Nel Queensland con Valentina

2° parte: Australia !


la prima parte del racconto si trova alla pagina di Hong Kong



Il Queensland ci accoglie con una pioggia battente, e con una temperatura di gran lunga inferiore rispetto a quella a cui eravamo abituati in questi giorni. La fila al controllo passaporti scorre lenta, poiché il funzionario si prodiga in una serie infinita di domande, ma in fondo a noi va bene così, in quanto Patrizia ne approfitta per dare il latte a Valentina. Povera piccola mia, colazione durante la coda all’immigrazione. Mi chiedo cosa direbbero i nonni, qualora potessero assistere ad una scena del genere, ma sicuramente è meglio non saperlo. I nostri bagagli vengono annusati con cura da alcuni piccoli cani con tanto di pittoresca divisa. Avendo dichiarato il bagaglio di Valentina come soggetto ad ispezione, ci viene ordinato di aprirlo, ed un’addetta dell’Australian Quarantine and Inspection Service ci chiede spiegazioni circa tutti i prodotti che abbiamo introdotto nel territorio australiano. La sua preoccupazione consiste nell’uovo, una vera e propria minaccia a quanto capiamo. Appurato che non abbiamo alimenti che contengono uova, usciamo finalmente dall’aeroporto, trovando ad attenderci un incaricato dell’albergo dove soggiorneremo nei prossimi tre giorni. In realtà è un driver al servizio di una società privata di Port Douglas, con tanto di divisa costituita da camicia bianca e pantaloni neri, stile pilota d’aviazione.

Carica i nostri borsoni all’interno di un piccolo rimorchio agganciato alla sua vettura, e parte verso la nostra destinazione. Osservo con attenzione le strade ed i cartelli, giusto per capire a cosa andrò incontro quando tra pochi giorni noleggerò l’auto, come nei nostri programmi. Imbocchiamo la Cook Highway, dirigendoci a nord di Cairns, città che vedremo in seguito, ed abbiamo subito modo di ammirare la splendida vegetazione tropicale presente in alcuni punti. L’autista sorride scotendo la testa quando intravede la macchina di alcuni turisti finita dentro una cunetta, e ci spiega che molti non tengono conto dei ripetuti segnali che invitano ad usare prudenza quando la strada è bagnata. Effettivamente debbo dire che questi cartelli si susseguono almeno ogni chilometro. Dopo aver superato le indicazioni per alcune note spiagge del circondario come Trinity Beach e Palm Cove, la strada, inizialmente costituita da due corsie per ogni senso di marcia, diventa progressivamente più stretta e sempre meno trafficata. Intravedo il primo classico segnale di pericolo raffigurante un canguro e probabilmente solo ora mi rendo realmente conto di esser giunto in Australia. Lungo il percorso, in alcuni tratti di strada arriviamo addirittura a costeggiare il mare, ed è inutile dire quanto sia grande lo spettacolo che si sta lentamente manifestando ai nostri occhi. Ogni curva presenta una sorpresa, un paesaggio diverso, spiagge interminabili, tratti di mare più o meno agitati, vegetazione a tratti intensa, in altri più rada.

Un cartello indica che siamo giunti a destinazione, e dopo aver lasciato la Cook Highway, ed aver percorso una stradina immersa nel verde, arriviamo quindi al Thala Beach Lodge, albergo prenotato tramite internet, il quale si presenta ancor più spettacolare di quanto immaginassimo. Essendo ancora relativamente presto, in attesa di prendere possesso della camera ci fanno accomodare al bar, dandoci il classico cocktail di benvenuto. Il bar si trova proprio sopra la reception, ed il tutto sorge su un promontorio immerso in una foresta composta da eucalipti e piante tropicali, degradante verso il mare. Comodamente seduti, godiamo di un’incomparabile vista sul Mar dei Coralli, il quale circonda il sostanzialmente il complesso tre lati. Ho scelto questo posto per estraniarci un poco dal mondo e ricaricare le pile, prima di affrontare il viaggio vero e proprio nelle meraviglie del Queensland tropicale. Già, tropicale perché questo immenso stato di circa un milione e 700 mila chilometri quadrati comprende diverse regioni che presentano differenti caratteristiche geografiche e climatiche, a seconda delle loro ubicazione, per cui ad esempio Brisbane, situata nell’estrema parte meridionale dello stato, distante quindi oltre 1700 chilometri da Cairns, in questo periodo presenta temperature di gran lunga inferiori rispetto a quelle di cui godiamo noi, trovandoci oltre mille chilometri sopra il tropico del capricorno, in un ambiente quindi prettamente tropicale. Notiamo diversi uccelli colorati tra gli alberi e ci viene spiegato che la collina su cui sorge l’albergo funge da habitat naturale per numerose specie. Ci viene assegnata una piantina del lodge, e dopo aver percorso un piccolo sentiero attraverso una fittissima vegetazione, prendiamo possesso di uno degli 85 bungalow completamente immersi nel verde, tutti costruiti su palafitte. Uno spettacolo. Ovviamente per noi risulta un tantino faticoso scendere e salire con Valentina lungo queste stradine all’interno del Lodge, ma ne vale decisamente la pena. Il giorno seguente ci accoglie con un sole splendente, il quale fa brillare la vegetazione che ci circonda, ed il prolungato canto degli uccelli, associato alla danza volante di incredibili e gigantesche farfalle colorate, sembrano indubbiamente auspicarci il buongiorno. Dopo aver indossato il marsupio, ed aver quindi fatto accomodare Valentina sulle mie spalle, scendiamo lentamente verso il mare percorrendo vari sentieri all’interno del lodge. Superiamo dapprima una scenografica piscina naturale ubicata tra le rocce, alimentata da una spettacolare cascata, dopodiché arriviamo in spiaggia, all’ingresso della quale troviamo un bel cartello giallo che avverte circa il pericolo delle box jellyfish, delle particolari specie di meduse la cui puntura può risultare fatale, ma che fortunatamente per noi, sono presenti solo nel periodo estivo, corrispondente al nostro inverno.

La spiaggia, completamente orlata da eucalipti è immensa, sarà lunga oltre un chilometro, ed è praticamente deserta. Trascorriamo serenamente l’intera giornata passeggiando sulla stessa, crogiolandoci sotto il caldo sole del Queensland noto anche “Sunshine State”, e bagnandoci nelle fresche acque del Mar dei Coralli. Staremo praticamente sempre in solitudine, e le uniche persone che incontreremo passeggiando, sono degli australiani che fanno correre i propri cani lungo l’interminabile e piatto arenile. Nel tardo pomeriggio ci rechiamo a Port Douglas, che raggiungiamo dopo aver percorso un lunghissimo viale di palme e diversi lussuosi alberghi.

La cittadina, composta da bassi edifici, in realtà è abbastanza piccola, e la vita ruota principalmente attorno alla Macrossan Street, dove si alternano numerosi locali, negozi e supermercati. In breve raggiungiamo l’Avis per noleggiare un’automobile per la prossima settimana. Tramite internet avevo contatto anche altre agenzie minori e quindi meno onerose tipo la Crocodile Car Rentals, ma la nostra intenzione è quella di rilasciare l’auto a Cairns, e l’Avis è l’unica che non ci ha chiesto alcun supplemento. Essendo però in realtà l’agenzia molto piccola, e non avendo effettuato alcuna prenotazione, dobbiamo prendere l’unica autovettura disponibile, ovvero una gigantesca Holden Commodore Executive. La vettura è indubbiamente bella e forse, considerato lo spazio di cui necessitiamo, non è da considerare poi così grande. Inoltre, visto anche che abbiamo pagato un’assicurazione supplementare per ridurre di molto la franchigia dovuta in caso di incidenti, credo che per il tipo di vettura noleggiata, una novantina di milalire al giorno non siano poi molte, a dimostrazione che l’Australia per certi versi è abbastanza economica. Facciamo installare il seggiolino per Valentina, dopodiché mi viene spiegato come funziona una macchina con il cambio automatico, tra l’altro facilissimo da usare, anche se la prima volta che ho iniziato a far manovra cercavo istintivamente la frizione con il piede. Famigliola a bordo dunque, si parte! Facciamo il giro dell’isolato e posteggiamo lungo la Macrossan Street, passeggiando tranquillamente lungo la schiera dei tanti locali che si susseguono. Ce ne sono per tutti i tipi e per tutte le tasche, in quanto vanno dai classici pub che servono fish & chips e dai quali fuoriesce musica sparata a tutto volume, ai ristoranti specializzati in frutti di mare, ad altri ancora che offrono carne di coccodrillo, canguro, od emu. Il lato indubbiamente più positivo, è costituito comunque dall’informalità del posto, e questo ci permette di essere completamente a nostro agio. Ordino due spumeggianti “xxxx gold” in un pub dove gli ospiti appoggiati al bancone sono completamente sbronzi, mentre la maggior parte degli avventori sono tutti presi da una partita di rugby trasmessa in TV. Dopo aver consumato all’esterno le nostre due birre, continuiamo il nostro giro, notando tra l’altro sdraiati sul ciglio di un marciapiede un paio di cosiddetti “ferals”, di cui avevamo letto qualcosa, ma che certo non immaginavano d’incontrare. Si tratta di giovani che hanno sostanzialmente rifiutato la società moderna basata sul consumismo e sulla deturpazione dell’ambiente, e si sono ritirati a vivere nella foresta. Vivono sostanzialmente tramite sussidio di disoccupazione, ed anche vendendo braccialetti ed oggetti in cuoio, come i due che abbiamo notato, i quali ci colpiscono molto per la lunghezza sproporzionata delle unghia dei loro piedi. In un parco situato vicino il mare facciamo cenare Valentina, dopodiché ci rechiamo a cena in un ristorante thailandese, acquistando da bere presso un “bottle shop” situato dall’altra parte della strada.


Il giorno seguente sarà una copia di quello appena trascorso, mattinata e primo pomeriggio in spiaggia, e serata a Port Douglas. Ci sentiamo indubbiamente più riposati, Valentina ha completamente assimilato il fuso orario e si è ormai ben adattata alle otto ore di differenza con l’Italia. Siamo pronti, domani si parte per qualche giorno verso il Daintree National Park.


Il 19 di Agosto siamo nuovamente sulla Cook Highway. Facciamo una rapida sosta a Port Douglas per approvvigionarci di acqua minerale, strettamente necessaria per noi, con Valentina al seguito. Ci dirigiamo quindi verso Mosmann e Daintree. Il paesaggio in breve cambia radicalmente, in quanto non costeggiamo più il mare, ma attraversiamo immense distese di coltivazioni di canna da zucchero. Notiamo numerose piccole rotaie che scorrono attraverso i campi, e che in alcuni punti tagliano di fatto la strada. Sono usate appunto per il trasporto della canna da zucchero, principale risorsa economica della zona attorno a Mosmann. Superiamo in breve la piccola cittadina, dove ci fermeremo durante il viaggio di ritorno, e raggiungiamo quindi l’imbarcadero dei traghetti sul Daintree River, dove spiccano i segnali di pericolo nei confronti dei coccodrilli estuarini.

La zona dove ci troviamo è stata inserita nella World Heritage List dell’Unesco nel 1988, ed è sostanzialmente una delle foreste pluviali più antiche del pianeta. Poco più di trenta chilometri separano il fiume Daintree da Cape Tribulation, unico posto al mondo dove s’incontrano foresta pluviale e barriera corallina. Questa regione viene considerata una sorta di museo naturale vivente e le cifre parlano di circa 95 ambienti vegetali diversi in cui si annoverano oltre mille specie di piante, oltre 200 specie di volatili, decine di specie di anfibi e marsupiali, centinaia di specie d’insetti, e molto altro ancora. Proprio sulla destra dell’imbarcadero c’è una sorta di botteghino che vende i biglietti per delle crociere sul fiume Daintree, ed essendo relativamente presto ne approfittiamo. Torniamo quindi indietro di circa 500 metri, dove in prossimità del fiume troviamo una rampa che funge da attracco per le barche. Sfruttiamo l’attesa per far mangiare Valentina, la quale comincia a ragione a lamentarsi, mentre iniziano ad arrivare altri turisti. Alle 13,30 in punto approdano due barche, le quali fanno prima scendere i precedenti partecipanti. Come spesso accade, si sbrigano tutti ad accalcarsi sulla stessa barca, lasciandoci di fatto soli con la nostra bimba e relativo passeggino sull’altra, il che non è certo uno svantaggio. Salpiamo quindi su questo barcone dal fondo piatto, dirigendoci verso l’entroterra del Daintree, largo fiume dalle acque torbide. La vegetazione che lambisce le due rive è a dir poco lussureggiante e fittissima, davvero una meraviglia della natura. Il barcaiolo è molto simpatico, e ci racconta qualcosa circa i vari tipi di piante che osserviamo, molte delle quali sono state usate per secoli dagli aborigeni sia per fini alimentari, che per ricavarne medicinali. All’improvviso ecco il primo coccodrillo, intento tranquillamente a trastullarsi su una piccola ansa, sotto i raggi del caldo sole del Queensland. Ci avviciniamo lentamente con la barca, tenendoci comunque ad una relativa distanza, proprio per il rispetto dovuto nei confronti dei legittimi abitanti di questo fiume. In breve ne avvistiamo altri, alcuni dei quali si gettano rapidamente in acqua con degli scatti improvvisi e repentini. Questi coccodrilli vengono comunemente chiamati “salt water”, perché vivono negli estuari dei fiumi, ed a volte anche in mare aperto. Possono raggiungere anche lunghezze di sette metri e sono soventemente pericolosi per l’uomo. Ne ho la conferma quando dico scherzosamente al barcaiolo se posso fare dello snorkeling, e questi tira fuori un articolo riguardante un enorme esemplare ucciso pochi anni or sono, all’interno del quale furono trovati i resti di alcuni corpi umani. Dopo circa un’ora riprendiamo la nostra auto e c’imbarchiamo sul ferry. Fa una certa impressione starsene comodamente seduti all’interno della propria vettura, attraversando lentamente il fiume che sappiamo essere realmente popolato da questi animali.

Il tragitto è comunque breve, ed approdiamo rapidamente sulla sponda opposta del Daintree River, riprendendo la nostra marcia lungo la strada che s’inerpica nel cuore di questo parco nazionale. Si susseguono una lunga serie di tornanti, ed in alcuni punti la foresta è così fitta che i raggi del sole filtrano a malapena attraverso il fogliame. Ad uno certo punto un segnale indica la direzione verso Cape Kimberley, ed imbocchiamo quindi una stretta stradina non asfaltata per visitare il posto. In breve la carrozzeria della macchina perde la sua lucentezza, piegandosi alle nuvole di polvere che solleviamo durante il nostro tragitto. Dobbiamo tenere una velocità molto bassa, poiché la strada è molto dissestata. Stentiamo quasi a credere ai nostri occhi quando ci attraversa lentamente la strada un goanna, enorme lucertolone di circa un metro di lunghezza. Parcheggiamo l’auto nei pressi di un campeggio, dove ci sono posteggiate molte macchine con la targa del New South Wales, segno tangibile che sono molti gli australiani che vengono a svernare nel Queensland.

Valentina nel frattempo si è addormentata, per cui, al fine di non disturbarla, ci alterniamo con Patrizia a visitare la spiaggia di Cape Kimberley, la quale ci colpisce subito per la sua profondità e la sua tranquillità. Gran bel posto, con tanto di foresta pluviale alle spalle, e con un piccolo isolotto che si staglia a breve distanza. Riprendiamo la nostra marcia, giungendo in breve al Walu Wugirriga Lookout, bellissimo punto panoramico dal quale osserviamo la costa e l’estuario del Daintree River. Il sole inizia ad abbassarsi, creando un gioco di luce tra il verde della foresta sottostante ed il mare, che ci lascia letteralmente estasiati. Riprendiamo la nostra marcia, ed a breve distanza imbocchiamo sulla destra un’altra strada, questa volta però asfaltata, ma ugualmente circondata da una lussureggiante vegetazione tropicale, la quale ci conduce sulla Cow Bay, altra bella spiaggia, abbastanza simile alla precedente. Stiamo però pochissimo su questa baia, poiché sta quasi tramontando, e vorrei giungere a destinazione prima che faccia buio. La strada principale alterna punti in cui la vegetazione è più rada, ad altri in cui gli alberi si stringono, creando quasi una specie d’imbuto nel quale scorre il nastro d’asfalto. Spesso superiamo dei ponti a senso unico alternato, sotto i quali scorrono dei torrenti dalle acque limpidissime. Ad un certo punto noto una grossa sagoma in lontananza e rallento quindi progressivamente la marcia. Patrizia dice che si tratta di un canguro, ma l’andatura dell’animale è troppo lenta, tanto che ci costringe quasi a fermarci. Si tratta dell’uccello presente in numerosi segnali di pericolo che si sono ripetutamente susseguiti ormai da qualche chilometro, ovvero il Cassowary. Restiamo sbigottiti di fronte a questo animale dal folto piumaggio nero alto almeno un metro e mezzo, il quale, incurante della nostra presenza, si inoltra con molta calma nel folto delle vegetazione circostante. Incredibile davvero pensiamo, questa è l’Australia. In breve incontriamo il segnale che indica il nostro alloggio, e svoltiamo quindi sul lato sinistro della strada principale, guidando sulla polverosa Turpentine Road, in direzione opposta rispetto al mare, che comunque dista almeno tre chilometri dal punto in cui ci troviamo. Quando è ormai buio arriviamo quindi all’Heritage Lodge, una piccola struttura completamente circondata dalla rigogliosa foresta pluviale del Daintree National Park. Prendiamo possesso del nostro bungalow, molto spartano, ma ubicato in un luogo così suggestivo che non si avverte veramente alcun bisogno, all’infuori di questo contatto puro con la natura. La struttura soddisfa in pieno i miei gusti, anche perché è alquanto riservata, come appuriamo la sera a cena, nel cui ristorante si contano pochissimi tavoli. Tavoli al di sotto dei qual, ad un certo punto iniziano a girare un paio di giganteschi topi, almeno così sembrano, ma ci viene detto da un cameriere di osservare meglio il loro andamento composto di fatto da brevi balzi, in quanto marsupiali, considerato che si tratta di bandicut, lontani parenti dei canguri. Durante la notte la temperatura cala moltissimo, e non riusciamo a riposare con la dovuta tranquillità, in quanto controlliamo continuamente che Valentina non si scopra. La foresta circostante si anima di misteriosi rumori, creando una sorta di colonna sonora dettata dalla natura. Il mattino successivo, siamo in piedi di buon’ora. Raggiungiamo il ristorante per la colazione, meravigliandoci ancora per la bellezza del posto dove abbiamo dormito, che in pieno giorno ci appare in tutto il suo splendore. Direttamente dall’albergo partono diversi sentieri più o meno impegnativi, che si snodano attraverso la rigogliosa foresta pluviale del Daintree National Park. Proprio sotto il ristorante scorre un torrente, il quale forma delle pozze costituite da un’acqua limpidissima. Non posso resistere alla tentazione e, nonostante Patrizia prova ripetutamente a scoraggiarmi, mi dirigo spedito verso il basso, seguendo una piccola stradina che scende attraverso la fitta vegetazione. L’acqua è gelida, ed indugio non poco ad immergermi, ma poi, seguendo l’esempio di un giovane australiano mi lascio andare, provando dapprima un senso di svenimento, e subito dopo una piacevole sensazione. Dopo aver fatto colazione prendiamo l’auto, imboccando la tortuosa Turpentine Road e dirigendoci verso Cape Tribulation. La strada attraversa dei tratti di foresta fittissima, e, come ieri, superiamo diversi ponti sotto i quali scorrono torrenti più o meno carichi d’acqua. Si susseguono ripetutamente i cartelli di pericolo nei confronti dei cassowaries, assieme ad altri che invitano a procedere con prudenza quando il fondo stradale è bagnato.

Parcheggiamo la macchina in prossimità di un fast food “australian style”, ubicato proprio lungo la strada, e ci dirigiamo a piedi, verso la Myall Beach, attraversando un sentiero che si articola attraverso un tratto di foresta costituito da giganteschi alberi.

Le ruote del passeggino di Valentina cigolano, facendo quasi il verso ai numerosi uccelli presenti sugli alberi. In breve raggiungiamo la spiaggia, immensa e spettacolare, come tutte le altre che abbiamo visto sinora. Sembra quasi che qui nel Queensland tutte le cose assumono delle dimensioni enormi. Ci posizioniamo all’ombra di una palma, trascorrendo la mattinata oziando. Non possiamo certo dire di essere soli, ma, considerate le gigantesche dimensioni della spiaggia, è come se lo fossimo. Sulla nostra sinistra, la fine dell’immenso arenile è dominata dal promontorio di Cape Tribulation, sulla cui spiaggia abbiamo deciso di recarci nel pomeriggio, quando le comitive dei gruppi organizzati riprenderanno la via di Cairns e Port Douglas. All’ora di pranzo ritorniamo sulla strada, accomodandoci sulle panche posizionate all’esterno del fast food. Tiro fuori dall’auto il termos contenente l’acqua bollita in mattinata, indispensabile per la preparazione del brodo vegetale di Valentina, la quale, dopo aver mangiato, si addormenta nel suo passeggino, alle soglie di una gigantesca pianta. Ne approfittiamo per mangiare, ordinando quanto di meglio la casa possa offrire, ovvero delle untissime chips & fish. Al bancone mi viene quindi assegnato il numeretto, e quando i nostri piatti sono pronti, la bella ragazza australiana piena di “piercing” urla a squarciagola “seventifoooor”. Dopo aver riempito il nostro stomaco, e fatto probabilmente poco piacere al nostro fegato, attraversiamo nuovamente la strada per imboccare il Dubuji boardwalk, un sentiero su una passerella in legno che si snoda attraverso la foresta per la lunghezza di 1200 metri, lungo il quale sono ben descritte mediante degli appositi cartelli, i numerosi tipi di piante che ci circondano. Osserviamo con facilità moltissimi uccelli, e mentre restiamo ancora una volta incantati dalle meraviglie naturalistiche di questa nazione, riflettiamo sul fatto che l’intera area dove ci troviamo era originariamente abitata dagli aborigeni Kuku Yalangi. Già, gli aborigeni. Siamo in Australia da quasi una settimana, ma, nonostante abbiamo constatato che non si perda l’occasione per nominarli, anche unicamente a scopi commerciali, di fatto non ne abbiamo ancora visto nemmeno uno. Nel pomeriggio riprendiamo la macchina e dopo un breve tratto voltiamo a destra, dove un cartello indica il parcheggio di Cape Tribulation. Un piccolo percorso ci conduce su questa spiaggia, la quale deve il suo particolare nome a James Cook, che nel 1770 s’incagliò con il suo brigantino Endeavour in prossimità dell’adiacente reef. Il luogo, oltre che bellissimo, possiede la peculiarità di essere l’unico posto al mondo dove s’incontrano la foresta foresta pluviale, in questo tratto particolarmente lussureggiante, e la vicina barriera corallina. Poco prima di arrivare in spiaggia, una guida locale stuzzica un goanna sfidandolo con un bastone, e c’impressionano la sua lingua biforcuta ed i suoi rabbiosi scatti improvvisi, tanto che ci affrettiamo a passare, temendo immediatamente per l’incolumità di Valentina. Eccola la bianchissima spiaggia di Cape Tribulation, la quale ci accoglie in tutto il suo splendore.

Le acque, particolarmente limpide, stanno lentamente ritirandosi, allargando di molto la spiaggia leggermente bagnata, su cui si riflette la vegetazione che la lambisce, costituita prevalentemente da palme, ma anche da altri tipi di piante. Alla fine della stessa, ecco il famoso promontorio, anch’esso cosparso da vegetazione, che stamattina vedevamo in lontananza dall’altro lato.

Cape Tribulation possiede un qualcosa di mistico, e passeggiare lungo la sua spiaggia ormai semideserta mentre il sole sta lentamente tramontando, spaziando con lo sguardo tra l’azzurro del mare, ed il verde intenso della circostante vegetazione, è senza dubbio un’esperienza unica. Osservo Patrizia e Valentina, la quale sembra particolarmente divertirsi, poi ancora il cielo, il mare, le palme, il promontorio, la spiaggia, e nuovamente i grandi occhi di Valentina pieni di gioia. Vorrei urlare la mia gioia al vento. Sì, sono un uomo felice, perché ho la possibilità di contemplare questi posti unici al mondo, e soprattutto lo sto facendo assieme alle persone che più amo. E’ ormai buio quando ritorniamo in albergo, e tra i soliti bandicut che passeggiano indisturbati sotto le nostre gambe, ed i mille rumori che iniziano ad animare la foresta circostante, gustiamo la squisita carne del barramundi, un gigantesco pesce tipico dei fiumi australiani, che annaffiamo con un’ottima bottiglia di chardonnay, scoprendo di fatto un altro lato indubbiamente positivo dell’Australia, un paese che sta lentamente stregandoci. I 21 di Agosto siamo nuovamente sulla polverosa Turpentine Road. Stamattina il cielo è molto coperto, ed anche la temperatura è discretamente più fresca. Ci fermiamo al “Cafè on Sea”, un locale situato sulla strada, in prossimità della Thornton Beach. Dopo aver ordinato due cappuccini, chiedo alla ragazza del bar delle informazioni circa gli orari delle crociere sul vicino Cooper Creek, e, dopo aver controllato tramite apposita telefonata, lei stessa ci riserva i posti su quella in partenza alle 11,30. Ci rechiamo quindi sulla vicina spiaggia, la quale, tanto per cambiare, è letteralmente sterminata, ed in sostanza deserta.

Passeggiamo lungo il bagnasciuga per alcune centinaia di metri, fino ad arrivare proprio all’estuario del Cooper Creek. Sembra davvero assurdo che questo fiumiciattolo possa ospitare dei coccodrilli, eppure nei dintorni pullulano i classici segnali di pericolo. Si avvicina l’ora della nostra escursione, per cui torniamo indietro, prendendo nuovamente la macchina, che parcheggiamo poco più avanti, vicino al punto d’imbarco delle crociere. Stentiamo però a capire dove di fatto ci s’imbarca, poiché, a parte il solito segnale di pericolo, attorno è tutto un susseguirsi d’intensa vegetazione. Nel frattempo parcheggiano i loro veicoli altri turisti, e tutti insieme ci accodiamo ad un ranger del parco, il quale funge da guida. 

Nonostante i minacciosi cartelli, ci addentriamo a piedi attraverso le fitte mangrovie, seguendo un sentiero fangoso, il quale ci conduce all’attracco. Saliamo a bordo del barcone, prendendo posto nell’ultima fila, dove posizioniamo strategicamente il passeggino di Valentina. In breve salpiamo dirigendoci verso l’interno. Questa crociera è ancor più suggestiva di quella effettuata alcuni giorni fa sul Daintree River, poiché il Cooper Creek è molto più stretto, e di conseguenza consente una visuale ottimale delle sue sponde. La densa foschia ricopre le vette dei monti circostanti, mischiandosi gradatamente al verde della fitta foresta pluviale. Il corso del Cooper Creek sembra svanire a perdita d’occhio, smarrendosi nel folto della vegetazione, ed ogni mangrovia lungo le sue rive pare nascondere un’insidia. Le grida di stupore degli altri partecipanti all’escursione annunciano la presenza dei primi grossi esemplari di coccodrillo, che ammiriamo abbastanza da vicino. Il piccolo fiume contiene una trentina di esemplari territoriali, i quali sono quindi facilmente rintracciabili dalle esperte guide del parco. Il barcone si inoltra lungo alcune strette diramazioni dell’interno, dove la foresta è così intensa da non far quasi filtrare la luce. 

Giungiamo in prossimità di un isolotto posizionato al centro del fiume, sui cui notiamo un maestoso esemplare di almeno cinque metri di lunghezza, la cui particolarità è dovuta dal suo colore chiaro, che lo differenzia da tutti gli altri avvistati finora. 

Si muove lentamente spalancando le enormi fauci, e per un istante penso a cosa accadrebbe se incautamente cadessimo in acqua. Nel pomeriggio torniamo sulla spiaggia di Cape Tribulation e successivamente sulla vicina Myall Beach, dall’altra parte del promontorio, dove staremo fino al tramonto, quando il mare si ritirerà, allargando a dismisura la spiaggia, e facendo emergere dal nulla un’infinità di rocce e coralli erosi, creando di fatto un paesaggio fiabesco nel quale ci troviamo in perfetta solitudine.L'indomani lasciamo definitivamente il Daintree, un parco nazionale che negli ultimi tre giorni ci ha entusiasmato con la sua esuberante natura, e che meriterebbe senza dubbio una visita più approfondita. In breve superiamo nuovamente l’omonimo fiume, proseguendo spediti fino a Mosmann, dove ci fermiamo per una breve sosta. Parcheggiamo quindi l’auto, e dopo aver prelevato del contante ad un vicino bancomat, ci sediamo ad un tavolo all’aperto per fare colazione. Notiamo i primi aborigeni, ed anche quello che non avremmo mai voluto vedere. Ci colpisce particolarmente l’immagine di un gruppetto di persone scalze e vestite di miseri cenci, che osserva la vetrina di un negozio con lo stesso sguardo meravigliato di un bambino di fronte ad un giocattolo nuovo. Qui a Mosmann, piccolo centro dedito alla coltivazione della canna da zucchero, il mondo sembra essere diviso in due, in quanto nel bar dove ci siamo accomodati entrano solo bianchi, mentre come constateremo tra breve, dopo esserci passati davanti, un locale vicino è frequentato esclusivamente da aborigeni. Non oso pensare a quanto succede nelle grosse città. Il problema degli aborigeni è indubbiamente una grossa stonatura per una nazione come l’Australia e la loro storia fa letteralmente rabbrividire. All’arrivo degli inglesi gli aborigeni erano circa 500.000 e parlavano oltre 500 lingue diverse. In breve furono decimati da malattie e stragi fatte dal colonialismo. Oggi sono circa 350.000, molti dei quali in realtà sono incrociati con i bianchi, e continuano a morire attraverso la piaga dell’alcolismo. Solo nel recente 1967 hanno ottenuto la cittadinanza, nonché diritti civili e di voto. Le statistiche sono immensamente raccapriccianti e parlano di speranza di vita di un aborigeno di soli 49 anni, contro i 76 degli uomini australiani, e gli 82 delle donne. Il 90% di loro è analfabeta, ed il 90% dei carcerati australiani è nero. Le mortalità infantili sono largamente diffuse tra gli aborigeni e praticamente inesistenti tra gli alti abitanti. Le loro malattie, prevalentemente dovute ad un’errata alimentazione e, soprattutto all’alcol, praticamente infinite. Riprendiamo l’auto, seguendo i cartelli per la nostra meta, ovvero Mosmann Gorge. Un cartello indica che ci troviamo in una terra di proprietà aborigena, ed alcune spoglie baracche di legno con decine di miseri panni stesi confermano il tutto. Lasciamo la macchina prima del parcheggio, poiché una nutrila fila di altre autovetture alle quali ci accodiamo, lascia intendere che ovviamente lo stesso è pieno. Anche qui, notiamo diverse automobile con le targhe di altri stati australiani, e, considerato l’aspetto malandato di molte di esse, capiamo che non sono certo di proprietà di compagnie di autonoleggio, bensì di australiani venuti a godersi il caldo del Queensland. In breve raggiungiamo il posto, famoso per le limpide pozze d’acqua color verde smeraldo, intervallate da enormi rocce levigate dalla forza del fiume Mosmann, chiamato dai locali aborigeni “Yurrku”.

Ci sono numerosi sentieri in partenza dal parcheggio, i quali si snodano attraverso la folta vegetazione. Munito del solito marsupio, carico Valentina sulle spalle, ed iniziamo a passeggiare lungo il fiume Mosmann, movendoci con prudenza tra i grossi massi, ed ammirando le magnifiche pozze d’acqua limpidissima, all’interno delle quali nuotano indisturbati decine di grossi pesci. Diversi cartelli sconsigliano i bagni a causa della forte corrente del fiume, la quale sembra aver provocato nel passato la morte di alcune persone, ma, nonostante questo, sono molti gli australiani che si gettano tra le rapide, ed in particolar modo ci colpisce uno, munito di muta e maschera da sub.

Percorriamo un sentiero, il quale offre diversi punti che consentono di ammirare l’intero panorama circostante, e, dopo aver superato un suggestivo ponte sospeso, ci areniamo dopo qualche centinaio di metri, poiché il resto del percorso richiede oltre due ore di marcia, mentre noi abbiamo intenzione di giungere a Cairns prima di sera e dobbiamo inoltre far pranzare Valentina, il cui occorrente per prepararle il pranzo è rimasto in macchina. Nel pomeriggio riprendiamo la Cook Highway, fermandoci all’Hartleys Creek Crocodile Farm, la quale ospita diversi esemplari di coccodrilli, e di molta altra fauna presente nel Tropical North Queensland. Il biglietto d’ingresso comprende anche l’Attack Show, uno spettacolo in cui un addetto del parco si cimenta coraggiosamente in uno stagno recintato in compagnia di alcuni coccodrilli, ai quali lancia una fune a cui è stato legato un peso. Lo scopo è quello di dimostrare la potenza e l’aggressività di questi animali, i quali non mollano per un istante la presa dopo averla afferrata, ma in verità lo show non ci piace poi molto, ed i coccodrilli hanno tutta l’aria di essere semiaddormentati. Riprendiamo quindi la nostra marcia, e dopo qualche decina di chilometri percorsi sulla Cook Highway, costeggiando di fatto il mare dal lato della nostra guida, ovvero la sinistra, iniziano a susseguirsi un’infinita serie di rotatorie, ed i primi segnali che indicano l’avvicinarsi di Cairns, che raggiungiamo poco dopo, prendendo possesso di uno spazioso appartamento munito di cucina, situato direttamente sull’Esplanade. Dopo aver riposto i bagagli, ed esserci concessi una meritatissima doccia, usciamo nuovamente per raggiungere l’Avis e riconsegnare la macchina, dopodiché ci tuffiamo tra le strade di questa cittadina, che troviamo affollate di giovani appartenenti a nazionalità diverse. La sera ci fermiamo al Meeting Place, un particolare posto costituito da una serie di tavoli circondati da una decina di chioschi che offrono svariati tipi di cucina. Per tredici dollari australiani ci serviamo a buffet presso due chioschi che offrono cucina thailandese e cinese, con la formula “all you can eat”, letteralmente… tutto ciò che riusciamo a mangiare. La sera ci addormentiamo nel nostro comodo appartamento, ed un po’ ci mancano i mille rumori della foresta pluviale, ma il viaggio nelle meraviglie del Queensland continua, e domani mattina ci recheremo a Green Island. 

Il giorno successivo usciamo di buon mattino dal nostro appartamento, poiché dobbiamo raggiungere a piedi Trinity Wharf, dove ha sede il terminal della Great Adventures, la compagnia con la quale abbiamo prenotato l’escursione odierna a Green Island. Dopo aver camminato lungo le vie di una spenta Cairns , giungiamo sul posto, dove vengono controllate le nostre prenotazioni e ci vengono consegnate le carte d’imbarco. Ci accodiamo quindi ad un’interminabile fila, costituita prevalentemente da giapponesi. Le impiegate della Great Adventures giocano con Valentina, la quale è prodiga di sorrisi verso queste simpatiche ragazze, ed anche qui la piccolina diventa in breve l’attrazione principale, essendo indubbiamente il più piccolo passeggero pronto a salpare. Ci imbarchiamo seguendo una delle due file disposte dagli addetti, poiché ci fanno salire a bordo a seconda della nostra destinazione, in quanto il catamarano, dopo aver fatto sosta a Green Island, continua la sua marcia sull’outer reef, dove la compagnia dispone di una propria piattaforma attrezzata. Prendiamo posto all’interno, posizionandoci su dei divani che ci consentono di tenere il passeggino della nostra piccola vicino a noi. Alle otto e trenta in punto salpiamo dal molo di Cairns. Il catamarano è molto confortevole, e quasi non avvertiamo la navigazione. Dopo aver costeggiato alcune isole, giungiamo in appena 50 minuti a Green Island, la quale ci appare in tutta la sua bellezza. Green Island è una delle 300 isole coralline situate all’interno della grande barriera australiana, ed è stata la prima ad essere stata dichiarata parco nazionale nello stato del Queensland, nel lontano 1937. Si tratta effettivamente di un classico atollo da cartolina, costituito da sabbia bianchissima, rigogliosa vegetazione tropicale, ed una laguna costituita da trasparentissime e calme acque cinte dal reef, ma la cosa che ci colpisce in negativo quando attracchiamo, è l’interminabile fila di turisti che aspettano sul pontile, al fine d’imbarcarsi sul catamarano alla volta dell’outer reef. Sulla piccola isola, sorge infatti un lussuoso albergo che ospita prevalentemente una clientela nipponica, in quanto costruito dalla Daikyo. Purtroppo l’hotel occupa gran parte dell’atollo, che non è certo grande, e, a parte delle aree comuni, destinate agli escursionisti giornalieri come noi, la maggior parte di Green Island non è di fatto accessibile, per cui veniamo confinati in un paio di piccole spiagge.

Adagiamo i nostri zaini all’ombra di uno dei tanti alberi che di fatto ricoprono l’interno dell’isola, e che praticamente arrivano a lambire quasi il mare, e ci alterniamo con Patrizia ad effettuare dello snorkeling. Aspetto quindi il mio turno assieme a Valentina, la quale un pochino si lamenta, in quanto disturbata da alcune fastidiose raffiche di vento. Tutt’intorno è un’assieme di grida ed urla dei molti giapponesi presenti. Penso che quest’isola si potrebbe tranquillamente chiamare “Japan Island”, considerata la nutrita presenza di cittadini del sol levante. Patrizia esce dall’acqua abbastanza delusa, ma non voglio farmi raccontare nulla e procedo spedito a mia volta verso il mare. Finalmente posso tornare ad indossare pinne e maschera, mi sembra un secolo che non m’immergo. L’acqua è letteralmente gelida e debbo spingermi molto verso l’esterno prima d’incontrare i primi coralli, allontanandomi quindi di alcune decine di metri da riva e dall’affollamento dei gaudenti giapponesi. I gruppetti di corallo che incontro sono praticamente morti e sbiaditi, in compenso però, arrivando fino al reef che circonda l’isola, incontro una miriade di pesci multicolori, anche di grosse dimensioni, nonché alcune tartarughe, che in un certo senso mi ripagano delle numerose pinnate effettuate. Dopo aver fatto pranzare Valentina, ci dirigiamo verso l’interno del villaggio, restando attoniti di fronte alla presenza di alcuni negozi, tra i quali ne spicca uno della catena “Benetton”, che indubbiamente stonano con il contesto tropicale in cui ci troviamo. Nel pomeriggio, mentre ci apprestiamo a risalire a bordo del catamarano che ci ricondurrà a Cairns, una gigantesca testuggine ci regala una sorpresa, affiorando ripetutamente dalle smeraldine acque che circondano l’isola. Salpiamo abbastanza delusi, ed anche in un certo senso sbalorditi, poiché l’isola è indubbiamente bella, ma la massiccia affluenza turistica a cui è giornalmente sottoposta, discorda totalmente con il concetto di parco nazionale, e le conseguenze sono ben visibili nei suoi coralli, ormai praticamente tutti morti. Alle 17,30 in punto sbarchiamo a Cairns e, dopo aver fatto cenare Valentina, la quale si ormai completamente abituata a nuovi ritmi ed orari, usciamo passeggiando lungo l’Esplanade. Il mare che lo lambisce si è completamente ritirato e lungo il percorso osserviamo decine di esemplari d’uccelli, alcuni dei quali molto grandi. Non è certo un caso, poiché in un cartello posto lungo il tragitto, sono indicate le numerose specie protette che abitano questo tratto di mare.

Nel suo tratto finale, l’Esplanade è tutto un susseguirsi di locali e negozi, che spesso sono dei semplici punti dove prenotare escursioni, magari comprendenti anche delle postazioni internet. Tutto sommato Cairns mi piace, poiché molto informale, cosmopolita e giovanile, per quanto occorre dire che ci sono anche decine e decine di turisti anziani, per lo più australiani. Incontriamo moltissimi ragazzi che passeggiano scalzi, e notiamo una nutrita presenza di ostelli, ma anche numerosi cartelli che affittano stanze ed appartamenti. I ristoranti sono infiniti e c’è solo l’imbarazzo della scelta, poiché si alternano pizzerie a locali specializzati in frutti di mare, ristoranti cinesi a steakhouse, pub a ristoranti greci, libanesi, e molti altri ancora, nonché gli immancabili McDonald’s e Kuntuky Fried Chicken. Ogni sera, lungo il tragitto effettuato dal nostro appartamento al tratto finale del lungomare, veniamo inondati di un’infinità di volantini pubblicitari di ristoranti che offrono particolari sconti e formule del tipo “all you can eat”. Torniamo per la seconda sera consecutiva al Meeting Place, dove stavolta prendiamo due gigantesche e succulente bistecche dall’apposito chiosco, che offre anche carni di animali australiani come canguro, emu, e coccodrillo, che però non ci attraggono, soprattutto dopo aver letto come vengono ad esempio uccisi i simpatici marsupiali. Al chiosco degli alcolici, perennemente affollato a causa di una bellissima ragazza orientale dalle sembianze da top model, la quale attrae decine di clienti, prendiamo invece due spumeggianti “xxxx gold”, che rallegreranno la fine di quest’altra giornata trascorsa nel Tropical North Queensland. Il giorno seguente, dopo una breve corsa in autobus, partiamo con lo Skyrail alla volta di Kuranda. Questa funivia è lunga ben sette chilometri e mezzo, ed attraversa il Barron Gorge National Park fino a giungere a Kuranda, un piccolo paesino circondato dalla foresta pluviale, il quale fa geograficamente parte della regione degli Atherton Tablelands, che abbiamo intenzione di visitare tra qualche giorno. Saliamo su una delle 114 cabine che compongono lo Skyrail, ed iniziamo la nostra salita, ammirando da subito il paesaggio sottostante, costituito dalla visuale in lontananza del mare, e da una spettacolare veduta della ricchissima foresta sopra la quale stiamo passando, composta da vari tipi di piante, tra cui eucalipti, conifere e pini, straordinariamente frammisti a diverse specie di palme. Lungo il percorso effettuiamo due fermate. La prima alla stazione di Red Peak che, con i suoi 545 metri, rappresenta il punto più alto del percorso. Un sentiero di 175 metri ci consente di ammirare la circostante foresta pluviale, ed alcuni punti della valle in cui scorre il fiume Barron. Notiamo con estremo piacere che sono stati istituiti degli appositi passaggi per i disabili, al fine di scendere dalla funivia all’inizio del sentiero, e questo facilita anche noi, che abbiamo il passeggino di Valentina al seguito. 

Il secondo stop lo effettuiamo alla fermata delle cascate del fiume Barron, posta a circa 328 metri sul livello del mare. Anche qui un sentiero si articola attraverso la foresta, fino a giungere a tre separati punti panoramici, dai quali è possibile ammirare le cascate, ed alcune spettacolari pozze d’acqua. Dopo aver ripreso la funivia, giungiamo quindi a Kuranda. Nel terminal acquistiamo una simpatica rana di peluche per Valentina, la quale si diverte un mondo a sentirla gracidare. Una lunga strada in salita ci conduce al centro del paese, dove si susseguono molti negozi e ristoranti, fino al punto in cui sorgono i mercati per cui questa località è famosa. In realtà, queste bancarelle gestite per la maggior parte da anacronistici pseudo figli dei fiori di mezza età, rappresentano per noi una vera delusione, ma ormai ci siamo, e continuiamo quindi il nostro giro, aggirandoci tra oggetti d’artigianato, candele d’incenso, pelli di canguro, bigiotteria varia.

C’incuriosiscono molto i negozi che vendono gli opali, bellissime pietre caratterizzate da un’iridescenza interna, ed all’interno di uno di questi, ci fermiamo a lungo a parlare con una ragazza svizzera stabilitasi ormai da anni qui a Kuranda, la quale ci spiega le differenze tra i vari tipi di pietre esistenti. 

Nel pomeriggio, fedeli ad una collaudata formula turistica, torniamo a Cairns tramite il treno a vapore che percorre una ferrovia panoramica lunga 34 chilometri, terminata di esser costruita 1891. L’idea della ferrovia, oggi utilizzata per fini turistici, nacque nel lontano 1882, anno caratterizzato da un’interminabile stagione delle piogge, che isolò di fatto i minatori degli altipiani, i quali non poterono a lungo essere approvvigionati, rischiando concretamente di morire di fame, a causa dell’intransitabilità della strada che giungeva fino a Port Douglas. Fu deciso quindi all’epoca di costruire una nuova forma di trasporto che potesse sopperire a tali problemi e fu progettata una ferrovia che unisse gli altipiani al mare, seguendo il corso del fiume Barron. I vagoni del treno sono completamente in legno e ben tenuti, ma lo spazio tra i sedili è molto stretto, specie per chi come noi ha un passeggino al seguito. Il viaggio di ritorno risulterà interminabile e non sarà facile tenere buona Valentina, la quale si lamenterà in continuazione. L’arrivo alla stazione di Cairns rappresenterà per noi una specie di liberazione. La sera, dopo aver cenato con una gustosa zuppa acquistata in un chiosco di cucina giapponese nel Night Market, altro chiassoso spazio al coperto costituito da un’infinità di chioschi che offrono svariati tipi di cucine, ma anche da molti negozi di souvenirs, ed artigianato aborigeno, caliamo il sipario su quest’altro giorno trascorso nel nord del Queensland, in attesa che domani ci ospiti Fitzroy Island.

Il giorno seguente alle 9,30 salpiamo nuovamente da Cairns a bordo di un catamarano, questa volta appartenente alla compagnia denominata Sunlover Cruises. Dopo appena 45 minuti intravediamo il profilo di Fitzroy, una delle tante isole continentali situate all’interno della grande barriera corallina australiana. E’ molto diversa da Green Island, poiché presenta delle piccole vette granitiche, le sue coste sono molto frastagliate e ricche di scogli, ed è completamente ricoperta da vegetazione.

L’isola, un tempo chiamata Gabar dagli aborigeni locali, i quali la frequentavano per cacciare e  pescare, ma anche per scopi cerimoniali, annovera una superficie totale di 339 ettari, gran parte della quale è stata dichiarata parco nazionale. Appena sbarcati imbocchiamo una piccola stradina situata alla destra del pontile, la quale, articolandosi attraverso una folta vegetazione, ci conduce direttamente ad una spiaggetta poco distante. Capiamo subito che non aver portato il marsupio di Valentina è stato un grosso errore, poiché non esistono strade sull’isola, ma solo sentieri sconnessi, e quindi impercorribili con il passeggino della piccolina. Ci posizioniamo all’ombra di uno dei tanti pandani che orlano la spiaggia, la quale è costituita da grossi coralli morti. Alla nostra sinistra ci sono delle rocce, sulle quali in breve mi arrampico, godendo di un sublime paesaggio, mentre Patrizia provvede a far pranzare Valentina. Poco distante passa un grosso gruppo di turisti diretti a Nudey Beach, la spiaggia più famosa dell’isola, raggiungibile tramite un percorso di circa 20 minuti attraverso la foresta.

Le due principali compagnie di crociere di Cairns, ovvero la Great Adventures e la Sunlover Cruises, possiedono entrambe delle piattaforme attrezzate sulla parte esterna delle grande barriera, che raggiungono giornalmente, effettuando delle soste sulle due isole interne più vicine, quali appunto Green Island e Fitzroy Island, che si sono praticamente spartite. Il catamarano della Sunlover Cruises si ferma ogni giorno 45 minuti a Fitzroy, consentendo ai passeggeri diretti all’outer reef di fare una corsa verso Nudey Beach, prima di salpare nuovamente. Per questo motivo ci siamo fermati prima, godendoci in solitudine questa spiaggetta corallina lambita da calme acque trasparenti, prima di raggiungere nel pomeriggio Nudey Beach, quando inevitabilmente sarà più tranquilla. Fitzroy Island mi ha affascinato da subito, mi piace la sua tranquillità, la sua aria selvaggia, e rimpiango di non aver trovato posto per dormirci, quando ho provato ad effettuare le prenotazioni dall’Italia. All’ora di pranzo ci rechiamo al bar dell’unico resort, il quale è molto essenziale, e si vi si respira decisamente informalità. Presso il diving center leggo circa le possibili escursioni praticabili, tra cui il giro dell’isola in kayak, e veramente mi convinco che Fitzroy meriti una visita più approfondita. Lascio Patrizia e Valentina al tavolo, e mi addentro un pochino all’interno ad osservare i graziosi bungalow situati quasi sulla riva, nonché delle specie di dormitori comuni, composti da letti a castello. Nelle vicinanze partono dei percorsi di trekking che raggiungono rispettivamente la sommità dell’isola, ed il faro. 

Mi piacerebbe davvero percorrerli, ma sono abbastanza impegnativi, e noi disponiamo di poco tempo, per cui optiamo per Nudey Beach. Dopo pranzo lasciamo quindi il passeggino alla base di un albero, e ci inoltriamo lungo un sentiero in salita, al fine di raggiungerla. Tengo Valentina tra le mie braccia, cercando di fare la massima attenzione. L’interno di Fitzroy è veramente piacevole, e sono molti gli uccelli che avvistiamo lungo il percorso.In alcuni tratti del tragitto s’intravede il mare, quasi sempre coperto dalla fitta vegetazione tropicale, mentre ad un certo punto incontriamo uno spettacolare punto d’osservazione, dove sostiamo qualche minuto a contemplare lo straordinario paesaggio circostante. Riprendiamo quindi la nostra marcia, e subito dopo metto un piede in fallo, iniziando la caduta verso il terreno. Istintivamente stringo forte Valentina tra le mie braccia, cercando di cadere con la schiena, in maniera tale di riuscire a non farla urtare in terra. Per fortuna ci riesco, ed in breve mi ritrovo supino sul sentiero, ma con la mia piccola ben stretta tra le mie braccia. Ho preso decisamente una gran brutta botta, e faccio molta fatica a rialzarmi aiutato da Patrizia, la quale, spaventata a morte, ha nel frattempo preso Valentina. Dopo qualche decina di metri, ecco finalmente la visuale dall’alto della Nudey Beach, su cui scendiamo subito dopo. Si tratta decisamente da una gran bella spiaggia bianca lambita da limpidissime acque, e sui sui bordi esterni si stagliano degli enormi roccioni granitici, che ci riportato alla mente alcuni paesaggi ammirati qualche anno fa alle Seychelles. Trascorriamo l’intero pomeriggio al fresco delle tante casuarine presenti, prima di riaffrontare il percorso per raggiungere il molo, dove c’imbarchiamo nuovamente alla volta di Cairns. 

Prima di raggiungere il nostro appartamento entriamo in un gigantesco supermarket, poiché dobbiamo acquistare pannolini ed omogeneizzati per Valentina. Stentiamo a trovare qualcosa, poiché i prodotti usati dai bimbi australiani sono un tantino diversi dai nostri, e così, tra omogeneizzati di mais e patate dolci, frutta tropicale di vario genere, pasta e carne mischiati, acquistiamo qualcosa che pensiamo possa andar bene ai gusti, e soprattutto alle abitudini della nostra piccola. All’indomani di buon mattino siamo nuovamente al terminal della Great Adventures. La nostra meta odierna è il Moore Reef, uno dei punti esterni della grande barriera corallina. Abbiamo aspettato qualche giorno per effettuare questa visita, come un giocatore che sfoglia lentamente le sue carte per capire che risultato ha in mano. In fondo, la barriera corallina è stato uno dei motivi principali che ci ha indotto ad affrontare questo viaggio, e volevamo vederla quasi dopo aver assaporato lentamente il gusto di bramarla, dedicandoci prima alle altre innumerevoli e spettacolari attrattive che questo stato offre. Dopo aver sostato a Green Island, il catamarano riparte velocemente verso la meta. In alcuni punti le grandi onde lo fanno oscillare paurosamente, e sono molte le persone a bordo che iniziano a sentirsi male. Valentina per fortuna si è però comodamente addormentata nel suo passeggino. I video iniziano a trasmettere alcune suggestive immagini della barriera, nonché delle istruzioni su come praticare correttamente lo snorkeling. Stiamo avvicinandoci a questa autentica meraviglia della natura. Le cifre che la riguardano sono da brividi, e parlano di circa 2000 chilometri di lunghezza da Cape York, estrema punta settentrionale del Queensland, all’isola di Lady Elliott a sud, di una larghezza variabile di alcune decine di chilometri, di una superficie complessiva di circa 250.000 kmq, la quale è formata da vari reef a cui sono stati dati diversi nomi, tra cui appunto quello denominato Moore, dove siamo diretti. Dal 1975 il 98% della barriera è diventato parco marino nazionale, ed è stata dichiarata dell’Unesco “patrimonio mondiale dell’umanità”. Il catamarano approda sulla piattaforma, ed in breve scendiamo, posando i bagagli vicino ad uno dei tanti tavolini presenti. Resto vicino a Valentina, la quale ancora dorme, mentre Patrizia si accinge a scendere in acqua molto prima degli altri turisti, la maggior parte dei quali sono impegnati a prendere possesso dei giubbini salvagente. Fortunatamente la nostra esperienza è tale che ci permette di immergerci senza, e così, in breve, vedo mia moglie allontanarsi lentamente lungo il trasparente mare, nel quale si vedono chiaramente anche dall’alto della piattaforma su cui mi trovo, le numerose formazioni coralline presenti. L’area adibita allo snorkeling è delimitata da apposite funi, ma fortunatamente lo spazio è immenso. Brevemente Patrizia diventa un piccolo puntino scuro nel verde smeraldo del mare, mentre gli altri escursionisti iniziano lentamente ad immergersi. Parlo con un istruttore subacqueo, il quale mi consiglia di allontanarmi fino al limite settentrionale dell’area recintata, poiché avrò la possibilità di vedere molto. Aspetto quindi con ansia il ritorno di mia moglie, guardando ripetutamente l’orologio e Valentina, la quale dorme beatamente sulla grande barriera corallina australiana. Finalmente Patrizia è di ritorno, ed in breve mi tuffo in acqua, restando quasi pietrificato dalla sua bassa temperatura. Incredibile, a pochi metri di distanza dalla piattaforma vedo in profondità dei subacquei, e soprattutto degli enormi pesci napoleone che gli nuotano attorno. Inizio quindi a pinneggiare verso il largo, incontrando in breve un piccolo squalo di barriera di circa un metro, il quale fa riaffiorare in me alcuni ricordi del passato. Il reef si estende come un’enorme prateria costituita da decine di coralli e pesci multicolori, ed allontanandomi di qualche decina di metri, resto praticamente in solitudine ad effettuare snorkeling sulla grande barriera corallina australiana. Non vorrei mai uscire da questo mare, mentre una volta arrivato sul limite estremo, mi soffermo a guardare il multicolore paesaggio presente sotto di me, e quest’acqua trasparente, la quale quasi si fonde con l’azzurro intenso del cielo. L’esperienza è stata indimenticabile, per cui il giorno successivo la ripeteremo con la Sunlover Cruises, l’altra grande compagnia di Cairns, la quale dispone a sua volta di una piattaforma attrezzata ancorata sull’outer reef. Resteremo però abbastanza delusi, sia per il poco spazio a disposizione in cui effettuare snorkeling, che per il reef poco attraente, anche se gli incontri ravvicinati con grossi pesci e tartarughe marine non mancheranno di certo. La sera ceniamo in un locale di Cairns specializzato in seafood, e quasi restiamo impressionati dall’enorme piatto che ci viene servito, contenente numerosi crostacei e frutti di mare, che annaffiamo con una ghiacciata bottiglia di ottimo Penfolds Yattarna Chardonnay. Riflettiamo sul fatto che ci piacerebbe entrare in uno dei numerosi diving centre di Cairns e prenotare delle immersioni in alcuni punti poco frequentati dell’outer reef, ma non si può certo avere tutto dalla vita, per cui dobbiamo adattarci alle esigenze di Valentina, e già il fatto di trovarci qui in Australia, in compagnia del nostro piccolo angelo, significa molto per noi. Domani sarà il nostro ultimo giorno nel Queensland e già quasi avvertiamo un pizzico di malinconia. Vuotiamo la bottiglia con un ultimo brindisi a questo viaggio giunto quasi in dirittura d’arrivo, ma siamo curiosi di vedere cosa altro ci riserverà il “sunshine state” nell’Atherton Tableland.

Il giorno successivo di buon mattino siamo già nel centro di Cairns. Passiamo in rassegna un paio di autonoleggi economici, ma incontriamo delle difficoltà, poiché, non avendo effettuato alcuna prenotazione, non dispongono al momento del seggiolino per Valentina. Entriamo quindi nell’Avis in Lake Street, e noleggiamo in breve una Mitsubishi Magna, altra grande autovettura, del tutto simile all’Holden Commodore Executive, noleggiata la scorsa settimana a Port Douglas. Lasciamo rapidamente Cairns, discendendo verso sud lungo la Bruce Highway, che, nella parte iniziale, in uscita dalla città, è abbastanza trafficata, ma poi diventa progressivamente sempre meno frequentata, ed il tratto di costa che fiancheggia fino a Cardwell viene comunemente denominata Cassowary Coast. In breve non vediamo più il mare, mentre ci addentriamo in una zona prettamente agricola. Sono molte le fattorie che si avvicendano lungo la strada, così come i banchetti che vendono frutta. Sul lato sinistro costeggiamo il Bellenden Ker National Park, all’interno del quale si elevano i due monti più alti del Queensland, ovvero l’omonimo Bellenden Ker, ed il monte Bartle Frere che, con i suoi 1622 metri, detiene il primato di essere la prima vetta del “sunshine state”. Dopo aver percorso quasi 60 chilometri, incontriamo il paesino di Babinda, piccolo centro dedito alla coltivazione della canna da zucchero, molto simile anche nell’aspetto a Mosmann, visitato la scorsa settimana. Babinda rappresenta uno dei migliori esperimenti circa l’autogestione aborigena in Australia, in quanto la Deeral Aboriginal and Torres Strait Islanders Corporation, che presenta alcuni negozi nella cittadina, è un’impresa avviata che esporta anche fuori dall’Australia un’ingente quantità di articoli etnici come i classici boomerang, i didgeridoos, nonché alcune splendide pitture realizzate su corteccia. Ad ogni modo, il posto è famoso tra i locali soprattutto per le “babinda boulders”, delle grandi pozze d’acqua trasparente circondate da massi levigati dalla corrente del fiume, che raggiungiamo in una decina di minuti, dopo aver percorso circa sette chilometri attraverso immense distese di coltivazioni di canna da zucchero, intersecate frequentemente da piccole rotaie. Il luogo è molto suggestivo, ci sono diverse aree attrezzate per i picnic, ed alcuni ragazzi si bagnano tranquillamente nelle acque cristalline, nonostante negli ultimi 40 anni siano morte annegate oltre 15 persone a causa della forte corrente. Riprendiamo la nostra marcia percorrendo nuovamente la Bruce Highway, e, superata Mirriwinni, imbocchiamo sulla sinistra una stradina che in otto chilometri ci conduce al parcheggio delle Josephine Falls. Valentina si è addormentata, per cui decidiamo con Patrizia di non svegliarla, avvicendandoci nella visita delle cascate. Mi addentro quindi in solitudine attraverso un sentiero che si snoda per 800 metri attraverso una rigogliosissima foresta pluviale. Il rumore delle cascate si fa sempre più fragoroso man mano che m’inoltro attraverso la fitta vegetazione, fino a quando il sentiero non si divide in due, proprio in prossimità delle stesse. Eccolo il posto, letteralmente magnifico, costituito da queste piccole cascate, che su due livelli separati formano delle grandi piscine d’acqua naturali. Quella più in basso è eccezionalmente bella, e sono diversi gli australiani che stazionano nei paraggi, facendo il bagno in queste acque verdi smeraldo, incredibilmente trasparenti. Questo luogo mi piace davvero molto, e mi rincresce non potermi fermare, poiché vi trascorrerei volentieri una giornata piena. Mentre sto riavvicinandomi al parcheggio, lungo il sentiero incontro Patrizia con Valentina in braccio, che nel frattempo si è svegliata. Prendo la bimba, ed in breve raggiungiamo tutti e tre assieme un punto panoramico poco distante, fermandoci ad ammirare il suggestivo paesaggio che ci circonda, costituito da spettacolari piscine naturali, belle cascate, ed impenetrabile vegetazione tropicale. Lasciamo a malincuore le Josephine Falls, riprendendo nuovamente la Bruce Highway, che lasciamo poca prima di giungere a Innsfail, imboccando la Palmerston Highway.

Il paesaggio muta nuovamente, e la vegetazione tropicale lascia il posto a foreste composte prevalentemente da conifere, che s’infittiscono man mano che saliamo sul livello del mare. Ancora una volta la natura del Queensland si diverte a sorprenderci, regalandoci in brevi distanze, ambienti naturali completamente differenti tra loro. Incontriamo lungo il tragitto diverse indicazioni per le molteplici cascate del circondario, come le Cowley Falls, le Tchupala Falls, le Wallicher Falls, le Nandroya Falls, le Mungalli Falls, e capiamo ancora una volta che un giorno è totalmente insufficiente per visitare tutto quello che questa zona può offrire al visitatore. Dopo aver percorso circa 60 chilometri dall’inizio della Palmerston Highway, incontriamo il piccolo centro di Millaa Millaa, ed imbocchiamo una piccola stradina sterrata che conduce alle tre celebri cascate, per cui la zona è famosa. i fermiamo dapprima alle Millaa Millaa Falls, le più facili da visitare, in quanto sorgono praticamente a ridosso del parcheggio, dove sostiamo un po’ di più per far pranzare Valentina, ed in seguito, dopo aver attraversato alcune belle campagne alternate a spettacolari tratti di foresta, incontriamo le Zillie Falls e le Ellinja Falls, che raggiungiamo percorrendo dei piccoli sentieri sterrati all’interno della folta vegetazione.
Riprendiamo la nostra marcia lasciando Millaa Millaa in direzione di Malanda, nei pressi della quale sostiamo brevemente in una classica roadhouse, una sorta di spartano autogrill, dopodiché ci dirigiamo verso Atherton. Ci troviamo nel cuore dell’altipiano che prende il nome da quest’ultima località e che presenta un’altezza variabile dai seicento ai mille metri sul livello del mare. La temperatura è sensibilmente più fresca rispetto alla costa, e la strada che percorriamo attraversa alternativamente pascoli e foreste di conifere, intervallati di tanto in tanto da piccoli paesini costituti da colorate casette in legno. Decidiamo a malincuore di non prendere la stradina che effettua il circuito del vicino Lago Tinaroo, poiché le lancette dell’orologio scorrono inesorabilmente, ed è già tardi. Nelle vicinanze ci sono altri piccoli laghi che andrebbero visitati, ma purtroppo il tempo nel Queensland sta ormai scadendo per noi, e raggiunta la località di Mareeba, prendiamo la Kennedy Highway che, dopo alcune decine di chilometri, ed un continuo susseguirsi di cartelli di pericolo nei confronti dei canguri, ci porta direttamente a Kuranda, da cui iniziamo la nostra spettacolare discesa verso il mare, superando molteplici tornanti immersi nella boscaglia circostante, a cui si alternano sporadicamente delle spettacolari vedute della costa. Quando entriamo a Cairns è ormai buio, ed in giornata abbiamo effettuato la bellezza di 310 chilometri.

Il mattino seguente, mentre aspettiamo il taxi che ci condurrà in aeroporto, faccio un rapido salto nel vicino supermarket per acquistare qualche biscotto, che allieterà le ore di volo verso Hong Kong. All’interno, mi colpisce ancora una volta in negativo la presenza di alcuni aborigeni scalzi e malvestiti, i quali sembrano guardare la merce con stupore. Parto dall’Australia con il grande desiderio di tornarci, ma, nonostante le innumerevoli bellezze viste, lascio questo paese con l’amaro in bocca e con un sottile velo di tristezza, dovuto ad alcune infelici impressioni ricavate dal punto di vista sociale. Dopo sette ore di volo atterriamo ad Hong Kong, la quale ci accoglie con una forte pioggia. Ci fermiamo ancora una notte, proprio per non far risultare troppo faticoso il viaggio a Valentina. Il personale dell’hotel, forse considerandoci ormai clienti fedeli, ci assegna una camera con una spettacolare vista sulla baia, per la quale è generalmente dovuto un cospicuo supplemento. Anche Valentina sembra essere ammaliata dal grandioso spettacolo offerto dai grattacieli di Central colorati da mille luci, e, mentre è ormai praticamente notte, restiamo per un po’ tutti e tre immobili ad osservare la baia, stretti in un abbraccio di gioia. Domani sera c’imbarcheremo per l’Italia, ed il nostro viaggio è a questo punto terminato. Valentina non ricorderà sicuramente nulla dello stesso, ma forse un giorno leggerà questo racconto, ed allora magari rivivrà la favola di una piccola bimba, che ad otto mesi passeggiava con i suoi genitori tra le vie di Hong Kong e tra le innumerevoli meraviglie naturali del Queensland.

 

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