e
passeggiare tra le sue lastricate viuzze tortuose, ammirando le
belle case coloniali color pastello, arricchite da finestre in
ferro battuto, pesanti porte intarsiate, antichi balconi. Questa
incantevole cittadina, dichiarata dall’Unesco patrimonio
culturale dell’umanità, fu fondata dai portoghesi nella prima
metà del 1500, e divenne un punto strategico del Pernambuco,
nonché capitale della capitaneria fino al 1631, quando, durante
l’invasione olandese, fu completamente rasa al suolo. La quasi
totalità dei suoi edifici, quelli che vediamo attualmente,
furono dunque ricostruiti negli anni a seguire, e nel 1825 la
città perse il titolo di capitale a favore della vicina Recife.
Oggi Olinda rappresenta una delle città coloniali più integre
del Brasile, un’autentica perla culturale di cui può a ben
ragione vantarsi il Pernambuco, ed a detta di molti,
annovera anche uno dei migliori carnevali del paese.
Ben
presto, passeggiando tra le spettacolari stradine di Olinda,
sotto un sole che ora spacca le pietre, ci accorgiamo che vale
la pena ingaggiare una guida, non tanto per le spiegazioni, che
comunque di certo non disdegniamo, quanto per scoraggiare le
altre, che ci tampinano in continuazione. Assoldiamo quindi un
simpatico quindicenne che, per soli venti reais, poco meno di
sei euro, si rivelerà un’autentica enciclopedia vivente di
Olinda. Ben presto si resta ammaliati dalla magia di questo
posto, dalle sue chiese, dai suoi colori, dalle sue spettacolari
vedute, prima tra tutte quella offerta dalla Piazza Alto da Sé,
dove l’Igreja do Carmo, circondata dal verde della vegetazione
tropicale, sembra sbucare direttamente dall’azzurro
dell’Atlantico, mentre volgendo lo sguardo verso destra, si
vedono chiaramente i profili degli alti grattacieli di Recife.
Olinda è indubbiamente un gran bel posto e ritengo che sarebbe
opportuno anche soggiornarvi, per godersela con la calma che
merita, facendosi trasportare dalla sua bellezza e perdendosi
senza una meta precisa, tra le sue stradine senza tempo.
Terminata la nostra visita, raggiungiamo l’Oficina do Sabor,
il ristorante dove troviamo Adriano ad attenderci, a cui
offriamo il pranzo, nonostante il suo iniziale rifiuto, dovuto
ad un lecito imbarazzo. Gran brava persona Adriano, un ragazzo
estremamente educato, cortese e disponibile. Ci racconta dei
suoi quattro figli, due dei quali vivono a San Paolo con la
prima moglie e la cosa che più ci sorprende, è che ha solo
venticinque anni. Ben presto la tavola viene riempita di
pietanze. Un quarto di bue grigliato con riso bianco e patatine
fritte, dovrebbe essere il filetto richiesto per Valentina,
mentre una sorta di zucca (moranga) contenente dei giganteschi
gamberoni, ed uno smisurato vassoio con del riso e polipo,
ovvero dei piatti in grado di sfamare un intero esercito,
costituiscono il pranzo del sottoscritto, Patrizia, ed Adriano,
che annaffiamo con dell’ottima cerveja Brahma. La cosa più
singolare, sarà comunque il conto, ammontante a 116 reais, poco
più di trentadue euro. Nel pomeriggio, completamente satolli,
torniamo a Recife, di cui visitiamo la parte antica. La città,
essendosi sviluppata su delle isole formate dai fiumi Capibaribe
e Beberibe, e disponendo di vari ponti che collegano le stesse,
è stata nel tempo soprannominata la Venezia del Brasile, ma
ritengo personalmente che l’accostamento all’italica città
lagunare sia del tutto fuori luogo. Malgrado Recife possieda
comunque alcuni bei edifici, non è a mio avviso particolarmente
attraente e girandola un pochino al di fuori della turistica Boa
Viagem, emergono purtroppo facilmente alcuni forti problemi
sociali che la caratterizzano, come le favelas, facilmente
visibili su una sponda del Capibaribe, o le decine di bambini
che dormono nelle strade del centro, tristi elementi in
stridente contrasto con lo shopping Recife, un mastodontico e
modernissimo centro commerciale, dove ci fermiamo a prelevare
del denaro ad uno sportello bancomat. La città, la cui sola
area urbana annovera oltre il milione e mezzo di abitanti, deve
far spesso fronte a numerosi problemi di carattere sociale e
sanitario, considerate alcune forme di epidemie che sovente
l’affliggono, come quella di leptospirosi,
scoppiata appena due mesi fa, a seguito di una pesante
alluvione, che aveva intasato il sistema fognario. Dopo esserci
fermati presso un supermercato appartenente alla catena Bompreço,
che scopriremo essere assai diffusa nelle altre città che
visiteremo, riprendiamo la nostra marcia verso Porto de Galinhas,
poco prima della quale restiamo bloccati dietro ad un corteo di
propaganda politica. Una coda composta da almeno una decina di
automobili, oltre che da un paio di autobus, pubblicizzano il
volto del candidato. Il prossimo ottobre, in moltissimi municipi
della federazione ci saranno le elezioni dei prefeitos (sindaci), viceprefeitos (vicesindaci) e vereadores
(consiglieri comunali). Adriano scuote la testa, dicendoci che
il candidato in questione, altri non è che uno dei principali
proprietari terrieri del municipio di Ipojuca. Vedi quel
terreno, quell’altro, e quell’altro ancora? Sono i suoi, ci
dice sconsolato. Come possiamo aver fiducia in una persona così,
che ha sempre salvaguardato esclusivamente i propri interessi?
Non possiamo certo dargli torto, considerato che il sistema
latifondista è praticamente intrinseco da queste parti, dove la
totalità delle terre è in mano ad un pugno di persone.
Torniamo dunque a Porto de Galinhas, giusto in tempo per
sorseggiare una meritata caipirinha, contemplando il sole che si
corica dolcemente tra le grandi onde dell’Atlantico.
Anche
quest’oggi ci svegliamo con la pioggia. Poco male, considerato
che ieri, pur diluviando in mattinata, la giornata è stata in
seguito eccezionale. Decidiamo dunque di effettuare un giro in
dune buggy lungo il litorale di Porto de Galinhas. Ci informiamo
in hotel circa un “passeio de buggy”, prenotando alla
reception un’escursione di quattro ore per 60 reais, ma,
appena conosciuto il bugeiro, questi ci dice che, aggiungendo
appena altri 20 reais (meno di sei euro), sarebbe stato a nostra
disposizione per l’intera giornata. Come rifiutare una simile
offerta? Partiamo dunque, attraversando rapidamente alcuni
boschetti di palme da cocco, fino ad arrivare alla praia de
Gamboa, continuazione naturale di Muro Alto, che troviamo
letteralmente deserta. Tira un forte vento, ma questo consente
anche al cielo di aprirsi lentamente, facendo rapidamente
cambiare colore alla sottostante laguna naturale, la quale
inizia a tinteggiarsi di verde. Si riparte a velocità
sostenuta, prendendo dapprima la strada principale, salvo poi
immetterci nuovamente all’interno, verso la costa, passando
per una fitta foresta, che, come appositamente segnalato,
costituisce una piccola porzione di mata atlantica. Giungiamo
quindi sulla spiaggia do Cupe,
bellissima, immensa, totalmente
deserta e letteralmente cosparsa da altissime palme da cocco
lievemente piegate dal vento, che riflettono la propria immagine
sull’esteso bagnasciuga. La prima lunga parte della spiaggia
è zona protetta, in quanto vi vengono stagionalmente a deporre
le uova le tartarughe marine, mentre più in là, man mano che
ci si avvicina al centro di Porto de Galinhas, s’incontrano i
primi complessi alberghieri. Eccoci dunque nel centro del
piccolo paesino, puntuali secondo l’orario delle maree, per
salpare a bordo di una jangada alla volta delle rinomate piscine
naturali. Qui, infatti, dopo una decina di minuti di
navigazione, approdiamo su un’immensa radura costituita da
coralli morti, all’interno di cui sorgono delle pozze
d’acqua caldissima, dove sguazzano decine di pesci
multicolori. In diverse di queste piscine naturali, risorgive
secondo alcune teorie, è consentito immergersi, mentre in delle
zone appositamente delineate, ed il cui accesso è ovviamente
negato, i coralli sono tutt’ora vivi, ed ammirabili nel loro
splendore. Ora il cielo si è aperto, dandoci la possibilità di
osservare con meraviglia questo particolare posto in tutta la
sua bellezza cromatica, ed è puro spettacolo ammirare questi
coloratissimi pesci nuotare in queste pozze di acqua
cristallina, spaziando successivamente la vista verso la costa
ricoperta di palme, ed il mare circostante, totalmente
disseminato dalle colorate vele delle tante jangadas. L’oceano
ora inizia lentamente ad ingrossarsi, ed è giunto il tempo di
risalire a bordo della jangada, mentre il cielo si è nuovamente
oscurato, ed all’improvviso, nel bel mezzo della traversata,
si diverte a mandar giù tanta di quell’acqua, che quasi
rischiamo di affogarci. Per fortuna abbiamo con noi gli
inseparabili key-way, che ci permettono di limitare i danni.
Decidiamo di sostare per il pranzo al ristorante Miramar,
ubicato proprio sulla spiaggia principale di Porto di Galinhas,
dove, dopo aver sorseggiato come aperitivo una sublime
caipirinha, consumiamo uno squisito e ricco antipasto composto
da granchio fritto, ed un megapiatto di aragostine grigliate,
accompagnate da una quantità indefinita di riso e contorni
vari, annacquandoli con più di qualche bottiglia di gelata
cerveja Antartica, che inizio in assoluto a prediligere tra le
birre provate finora. Nel frattempo le nuvole si sono
completamente diradate, ed il sole è tornato a splendere. La
spiaggia di Porto de Galinhas si è animata di turisti,
venditori di cibarie varie che spaziano dagli anacardi agli
spiedini di formaggio fusi sulla carbonella, ragazzi che giocano
a calcio, volenterose signore in cerca di qualche chioma su cui
modellare le treccine, mentre delle piscine naturali, questa
mattina facilmente visibili da riva, non c’è traccia, essendo
state completamente inghiottite dal mare, un mare dagli
splendidi colori, le cui grosse onde s’infrangono ora
poderosamente sulla battigia. Cerchiamo il nostro amico tra i
tanti bugeiros che stazionano dietro il ristorante, dopodiché
riprendiamo la nostra marcia, raggiungendo in breve la spiaggia
di Maracaípe, luogo frequentato prevalentemente dai surfisti.
Il posto è incantevole, tanto che proviamo a cercare un
alloggio per i prossimi giorni, quando lasceremo il nostro hotel
di Muro Alto, ma le poche poudas presenti risultano al gran
completo. Dopo aver a lungo passeggiato sulla lunga spiaggia,
rimontiamo sul buggy alla volta del vicino Pontal de Maracaípe,
dove l’omonimo fiume si getta placidamente nell’Atlantico,
in un ambiente costituito da fitta vegetazione tropicale e
mangrovie. Mentre i raggi solari scaldano ora vigorosamente la
nostra pelle, saliamo su una jangada, risalendo lentamente parte
del Rio Maracaípe. Purtroppo, le piogge degli ultimi giorni
hanno reso abbastanza torbida l’acqua, non consentendoci di
avvistare i cavallucci marini, di cui il posto è riserva
naturale protetta. Il barcaiolo decide però di non privarci di
tale spettacolo, così, aiutato da un suo collega, il quale ha
nel frattempo allineato la propria jandada alla nostra, si cala
nell’acqua bassa e raccoglie in un vaso di vetro qualche
esemplare mostrandocelo, per la felicità soprattutto di
Valentina, a cui ricorda un personaggio presente nel
lungometraggio de La Sirenetta. Dopo aver liberato gli animali,
continuiamo il nostro giro attraverso le mangrovie, dopodiché
rientriamo in paese, sondando con scarso successo la
disponibilità di qualche pousada che ci aggradava, e
successivamente in hotel, facendo meritatamente calare il
sipario su questa intensa giornata. L’indomani ci svegliamo
con un grosso problema, anzi, ci sveglia Valentina, perché
vomita. La bambina non sta visibilmente bene, in quanto non
riesce ad ingerire nulla senza rimetterlo velocemente. Ci
rechiamo presso il locale ambulatorio, dove la dottoressa di
turno, dopo averla visitata, le somministra uno sciroppo,
dicendoci che ha probabilmente contratto un virus, ed
invitandoci a tornare nel pomeriggio per un controllo.
Trascorriamo dunque in camera l’intera mattinata e,
considerato che lo sciroppo non sortisce l’effetto previsto,
torniamo nel primo pomeriggio in ambulatorio, dove le viene
praticata un’iniezione, che per fortuna risolverà
definitivamente il problema. Nel pomeriggio Patrizia rimane in
hotel con la piccola, mentre io, dopo aver chiamato Adriano al
cellulare, mi muovo alla ricerca di un alloggio dove trascorrere
i restanti giorni qui a Porto de Galinhas, considerato
soprattutto che dove
ci troviamo ora non c’è posto. Essendo le pousadas che più
mi piacevano tutte piene, scelgo un albergo ubicato direttamente
sulla spiaggia, ed il cui costo è tutto sommato non proibitivo,
considerati i servizi che offre. Il giorno seguente dunque ci
trasferiamo. Conosciamo una simpatica coppia di Milano,
anch’essa con una bambina, tra l’altro coetanea di Valentina
e di cui sarà compagna di giochi nel tempo che trascorreremo
sulla spiaggia adiacente. Qui il paese è decisamente più
vicino e facilmente raggiungibile via spiaggia con mezz’ora di
passeggiata, cosa che faremo di sovente. Dopo un paio di giorni
lasciamo il Pernambuco, con il sottile rimpianto di non esser
stati ad Itamaracà, ed al suo centro studi del peixe-boi
(lamantino), la cui visita rientrava nei nostri programmi. Con
un’ora di volo raggiungiamo in serata Salvador, capitale dello
stato di Bahia, dove alloggiamo in un appartamento ubicato nella
moderna zona di Ondina. Ci rechiamo quindi a far spesa in un
vicino supermercato, facendo una scorta di cibarie varie per
Valentina, dopodiché usciamo alla volta della churrascaria Boi
Preto, ubicata sull’Avenida
Otávio Mangabeira, s/nº Jd. Armação. E’ la nostra
prima esperienza in questi tipi di locali, assai diffusi in
Brasile. Ad un prezzo fisso, ammontante grosso modo a 20 euro,
birra a volontà compresa, possiamo dapprima servirci presso un
buffet contenente oltre quaranta tipi d’insalate, formaggi,
pasta, paella, frutti di mare vari tra cui aragoste, polipi,
gamberoni, dopodiché, se così si può dire, si passa a
mangiare concretamente… Si viene muniti di un piccolo disco da
porre sulla tavola. Da una parte è colorato di verde e
dall’altra di rosso. Lasciandolo dalla parte verde, si da il
via alle danze dei camerieri, che servono continuamente tra i
tavoli una quantità industriale di carne di eccellente qualità
cotta alla brace, che presentano infilzata in dei giganteschi
spiedi, tagliandone la quantità desiderata direttamente nei
piatti dei commensali. Si va da oltre sette tagli di manzo, alle
costine di maiale, dallo gnu all’agnello, dalle quaglie al
pollo, dalle salsicce al vitello, a cui vengono accompagnati del
riso bianco, fagioli neri, formaggio fuso e salse varie. Solo
quando ci si arrende, girando il disco dalla parte rossa, il
festival termina e, se si dispone ancora di un piccolo angolino
nello stomaco, si può passare alla frutta, ed ai dolci. Cullati
del poderoso rumore delle onde del sottostante oceano, ci
addormentiamo sazi come non mai, qui, a Salvador de Bahia.
Il giorno
successivo ci muoviamo alla volta della Praça Thomè de Souza,
per andare alla scoperta del Pelourinho. Ci soffermiamo un po’
di tempo vicino all’ingresso dell’Elevador Lacerda,
l’ascensore in stile Liberty che collega la parte alta della
città, dove ci troviamo attualmente, alla parte bassa. Da qui,
possiamo godere della spettacolare visuale offerta dalla Baia di
Todos os Santos e della sottostante cidade baixa. Salvador, che
annovera quasi due milioni e mezzo di abitanti, afro-brasiliani
per un buon 80%, sorge infatti sulla punta meridionale di una
penisola affacciata sulla Baia di tutti i Santi, così chiamata,
perché Amerigo Vespucci vi approdò appunto il primo novembre
del 1501. Iniziamo dunque la nostra passeggiata nel Pelourinho,
la parte storica della città, dichiarata nel 1985 dall’Unesco
patrimonio culturale dell’umanità, la quale ha subito una
colossale opera di restauro, che ha consentito alle sue tante
chiese, ed ai suoi innumerevoli edifici coloniali, di tornare al
loro antico splendore. In breve giungiamo al Terreiro de Jesus,
una delle piazze più suggestive della città vecchia,
circondata da antiche costruzioni, ed abbellita in alcuni tratti
da alberi e palme reali. Si resta ammaliati dalla bellezza di
questo posto, che tende a farti istintivamente muovere senza
fretta, al fine di spaziare lentamente con la vista tra le sue
tante ricchezze, temendo quasi che qualcosa possa sfuggirti. Così
come stupiscono gli interni finemente decorati delle sue
sfarzose chiese, primo tra tutti quello della Cattedrale, in
stile barocco e neoclassico, costituito da varie navate, e
caratterizzato da un incantevole soffitto intarsiato da disegni
dorati,
o quello della Igreja São Francisco, contraddistinto da
un imponente lampadario d’argento, da pareti che sembrano
tappezzate da lamine d’oro e da alcune balaustre costituite da
legno nero di jacarandà, mentre ovunque si notano sculture
squisitamente intagliate rappresentanti cherubini, animali ed
angeli, alcuni dei quali raffigurati con immense teste o con
organi sessuali sproporzionati, appositamente realizzate in
questo modo dagli schiavi, che così sfogavano la propria
frustrazione. Sì, perché Salvador è fatta anche e soprattutto
di lacrime e sangue, quelle di decine di milioni di africani
trafugati qui dalla madrepatria, e, come ha spesso scritto il
grande scrittore bahiano Jorge Amado, l’Africa in fondo
costituisce di fatto l’ombelico di Bahia. Africa presente nei
tratti somatici dei suoi abitanti, nelle pietanze, nei riti
religiosi. L’Africa degli orixàs, divinità di origine yoruba
che incarnano le forze della natura, protagoniste di un
sincretismo religioso con i santi cattolici portoghesi, ed
interpreti di prim’ordine nella suggestiva manifestazione
dalle finalità puramente pragmatiche, quale è il culto
afro-brasiliano del Candomblè, in cui le stesse divinità
entrano in contatto con gli uomini, penetrando nei loro corpi
che, ormai in stato di tranche, si abbandonano in danze e
movimenti rappresentativi, ricavando l’axè, energia vitale
che permea tutte le materie del creato. Colpisce dritto al cuore
il Pelourinho, colpisce con le sue bellezze artistiche ed
architettoniche, nonché con le grandi contraddizioni che lo
caratterizzano, costituite soprattutto da realtà e finzione,
sacro e profano, antico e moderno. La realtà degli storici
edifici, dei bei palazzi coloniali, delle strade acciottolate e
delle tante chiese barocche. La finzione della messa in scena
turistica, con i vecchi abitanti a cui è stata offerta una
buonuscita per liberare le case da adibire a negozi di souvenir,
bar e ristoranti, sottraendo di fatto l’anima socioculturale a
questo antico quartiere e conferendogli una natura sintetica,
accresciuta dalle ragazze vestite in abiti tradizionali, pronte
a posare dietro lauto compenso per i turisti. Il sacro delle
maestose chiese, dei chiostri circondati da mura decorate da
spettacolari azulejos,
dell’austerità dei monasteri. Il
profano di altre chiese come Nossa Senhora do Rosario dos Pretos,
in Largo do Pelourinho, una delle poche dove è ammesso il rito
cattolico-sincretico, secondo cui gli orixàs diventano santi
cattolici. Ecco dunque che Sant’Antonio viene identificato con
Ogum, dio del ferro e della guerra, San Giorgio con Oxòssi,
divinità dei cacciatori, Omulu, dio delle malattie e dei
dolori, con San Lazzaro, Yansa, dea dei venti e delle tempeste,
con Santa Barbara, Yemanjà, dea delle acque, con la Madonna, ed
altro ancora. L’antico, costituito dai tanti banchetti
disseminati agli angoli delle strade, appartenenti alle
venditrici di acarajé, una sorta di polpetta di fagioli e
cipolle fritta nell’olio di dendè, (una palma di origine
africana), e farcita con peperoncino, vatapà o gamberetti
essiccati. Il moderno dei ristoranti che propongono pizza e
degli internet point. E’ davvero piacevole passeggiare tra le
stradine del Pelourinho, soffermarsi ad osservare qualche
improvvisato spettacolo di capoeira,
antica lotta praticata dagli schiavi africani, in seguito
proibita e trasformatasi in una sorta di danza, fino ad essere
oggigiorno considerata come uno sport nazionale, nonché
riconosciuta quale espressione socioculturale, ereditata dal
periodo coloniale. Nonostante il Pelourinho abbia sicuramente
perso autenticità,
rimane a mio avviso affascinante, malgrado i tanti negozi
turistici, ed i numerosi poliziotti intenti a sorvegliare i
turisti nelle ladeiras da eventuali malintenzionati. Verso
l’ora di pranzo, il forte odore dell’olio di dendè si
propaga nell’aria pungendo le narici dei visitatori, quasi
avvisandoli che dietro il prossimo angolo si trova un banchetto
di acarajé. Quest’oggi salteremmo tranquillamente il pranzo,
continuando a girovagare in questo antico quartiere coloniale,
ma Valentina ha le sue esigenze e pertanto ne approfittiamo…
fermandoci in Rua Frei Vicente, presso il ristorante Sorriso di
Dadà, dove consumiamo una sublime moqueca de polvo, uno stufato
di polipo tipicamente bahiano, i cui ingredienti primari sono
costituiti oltre che dal pesce (esistono, come nel caso della
nostra scelta, varie versioni, ma l’originale è appunto la
moqueca de peixe), anche dall’olio di dendè e latte di
cocco, ma in cui figurano cipolle, aglio, peperoni, coriandolo,
pomodori, prezzemolo e peperoncino. Sapore indubbiamente forte,
ma delizioso a nostro avviso, e, come al solito, le porzioni
servite sono a dir poco gigantesche, ed andrebbero probabilmente
considerate per due persone. Dopo pranzo continuiamo il nostro
giro, fermandoci proprio in Largo do Pelourinho, la piazza dove
venivano frustati e messi pubblicamente alla gogna gli schiavi,
un posto che evoca feroci sofferenze, ed atroci ingiustizie.
Visitiamo la Fundação
Casa de Jorge Amado, piccolo museo contenente numerose foto e
trame dei libri del famoso scrittore bahiano scomparso nel 2001,
e l’attiguo Museo da Cidade, nel quale sono riportati gli
abiti degli orixàs raffigurati nel Candomblè, vecchie foto
della città di Salvador, antichi dipinti e statuine
appartenenti al periodo coloniale. Risaliamo quindi la Ladeira
do Carmo, fino a giungere presso la chiesa di Nossa Senhora do
Carmo, al cui interno restiamo attoniti di fronte alla
spettacolare scultura del Cristo morto, scolpita nel legno di
cedro nel corso del XVIII secolo dallo schiavo Francisco Xavier.
Le gocce di sangue del Cristo sono formate da circa 2000 rubini.
Ripercorriamo quindi a ritroso la strada percorsa da questa
mattina, fino a giungere in Praça Thomè de Souza quando il
sole sta ormai tramontando. Prendiamo l’Elevador Lacerda,
discendendo fino alla Praça Cairu nella città bassa, da cui
raggiungiamo a piedi il Mercado Modelo, un tempo antica sede
della dogana, ed attualmente gigantesco agglomerato di banchi
d’artigianato.
Il giorno
seguente, di buon mattino, veniamo svegliati dai raggi del sole,
che penetrano nella nostra stanza illuminandola. Nonostante
siano appena le sette, la sottostante spiaggia è animata da
ragazzi che giocano a calcio. Esco dall’hotel, ed attraverso
rapidamente a piedi l’Avenida
Presidente Vargas, la lunga arteria a doppia corsia, che collega
il quartiere di Barra alle altre spiagge cittadine.
Prelevo dei reais presso uno sportello bancomat Bradesco,
dopodiché mi soffermo a scambiare un paio di chiacchiere con
due tassisti che stazionano fuori dalla banca, sondando il
terreno circa i costi di una corsa fino a Praia do Forte,
situata pressappoco 80 chilometri a nord di Salvador. Centoventi
reais per l’intera giornata, senza limiti di orario. Decido
quindi, soprattutto in base al bel tempo, di effettuare oggi
quest’escursione, ed il bello del viaggiare senza vincoli e
programmi prestabiliti è soprattutto questo, poiché si ha la
libertà di poter decidere giornalmente quali visite effettuare,
comunque agevolati nel nostro caso, anche dal fatto di
aver pianificato diversi giorni di permanenza qui a Salvador.
Partiamo quindi verso nord, attraversando le numerose spiagge
cittadine, davvero molto animate in questa giornata domenicale.
I numerosi venditori di acqua di cocco e di spremute di canna da
zucchero, sembrano fare affari d’oro, mentre le partite di
calcio e beach volley sono praticamente una costante nella
maggior parte degli arenili. Vediamo sfilare rapidamente Praia
do Rio Vermelho, Praia
do Buracão, Amaralina, Tituba, Jardim dos Namorados, Jardim de
Alá, Praia de Armação, Praia dos Artistas,
Boca do Rio, Corsário, Pituaçu, Patamares, Jaguaribe,
Piatã, Placaford, e la famosa spiaggia di Itapuã che,
nonostante i celebri e suggestivi versi di Toquinho e Vinicius
de Moraes
É
bom Passar uma tarde em Itapuã,
Ao
sol que arde em Itapuã,
Ouvindo
o mar de Itapuã,
Falar
de amor em Itapuã
non è
particolarmente attraente, anzi, è decisamente bruttina
rispetto ad altre. Poco dopo imbocchiamo la statale BA099,
comunemente chiamata Estrada do Coco, a causa degli estesi
palmeti, che si perdono a vista d’occhio. Dopo un’ora circa
ci fermiamo a Guarajuba, una bella spiaggia, ricoperta
ovviamente dalle immancabili palme e lunga cinque chilometri.
Questa è una località in espansione, ma il posto è
indubbiamente carino e frequentato quest’oggi quasi
esclusivamente da brasiliani, che colorano decisamente
l’ambiente. Sotto gli ombrelloni stazionano numerose
famigliole che, dopo aver ordinato nei vicini bar qualche
bottiglia di cerveja, tirano fuori dei pentoloni contenenti
riso, ed altre cibarie. Non mancano naturalmente le venditrici
di acarajé, che sprigionano nell’aria il denso aroma del dendè,
od ambulanti che vendono anacardi, frittelle, parejos. E poi la
musica Axè sparata a tutto volume, che contribuisce a rendere
magico questo posto,
riempiendolo di allegria. Un ragazzo del
bar ci mostra il pesce fresco che ha da friggere nell’attiguo
chiosco, costituito da una cucina a gas, ed un paio di
frigoriferi ubicati sotto un tetto di foglie di palma.
Ovviamente non rifiutiamo, optando per un megadentice e delle
aguglie, i quali ci vengono serviti accompagnati dalla solita
generosa porzione di riso bianco, patatine fritte, ed intingoli
vari. Terminato il pranzo, si presentano al tavolo dei piccoli
venditori di anacardi, bambini di sette, al massimo otto anni.
Fanno un timido cenno con le dita indicando gli avanzi, salvo
poi allontanarsi subito dopo. Li chiamo, avendo forse intuito le
loro intenzioni, ed annuisco con la testa. Sparecchiano quindi
la tavola, depositando gli avanzi alla rinfusa in una busta di
plastica, e si spostano velocemente di qualche decina di metri,
sedendosi ad un tavolo libero. Poi, iniziano a spartirsi il
contenuto della busta, che divorano avidamente. Sono scene che
ti ammutoliscono. Il mondo sa certamente stupirci con le sue
infinite meraviglie, ma troppo spesso sa anche farci star male
con le sue grandi ingiustizie. Nel pomeriggio raggiungiamo Praia
do Forte, situata dodici chilometri più a nord. Ci sorprendono
il cospicuo numero di locali presenti, ed i tanti turisti
stranieri. Il posto è comunque piacevole, sebbene la spiaggia
non sia a mio avviso bella come quella di Guarajuba, ma Praia do
Forte è soprattutto famosa poiché possiede il più grande
centro ricerche del progetto Tamar, mirato alla salvaguardia
delle tartarughe marine. Il progetto Tamar è stato ideato nel
1980 dall’ente brasiliano di tutela ambientale, ed annovera
attualmente venti basi sulle coste del Brasile,
monitorando
circa mille chilometri di spiagge e coprendo ben otto stati
all’interno del paese. Dopo aver visitato il centro ricerche,
torniamo in città, dove giungiamo quando è ormai buio, dopo
essere stati bloccati parecchio tempo nel traffico, che ha
letteralmente paralizzato le strade periferiche. Nei giorni
seguenti godremo appieno delle bellezze di Salvador, città dai
mille aspetti, la quale sembra sempre riservare al visitatore
una sorpresa dietro l’angolo e che sarebbe fantastico visitare
in uno dei tanti giorni di festa presenti nel calendario bahiano.
Primo tra tutti quello del Lavagem do Bonfim, forse il più
popolare avvenimento di Salvador dopo il carnevale, in cui una
processione composta da migliaia di persone parte dal mercato
modelo, raggiungendo dopo nove chilometri l’Igreja de Nosso
Senhor do Bonfim, dove le sacerdotesse del candomblè, vestite
con tuniche bianche, lavano la scalinata del santuario,
cospargendola successivamente di fiori. Prima di entrare nella
chiesa, veniamo assaliti da un nugolo di venditori, che tentano
di venderci dei braccialetti colorati portafortuna, chiamati
fitas. Quello che più
ci colpisce in questo luogo di culto, venerato come il più
miracoloso del Brasile, è appunto la sala dos milagres, dove
sono stipati centinaia di articoli di giornali, foto, oggetti
votivi, che testimoniano la grande fede che la gente ripone nei
poteri curativi e miracolosi della chiesa. Nella nostra visita
di Salvador, omettiamo volutamente di effettuare un’escursione
presso una delle isole della Baia di Todos os Santos, perché
nel corso di questo viaggio abbiamo già abbondato di mare e
spiagge, mentre ci dedichiamo più alla visita della città in sé
stessa, tornando varie volte a passeggiare tra i vicoli storici
del Pelourinho, visitando alcuni dei suoi quartieri moderni, dei
suoi fari, primo tra tutti il Farol de Barra, che di sera regala
visuale e tramonto fantastici, ed anche i suoi immensi centri
commerciali, come lo Shopping Barra, l’Aeroclub e,
soprattutto, il mastodontico Shopping Iguatemì, composto da ben
520 negozi, molti dei quali davvero lussuosi e frequentati dalla
ricca borghesia bahiana. Già, il lusso… distante anni luce
dalle favelas che circondano Salvador, molte delle quali chiuse
da un alto muro di cinta, mirato ad impedirne la visuale ai
turisti. Il lusso distante anni luci da posti come Novos
Alagados, una delle dieci favelas di Ribeira Azul, una sorta di
girone dantesco costituito da palafitte sul mare, dove abitano
migliaia di persone, ed in cui malattie come parassitosi,
scabbia e tigna sono all’ordine del giorno. Forse qualcosa
cambierà, si stanno lentamente portando servizi necessari come
acqua, luce e fognature, oltre a servizi sociali essenziali,
grazie a quel processo di riurbanizzazione
studiato dal governo, al fine di trasformare le favelas
da insalubri agglomerati, a dignitose abitazioni popolari. Forse
qualcosa sta veramente cambiando, forse…
Il volo che
ci conduce a Foz do Iguaçu non è dei più agevoli, cinque ore
e quaranta minuti, cambio di aeromobile a San Paolo compreso.
Comunque, alle 14,30 atterriamo nello stato del Paranà, in un
punto situato al confine con la provincia Argentina di Misiones,
ed il Paraguay. Siamo un po’ sorpresi dal tempo, in quanto,
essendo pieno inverno e trovandoci al sud, ci aspettavamo delle
temperature più basse, mentre oggi si registrano ventisei gradi
e splende il sole. In breve, procedendo sulla Rodovia das
Cataratas, raggiungiamo l’ingresso del Parque Nacional do Iguaçu, il quale comprende circa 185.000 ettari
di foresta pluviale preservata. Il parco fu istituito nel 1939,
sulla scia del confinante Parque Nacional Iguazù argentino,
sorto nel 1934 al fine di salvaguardare le celeberrime cascate.
Entrambi i parchi, il cui territorio complessivo ammonta grosso
modo a 260.000 ettari, e che annoverano oltre 2000 specie
di piante, moltissime esemplari di uccelli, circa 80 specie di
mammiferi, oltre ad un numero indefinito di insetti e rettili,
sono stati dichiarati patrimonio naturale dell’umanità
dall’Unesco. Rispettando i bassi limiti di velocità, dovuti
soprattutto ai frequenti attraversamenti da parte degli animali,
come testimoniano i numerosi segnali di pericolo, percorriamo
gli undici chilometri che separano la
entrada do Parque dal
nostro hotel, il Tropical das Cataratas, unico albergo ubicato
all’interno del parco nazionale brasiliano, a pochi passi
dalle cascate, ed il quale rappresenta per noi un piccolo
lussuoso sfizio, che ci siamo voluti concedere in questo
viaggio, più che altro per la sua posizione, assolutamente
privilegiata. Posati i bagagli nella spaziosa camera dagli alti
soffitti, ed arredata con antichi mobili scuri, usciamo subito
alla volta delle cascate, di cui già dalla hall udiamo
chiaramente il fragore. Lo spettacolo che si manifesta ai nostri
occhi ci lascia attoniti.
Avevamo visto decine di foto,
documentari, letto vari racconti, ma nulla può descrivere la
meraviglia di queste cascate. Qui, il Rio Iguaçu si immette nel
Rio Paranà in una valanga d’acqua rimbombante, costituita de
275 distinte cascate, la cui altezza è compresa tra i 50 e gli
80 metri, ed i cui salti si estendono in semicerchio su una
lunghezza complessiva di quasi tre chilometri. Un’autentica
esplosione della natura, la quale si scatena in una grande
sinfonia di suoni, spruzzi, immense cascate d’acqua, oltre
all’inebriante bellezza rappresentata dal territorio
circostante, costituito da una fitta ed impenetrabile foresta
pluviale, in alcuni tratti resa spettrale dal vapore generato
dalle ribollenti acque. All’inizio del sentiero, un piccolo
gruppo di quati, una sorta di simpatici procioni assai diffusi
nel parco, distolgono la nostra attenzione dalle cascate, per la
felicità soprattutto di Valentina, assai attratta da questi
animaletti in cerca di cibo, a cui è però tassativamente
vietato dar da mangiare, come chiaramente esposto su diversi
cartelli. Iniziamo dunque a passeggiare lungo i due chilometri
su cui si sviluppa il sentiero che, attraversando la foresta
pluviale, costeggia le cascate, le quali ci appaiono in tutto il
loro splendore da svariati punti di vista, e sempre ad una certa
distanza, consentendoci quindi di poterle ammirare mediante
un’estesa ottica di osservazione. Intorno a noi, i mille
rumori della foresta, e decine di farfalle multicolori. Dopo
esserci fermati in diversi balconcini panoramici ubicati lungo
il percorso, giungiamo in prossimità del Salto Floriano. Qui
siamo molto vicini alle cascate, ed alla grossa quantità
d’acqua che scende vigorosamente nebulizzandosi, ed
inducendoci rapidamente ad indossare i nostri key-way. Tramite
una passerella raggiungiamo il Salto Santa Maria, dove, a causa
dei numerosi spruzzi, facciamo la nostra bella doccia
pomeridiana. Successivamente saliamo sulla torretta
d’osservazione ubicata in cima al Salto Floriano, da cui si
vedono gran parte di un ramo del Rio Iguaçu, il poderoso
gettito d’acqua del
ravvicinato salto, nonché il panorama
sottostante, insomma, uno spettacolo assoluto. Percorriamo a
ritroso il sentiero, proprio mentre il sole ci regala uno
spettacolare tramonto, tingendo di rosso queste straordinarie
cascate che, è il caso di dirlo, rappresentano un vero e
proprio trionfo della natura. Fuori l’hotel conosciamo
Roberto, tassista con il quale contrattiamo una corsa per il
lato argentino, da effettuare domani. Dopo cena la temperatura
scende sensibilmente, ed è puro piacere trascorrere del tempo
davanti al camino, sorseggiando una sublime cachaça 51, ed annotando le sensazioni di questa intensa giornata. Ci
addormentiamo con il rumore in sottofondo delle cascate, il cui
fragore riesce persino spesso a far vibrare i vetri della nostra
camera. Il giorno seguente, di buon mattino, troviamo come
concordato Roberto ad attenderci davanti all’ingresso
dell’hotel. Quest’oggi c’è una densa foschia, tanto da
rendere quasi invisibili le cascate ai tanti visitatori che
stanno giungendo nel parco brasiliano. Si parte dunque alla
volta del lato argentino, dove giungeremo dopo circa un’ora.
Roberto ci racconta delle sue origini tedesche e della forte
rivalità con i vicini argentini, che giudica estremamente
arroganti. Il discorso scivola poi sulla fauna presente nel
parco e soprattutto sui giaguari, a quanto sembra ridotti ad una
cinquantina di esemplari censiti, e controllati da appositi
collari, sebbene negli ultimi anni ne siano stati abusivamente
“matati” decine e decine nelle vicine fazendas, dove questi
ogni tanto sconfinavano in cerca di cibo. Dopo aver superato il
Visitor’s Centre del Parco, dove reperiamo qualche utile
mappa, prendiamo un comodo e pittoresco trenino interno, che ci
conduce alla Estación Garganta, da cui iniziamo a percorrere i duemila metri di passerella che
ci separano dalla Garganta do Diablo, dove 14 allineate cascate
alte circa ottante metri e disposte a ferro di cavallo,
rovesciano poderosamente migliaia di metri cubi d’acqua al
secondo, generando un rumore assordante e creando un incredibile
spettacolo della natura.
Tra nugoli di spruzzi e vapore,
facciamo anche qui l’inevitabile nostra bella doccia, che
continuerà anche mentre torniamo alla Garganta Station,
considerato che inizia a piovere a dirotto. Mentre i diversi
indios paraguaiani presenti iniziano velocemente a riporre la
propria mercanzia, raggiungiamo la Estación Cataratas, da dove iniziamo a percorrere il Circuito Superior, il quale
offre incredibili visuali dall’alto delle cascate, snodandosi
per 1200 metri attraverso la foresta pluviale, che già da sé
costituisce un superbo spettacolo per il visitatore, che rimane
notevolmente attratto da alcune sue meraviglie, come alcuni
bellissimi esemplari di tucano, che intravediamo facilmente in
cima agli alberi. Dopo pranzo affrontiamo i 1600 metri del
circuito inferior, da cui si ammirano i vari salti da una
prospettiva ovviamente diversa. Alcuni segnali avvertono circa
il pericolo dei molti serpenti presenti, invitando i visitatori
a non spingersi al di fuori dei sentieri. |
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Siamo sbalorditi dalla
spettacolarità offerta dai vari salti, completamente differenti
gli uni dagli altri, e restiamo completamente estasiati di
fronte alla maestosità del Salto Bossetti, dove facciamo
un’altra bella doccia. Al nostro ritorno, troviamo il lato
brasiliano ancora avvolto nella densa foschia in cui l’avevamo
lasciato stamattina e così sarà all’indomani, con le cascate
di fatto nascoste dalla nebbia. Cascate di cui si ode unicamente
il rimbombante rumore prodotto dal loro possente gettito. Ci
rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati a giunger qui due
giorni or sono, in una splendida giornata di sole. Dedichiamo
l’ultima mattinata a Valentina, la quale ha ieri dimostrato di
avere delle buone doti di viaggiatrice, adattandosi
magistralmente nell’umidità della foresta pluviale e
scarpinando per chilometri all’interno del parco argentino.
Visitiamo infatti il Parque
das Aves, un bel parco di 16,5 ettari, dove si possono ammirare
oltre 500 uccelli in stato di semilibertà. Nel pomeriggio, con
un volo diretto a Rio lasciamo le cascate di Iguaçu,
un’autentica meraviglia della natura, che valgono da
sole un viaggio in questo angolo di mondo.
Nonostante
la giornata nebulosa, la visuale di una buona parte di
Copacabana di cui godiamo dalla nostra stanza, è eccezionale.
Alle sette del mattino il traffico è gia intenso, ed il calçadão
pullula di gente che corre, ma la vera attrattiva è la famosa
spiaggia, sconfinata, larghissima e bagnata da immense onde
oceaniche, che la ricoprono di spuma per un buon tratto. Dopo
una lauta colazione, come concordato, troviamo il nostro amico
ad attenderci nella hall. Carlos, che sarà il nostro driver a
Rio, è un parente della simpatica moglie carioca di mio cugino,
il quale ha vissuto qualche anno in questa che viene comunemente
chiamata la "cidade maravilhosa". Ci rechiamo
in Praça General Tibùrcio, dove prendiamo la teleferica lunga
circa 1400 metri, che conduce rispettivamente sui colli (morros)
dell’Urca e del Pão
de Açucar, quest’ultimo situato ad un’altezza di quasi
quattrocento metri.
La foschia che avvolge la città non ci permette di ammirare in
tutto il suo splendore il sottostante panorama, ma riusciamo
facilmente a distinguere le principali spiagge, ed il Cristo
Redentor in cima al
Corcovado.
Scendendo sul Morro da Urca, dopo qualche tentennamento
decidiamo di rinunciare al volo panoramico in elicottero,
sapendo di aver comunque perso una buona occasione di osservare
Rio da una prospettiva unica. Chiedo a Carlos di condurci al
Maracanà, il più grande stadio del mondo e tempio del calcio
carioca, che visitiamo salendo dapprima sugli spalti, ed in
seguito direttamente sull’erba di gioco, in un’apposita
parte recintata, che raggiungiamo dopo aver percorso il
sottopassaggio tra fumogeni, cori e slogan registrati, i quali
danno la reale impressione di entrare in campo all’immediata
vigilia di una partita. Questo stadio suscita in me delle
particolari sensazioni, dovute all’idolatria adolescenziale
nei confronti di Arthur Antunes Coimbra, alias Zico, asso del
Flamengo, che ha militato anche nel campionato italiano nelle
file dell’Udinese, il quale detiene tutt’ora il record di
reti ufficiali segnate nel Maracanà, oltre trecento. Peccato
solo che in questi giorni il Flamengo non giochi in casa, perché
non avrei certamente perso l’occasione di assistere ad una
partita del più titolato club di Rio. Carlos ci conduce a
pranzo in un galeto di sua conoscenza, tra l’altro affollato
all’inverosimile, dove per una manciata di reais mangiamo
dell’ottimo pollo cotto sulla fiamma, che accompagniamo con
una chop gelata. Imboccando le varie strade e sopraelevate di
Rio, ci si rende meglio conto di quanto particolare e ricca di
contrasti sia la conformazione architettonica della città, in
cui le sagome di alti palazzi moderni si sovrappongono alle
piccole casette che compongono le decine di favelas presenti
nelle colline retrostanti. Ci rechiamo in seguito in centro, che
visitiamo a piedi partendo da Praça Floriano. Qui Rio sembra
abbandonare l’icona da cartolina dovuta alle sue famose
spiagge, ed assume maggiormente le sembianze di una moderna e
caotica città sudamericana, con bar all’aperto affollati di
avventori e numerosi suonatori di strada, ma dove non mancano
anche tristi spettacoli dovuti a decine di bambini scalzi e
malvestiti, che dormono sui cartoni. Raggiungiamo Largo do
Carioca, dove visitiamo la chiesa ed il convento di Santo
Antonio, uno degli edifici religiosi più antichi della città,
ed in seguito giungiamo presso la moderna Catedral
Metropolitana, caratterizzata al suo interno da spettacolari
vetrate. Passeggiando sull’Avenida Rio Branco, non resistiamo
alla tentazione, ed imbocchiamo rua Gonçalves Dias, dove
entriamo nella storica Confeitaria Colombo, nella quale
prendiamo un thè, che ci viene servito con degli squisiti
biscotti chiamati casadinhos. Servendoci dell’automobile, visitiamo
in seguito alcune delle principali chiese di Rio, come quella di
NS da Candelaria, NS do Carmo da Antiga Sé, teatro
dell’incoronazione di Don Pedro I nel 1761 e cattedrale
cittadina fino al 1976, e lo spettacolare Monastero de São
Bento, il quale rappresenta uno dei più significativi esempi
del barocco brasiliano. La sera ceniamo presso Marius Crustaceos,
un locale ubicato sull’Avenida Atlantica, tra Leme e
Copacabana, dove con poco meno di venti euro a persona, ci
serviamo presso un megabuffet contenente qualche decina di tipi
di insalate, contorni vari, paella, moqueca, aragoste, granchi,
ostriche gamberoni, ricci di mare, polipi, seppie, vongole,
cozze, cicale di mare, mazzancolle ed altro ancora, prima di
passare ad essere serviti al tavolo in stile churrasco, ma con
colossali portate di pesce. Tornando in hotel, restiamo ancora
una volta molto colpiti dai numerosi bambini di strada, che
dormono sui marciapiedi delle vie limitrofe all’Avenida
Atlantica. Il giorno seguente splende il sole su Rio e ne
approfittiamo per salire alla volta del Corcovado. Raggiungiamo
quindi con Carlos il quartiere di Cosme Velho, da cui
prendiamo il trenzinho inaugurato nel 1884 dall’imperatore Don
Pedro II, che con corse frequenti ogni mezz’ora, raggiunge
attraversando la foresta tropicale di Tijuca la cima del più
alto morro carioca, appunto il Corcovado, ubicato ad
un’altezza di circa 710 metri. Ai piedi del Cristo Redentor,
la statua alta 38 metri scolpita da Paul Landowsky, si gode di
un panorama davvero incomparabile di Rio e delle sue spiagge, a
cui nessuna descrizione o fotografia potrà mai rendere il
giusto merito. Nel pomeriggio ci rechiamo presso la Quinta de
Boa Vista, un tempo residenza imperiale, ed ora ritrovo di molte
famigliole e coppiette di cariocas, che trascorrono il tempo
libero nei tanti bei giardini costellati da laghetti. Visitiamo
l’attiguo giardino zoologico, dove saremo gli unici turisti
senza macchine fotografiche, in mezzo a decine di famiglie
locali armate di obiettivi fino ai denti. Restiamo
successivamente impantanati in mezzo al traffico e ne
approfittiamo per fare quattro passi a piedi nel Bairro
de Fátima, un quartiere popolare nei pressi del centro,
vicino a Santa Teresa, dove passa il celebre bondinho, tram che
attraversa anche gli arcos de lapa, resto di un acquedotto del
diciottesimo secolo composto da quarantadue archi, dove ci
fermiamo per uno scatto fotografico. Il giorno seguente è
domenica, giorno in cui Copacabana ed Ipanema vengono chiuse al
traffico. Ne approfittiamo per effettuare una lunga passeggiata
di circa sei chilometri che, dagli inizi di Copacabana ci
condurrà appunto fino all’altezza del Caesar Park hotel di
Ipanema. Nel pomeriggio passiamo vicino alla Favela
di Rocinha, la più grande del sudamerica con oltre
duecentocinquantamila abitanti, ed oggi addirittura meta di
appositi tour organizzati da parte di turistiche agenzie locali.
Ancora una volta la città mostra i suoi grandi contrasti
quando, percorrendo appena qualche centinaio di metri, giungiamo
nel quartiere di São
Conrado, nel quale vi sono alcuni dei condomini più lussuosi ed
esclusivi di Rio. Nelle vicinanze troviamo la Praia do Pepino,
luogo di atterraggio di molti ragazzi che si lanciano con il
parapendio dalla vicina Pedra Bonita, planando in volo per circa
cinquecento metri. Trascorriamo la mattina seguente a Copacabana,
spiaggia che non presenta certo i canoni
estetici
della classica spiaggia tropicale da cartolina, ma che seduce
tremendamente con la sua particolare atmosfera e con il calore
della sua gente. Nel pomeriggio lasciamo Rio de Janeiro dopo
avervi trascorso qualche giorno ed aver visitato le sue
principali attrattive turistiche, ben consapevoli che il tempo
dedicatole è stato del tutto insufficiente, perché la città
andrebbe vissuta più che visitata, città che ha saputo
incantarci con le sue grandi attrattive e farci star male al
momento di salutarla, come raramente ci era capitato in altri
posti del mondo. Lasciamo dunque il Brasile, eccezionale paese
ricco di contrasti, che ci ha letteralmente sbalorditi durante
queste settimane di permanenza, regalandoci un viaggio andato
ben oltre le nostre aspettative, e la cui gente conosciuta,
incredibilmente generosa, allegra, cordiale e disponibile, è
sempre stata disposta a regalarci un sorriso, malgrado tutto.
Brasile che ora, mentre ascolto la bella voce della bahiana
Ivete Sangalo e rovisto nella mia memoria redigendo questi
appunti di viaggio, sento incredibilmente già mancarmi...
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