Ciudad de Mexico e dintorni

 


Il gigante ci appare dall'alto. Mexico City sembra sterminata, ed il suo aeroporto è situato praticamente nel centro della città. Alle 15,30 del 7 Agosto, dopo circa un anno e quattordici ore di volo, rimettiamo piede sul suolo messicano. Dopo aver cambiato qualche dollaro in pesos, acquistiamo un voucher al banco dei taxi e ci facciamo condurre all'hotel Regente, situato sulla Paris 9, una via poco distante dalla famosa "zona rosa". Incuranti del viaggio e della differenza di fuso orario, appena depositati i bagagli in camera saliamo su un taxi alla scoperta di un “nuovo mondo”. La nostra prima destinazione a Città del Messico è lo "zocalo", la seconda piazza più grande del mondo, pavimentata nel 1520 nientemeno che da Cortès il conquistatore del Messico, il quale non ebbe idea migliore che usare le pietre di uno dei principali templi aztechi. Rimanendo immobili al centro dello "zocalo", sotto il pennone dal quale sventola il tricolore messicano e con lo sguardo rivolto verso le nuvole che contornano la Catedral Metropolitana (la cui costruzione iniziò nel 1573), si percepisce il Messico e l'essenza stessa di Città del Messico, che con i suoi 24 milioni d’abitanti, è a tutt'oggi la più grande città del mondo.

Catedral Metropolitana


L'enorme piazza pullula di turisti, venditori ambulanti, lustrascarpe, danzatori vestiti da antichi aztechi. Ci confondiamo rapidamente tra la folla e ci caliamo subito nella realtà del nostro viaggio, passeggiando nelle stradine adiacenti lo "zocalo", dove oltre allo smog di questa immensa città, si respira il vero Messico. Qui, infatti, seminascoste da porte in stile saloon, ci sono decine di "cantinas", locali rigorosamente vietati alle donne, dove i veri "machos" vengono a bere tequila e cerveza.

Difatti, come avremo modo di costatare durante questo nostro secondo viaggio in Messico, il machismo, nonostante le normali apparenze, è tutt'oggi abbastanza radicato nella mentalità dei chilangos. Interminabili file di maggiolini verdi rapiscono rapidamente la nostra attenzione, e capiamo che prendere un taxi a quest'ora nei dintorni dello "zocalo" è perlomeno deleterio. Passiamo davanti a diversi locali da cui fuoriescono nuvole di fumo, ed il forte ma invitante odore di fritto, tipico dei tacos. Siamo stanchi ed affamati, per cui, con disinvoltura e senza troppo riflettere sul da farsi entriamo in uno dei tanti locali che si susseguono lungo la strada. L'ambiente è pessimo, il fumo ci annebbia la vista irritando gli occhi, le urla dei molti avventori sembrano disumane. Ci sediamo ad uno dei pochi tavoli, destando subito l'attenzione delle numerose persone adagiate sul bancone, le quali iniziano a blaterare qualcosa, ed a ridere a squarciagola. Ci rendiamo conto di aver sbagliato locale, ma andarcene ora, dopo esserci appena seduti mi sembra troppo da codardo, per cui chiedo a Patrizia se se la sente di restare. Ovviamente decidiamo di bere rapidamente qualcosa e di andarcene quanto prima, mentre ci sentiamo ormai al centro dell'attenzione e capiamo di essere derisi. L'anziano cantinero ci porta le due tequile accompagnandole con un consistente piatto di stuzzichini fritti dall'aspetto decisamente grasso, ma con voce decisa mi fissa negli occhi dicendomi che faremmo meglio ad andarcene, poiché non è il posto adatto per portarci una signora. Preoccupati, ingurgitiamo tutto d'un fiato il liquore non prendendo nemmeno in considerazione il piatto nonostante la fame, ma quando stiamo per alzarci subito torna al tavolo il cantinero con altri due bicchierini, "gentilmente offerti". Rivolgo lo sguardo verso il bancone, dal quale mi salutano ridendo un gruppetto di persone di mezz'età, visibilmente ubriache. Nel frattempo giungono un paio di suonatori che iniziano ad intonare una specie di litania, rivolgendosi in particolar modo a Patrizia. Capisco che la situazione ci sta sfuggendo di mano e noto la preoccupazione di mia moglie, nonché il suo disagio dovuto al fatto di sentirsi decine di occhi puntati addosso. Lasciamo le tequile dove sono, suscitando l'ira di qualche avventore che m'insulta senza ritegno, ed imbocchiamo decisi l'uscita tra le grasse risate di scherno. Respiriamo con sollievo l'aria carica di smog, dopodichè continuiamo la nostra passeggiata fino a giungere sulla Via Cinco de Mayo, dove al civico 10 c'è una cantina semituristica aperta da tempo anche alle donne e decidiamo di fermarci lì per la cena, dopo aver appurato la presenza di altri elementi femminili. Il Bar la Opera è un'istituzione messicana. Si narra che lo stesso Pancho Villa vi sia entrato a cavallo, ed abbia ordinato da bere sparando in aria. Il foro sul soffitto, tra l'altro mai coperto, costituirebbe la prova di questo singolare episodio. In ogni caso il locale è decisamente grazioso, ed è frequentato sia dai messicani che prediligono il bar, che dai turisti che si accomodano ai tavoli per mangiare qualcosa. Appoggiato al bancone del bar, in posizione da macho d'altri tempi, ed ormai praticamente brillo, una sorta di padrino messicano continua a brindare alla nostra salute ogni volta che lo guardiamo. Consumiamo in allegria l'ottima e piccantissima cena a base di spezzatino e tortillas, ed ormai esausti raggiungiamo l'hotel Regente, dove possiamo far calare il sipario sul nostro primo giorno messicano.

Il mattino seguente ci svegliamo di buon'ora e raggiungiamo il bosco di Chapultepec, il polmone verde di Città del Messico. In quest'enorme parco di circa 850 ettari, il cui nome in lingua nàhuatl significa "la collina delle cavallette", troviamo solo poche persone intente a far ginnastica o jogging. L'aria qui è meno rarefatta dallo smog, ed è decisamente più frizzante. Solo ora avvertiamo il fresco dovuto all'altitudine dei 2220 metri di Mexico City. In circa dieci minuti di passeggio raggiungiamo la perla culturale della città, ovvero il museo nazionale di antropologia. Quest'enorme museo, presenta al piano inferiore diverse sale dedicate alle varie civiltà precolombiane, mentre il piano superiore è dedicato agli usi e costumi degli attuali abitanti del Messico, suddivisi per stati. Trascorriamo praticamente l'intera mattinata ed il primo pomeriggio nel museo, persi tra la storia di grandi civiltà del passato. La nostra fantasia viene letteralmente rapita dalle magnificenze a cui assistiamo, ed iniziamo a fantasticare tra le riproduzioni del tempio di Quetzalcoatl di Tehotihuàcan, un grosso "atlante" proveniente da Tula nella sala tolteca, la riproduzione a grandezza naturale della tomba del re maya Pakal, nonché la sua maschera di giada, e molti altri oggetti esposti nelle varie sale. Ma quella che ci rapisce il cuore è sicuramente la sala "mexica", ovvero quella dedicata agli aztechi. Subito si viene colpiti dal plastico riproducente Tenochtitlàn l'antica capitale eretta sulle isole del lago Texcoco. Questo popolo nomade, proveniente da un luogo denominato Aztlàn, giunse fin qui spinto dalle profezie di Huitzilopochtli, la loro divinità solare. La leggenda narra che su uno dei tanti isolotti del lago Texcoco, videro un'aquila appollaiata su un cactus intenta a divorare un serpente (raffigurazione attualmente riportata sulla bandiera messicana), il che, lo considerarono come l'evento che annunciava il luogo dove fondare la loro nuova patria, costruendo appunto Mexico Tenochtitlàn, in onore del condottiero Mexitli e del sacerdote Tenoch. Per qualche decina di anni i mexica restarono al servizio di altre popolazioni locali, ma in seguito, grazie anche a prolifiche alleanze, si ribellarono, divenendo il popolo più potente del circondario, ed estendendo di fatto i loro domini lungo la maggior parte dei territori del Messico centrale. Grazie alla loro indole guerriera costituirono un vero e proprio impero, mantenuto in vita tramite l'esazione di tributi da parte delle numerose popolazioni locali. Si pensa che all'arrivo degli spagnoli Tenochtitlàn avesse circa quattrocentomila abitanti, cifra impensabile per ogni città europea dell'epoca. Il centro cerimoniale annoverava ben 78 edifici, e vi erano inoltre numerosi campi per il gioco della pelota, nonché giardini galleggianti lungo i canali bonificati, strade che collegavano la città ad isole vicine, numerose scuole per la nobiltà e le classi meno agiate. Insomma, Tenochtitlàn dovette apparire come un vero e proprio spettacolo ai circa quattrocento uomini che l'8 novembre 1519 entrarono a cavallo. I mexica potevano annientare facilmente gli spagnoli, ma l'attuale imperatore Montezuma II fu in preda a bizzarri sogni premonitori che annunciavano il ritorno dal mare del dio Quetzalcoatl sotto le sembianze di uomo robusto, dall'aspetto grave, di pelle bianca e barbuto, ovvero il ritratto di Hernan Cortés. Sul resto non intendo soffermarmi, poiché dello splendore di Tenochtitlàn rimane attualmente solo qualche misera rovina, e questo plastico, davanti al quale ci siamo soffermati a sognare, immaginando come poteva essere questa parte di mondo prima dell'arrivo degli spagnoli e domandandoci ancora una volta se la scoperta dell'America fu realmente una scoperta, o si trattò in realtà di una conquista. Dopo avver ammirato in tutta la sua maestosità il calendario azteco in pietra dalla forma circolare del diametro di tre metri e sessanta, il cui peso raggiunge circa ventiquattro tonnellate, nonché un modello del maestoso copricapo in piume verdi indossato dagli imperatori aztechi, ci rituffiamo nell'adiacente bosco per raggiungere il Castillo di Chapultepec, la fortezza oggi adibita a museo di Storia Nazionale. Ma qualcosa è cambiato. Il parco semideserto del mattino, si è trasformato in un assembramento di bancarelle, strilloni, saltimbanchi, scolaresche e riusciamo a stento a farci spazio tra la folla. Quando però l'occhio cade sulle bancarelle che vendono tacos, refrescos e frutta sbucciata cosparsa di chili in polvere, capiamo l'autenticità del posto, ed anche la ripida salita che porta al Castillo di Chapultepec, diventa una dolce passeggiata. Visitato l'interessante palazzo, prendiamo un taxi per ritornare allo "zocalo". Desidero però aprire a questo punto una parentesi sui taxi di Città del Messico. La maggior parte sono costituiti da Maggiolini Volkswagen di colore verde, nei quali è stato tolto il sedile anteriore destro. Sono presenti in ogni angolo della città, si fermano ad un semplice cenno e sono economicissimi. Basti pensare che per attraversare da un capo all'altro una megalopoli come Mexico City, abbiamo speso non più dell'equivalente in pesos di circa settemilalire. Si dice però, che molti conducenti siano in realtà degli abusivi che espongono illegali licenze fotocopiate, e che, in alcuni casi, si siano rivelati anche pericolosi per l'incolumità dei turisti. Non sappiamo con certezza se si siano verificati tali episodi, ma durante la nostra permanenza in città ci siamo sempre serviti di questi mezzi, usandoli a qualsiasi ora del giorno e della notte, ed abbiamo anche intrapreso delle interessanti conversazioni con gli stessi taxisti. Intorno alle 16,30 siamo di nuovo sullo "zocalo", dove visitiamo il Templo Mayor situato a destra della facciata principale della cattedrale.

Rinvenute accidentalmente nel 1978 dagli operai dell'azienda elettrica, queste costituiscono le ultime fatiscenti rovine azteche sulla piazza principale di Città del Messico, dove sembra venissero sacrificati i prigionieri delle tribù rivali, almeno diecimila l'anno. Praticamente attaccato al Templo Mayor e al suo adiacente museo, si trova il Palacio Nacional che ospita gli uffici del presidente del Messico, il Tesoro Federale, gli archivi nazionali. Qui, dopo aver consegnato il passaporto a dei militari, veniamo muniti di un "pass", che ci consente di accedere a determinate stanze. Al piano superiore ammiriamo i notevoli murales di Diego Rivera. Ci colpisce in particolare quello immenso, che espone la storia del Messico dall'arrivo di Quetzalcòatl il dio serpente piumato, fino alla rivoluzione del 1910. Quest' oggi siamo letteralmente entusiasti di ciò che stiamo vedendo in questa capitale. Il murale in questione merita più che una frettolosa visita, va assaporato con calma, e così ci perdiamo attraverso le sue colorate scene, godendo delle immagini che ritraggono Tenochtitlàn, per poi spaziare successivamente con lo sguardo su un uomo che al mercato dell'antica capitale vende un braccio umano, per poi focalizzare i conquistadores, e successivamente il ritratto dell'ipocrisia dei preti spagnoli, della rivoluzione messicana, di Carlo Marx, ritratto tra scene di classe. Usciti dal palazzo nazionale, ci dirigiamo a piedi allo splendido Palazzo delle Belle Arti, fatto edificare dal dittatore Porfirio Diaz nel 1904 con marmi di Carrara e statue stile liberty.
Palazzo delle belle arti  
Anche qui troviamo dei bei murales, in particolare quelli di Orozco, ed approfittiamo anche per prelevare del contante ad un bancomat abilitato al sistema "Cirrus - Maestro". Poco distante troviamo la torre Latinoamericana, l'edificio più alto della città, dal quale si ha una magnifica visuale della sterminata megalopoli centroamericana e delle sue strade, letteralmente paralizzate dal traffico. In seguito ci sediamo fino al tramonto a riposare in tutta tranquillità su una panchina della famosa Alameda Central, parco pubblico ricco di giardini, alberi, statue, panchine in ghisa, e dove spicca il monumento a Benito Juàrez, il primo indio (zapoteco) a divenire presidente del Messico. Qui, Città del Messico assume dimensioni più contenute, direi a misura d'uomo. E' ormai quasi buio, e trovo decisamente accattivante confondersi tra le coppiette di innamorati che popolano la piazza del famoso murale di Diego Rivera "Sogno della domenica pomeriggio al Parco dell'Alameda".
  Torre Latinoamericana

La sveglia del mattino seguente è addirittura proibitiva. Facciamo colazione poco prima delle 6 e ci rechiamo in taxi al terminal nord degli autobus. Destinazione Teotihucàn. Il nostro autobus si ferma di tanto in tanto per far scendere dei pendolari e così il tragitto risulterà un pò più lungo del previsto (circa 1 ora e trenta minuti). La zona a nord di Città del Messico rivela quello che nessuna guida è in grado di descrivere. Ciò che scorgiamo dai finestrini, è un enorme baraccopoli di lamiere e cartone che si protrae per chilometri e chilometri. Una città nella città. E' il regno dei diseredati, di tutti i messicani che credono di trovar fortuna nella capitale, dei clandestini guatemaltechi ed honduregni, dei dimenticati. Uno spettacolo che lascia l'amaro in bocca. Arriviamo a Teotihuacàn che non sono ancora le otto e siamo quindi i primi ad entrare. Lo spettacolo offerto dalla maestosità delle piramidi del sole e della luna, appare come qualcosa di irreale. Iniziamo in solitudine, guida alla mano, la nostra visita, con la temperatura piuttosto bassa, direi anzi che fa decisamente freddo. Dopo una buona mezz’ora, cominciano ad arrivare le comitive di turisti dei viaggi organizzati e l'incantesimo è rotto. Il sito è splendido, ed immenso, occupa circa tredici chilometri quadrati. Percorrere lentamente il lungo viale dei morti in direzione della piramide della luna è un'esperienza indimenticabile. Veniamo distratti di tanto in tanto da dei venditori ambulanti, che ci offrono a cifre irrisorie splendidi oggetti in ossidiana o pseudo tale. Complice il pungente freddo del mattino, la scalata della terza piramide del mondo per dimensioni, ovvero la piramide del Sole non risulterà come una semplice passeggiata. Però, una volta scalati i suoi 248 scalini, godiamo della totale vista della città offerta dalla sua sommità, una visuale decisamente incomparabile. Questa piramide è eccezionale, presenta una base quasi pari a quella della piramide di Cheope in Egitto, e ci meraviglia ancora come sia stato possibile costruirla senza disporre di attrezzi in ferro e, soprattutto, senza conoscere la ruota. Durante la discesa, ci accorgiamo che la nostra videocamera s’è rotta. Un vero peccato, poiché siamo appena all'inizio del nostro viaggio. Sotto la piramide della luna veniamo sorpresi da una forte pioggia, che ci terrà bloccati per un'oretta circa.

Piramide del Sole di Tehotihuàcan

Visuale della Piramide della Luna dalla cima della Piramide del Sole

Visitiamo quindi altri interessanti costruzioni quali il “Palazzo della farfalla Quetzal”, il “Patio dei Giaguari” dove ammiriamo alcune tracce di dipinti, il “Tempio delle conchiglie piumate”, ma, soprattutto, la “Cittadella”, la quale raggiunge la lunghezza di quattrocento metri e conserva al suo interno lo spettacolare “Tempio di Quetzalcoatl" (nelle tre foto seguenti),

che ammiriamo per diverso tempo, comodamente seduti dinnanzi alla sua straordinaria facciata, sulla cui scalinata composta da quattro gradoni sono rappresentate diverse enormi teste del dio serpente piumato poste su dei pannelli verticali, alternate a figure rappresentati probabilmente Tlàloc, il dio della pioggia.

Un vero e proprio spettacolo, arricchito dal fatto che ieri al museo nazionale di antropologia avevamo ammirato una riproduzione del suddetto tempio, però riportata con quelli che erano i colori originali.

Intorno alle ore 15, dopo aver completato il nostro giro, riprendiamo l'autobus per Città del Messico. Nel De.Fe dedichiamo invanamente un po’ di tempo alla ricerca di un centro d’assistenza dove riparare la nostra videocamera. Quando eravamo ormai convinti di aver perduto ogni speranza, un gentilissimo taxista c’informa dell'esistenza di una particolare via: quella degli elettricisti e dei riparatori radio-tv. Vale la pena provare, ma a causa del pazzesco traffico di Città del Messico, dove alle 17 è praticamente tutto paralizzato, pensiamo sia impossibile arrivarci in macchina e prendiamo quindi la metropolitana. Però, che sorpresa! La metropolitana è pulitissima, ed efficientissima. Nove linee che conducono praticamente in ogni punto della città. Arrivati in poco tempo a destinazione, iniziamo a gironzolare tra i vari negozi, fin quando non leggiamo un cartello scritto a penna, che potrebbe fare al caso nostro. C’incamminiamo quindi in un oscuro corridoio, sino ad arrivare in una minuscola bottega, dove conosciamo un giovane che, dopo aver visionato la telecamera, afferma di poter compiere "il miracolo" in un giorno. Fiduciosi, gliel'affidiamo, sperando di non dovercene pentire. Poiché è ancora giorno, ed abbiamo ancora qualche energia da spendere, ci spostiamo in taxi fino a Tlatelolco, dove si trova la Piazza delle Tre Culture. Questa particolare piazza, è così chiamata poiché raccoglie le testimonianze di tre culture e di tre periodi distinti della storia messicana: le rovine azteche di Tlatelolco, città inizialmente rivale e successivamente annessa a Tenochtitlàn , nella quale aveva sede il più grande mercato del Messico, la chiesa in stile coloniale spagnolo di Santiago del 1609, ed il moderno edificio degli Affari Esteri, progettato dall’architetto italiano Mario Pani. Questa piazza è comunque tristemente famosa ai chilangos per altri motivi, in quanto nel 1968 la guardia nazionale attaccò una manifestazione studentesca alla vigilia delle olimpiadi provocando oltre 200 morti, ed anche perché il terribile terremoto del 1985 distrusse una serie di case nelle vicinanze, provocando la morte di centinaia di persone. Dopo aver visitato la piazza in completa solitudine, riprendiamo la metropolitana fino alla fermata "La Villa", dove nelle immediate vicinanze, si trova quello che forse rappresenta il principale luogo di culto dell'intera America: la Basilica della Vergine di Guadalupe. La leggenda narra che nel 1531 un povero indio chiamato Juan Diego, ebbe la visione della Madonna, ma non fu inizialmente creduto dal prete del luogo, al quale riferì l'accaduto. Juan ritornò quindi successivamente nello stesso punto e vide nuovamente la Vergine Maria, la cui immagine rimase miracolosamente impressa sul suo mantello. Due anni dopo fu eretta la prima Basilica, dedicata alla Vergine con il volto da india. Con il trascorrere degli anni, ci si è accorti che la stessa Basilica, edificata sul fragile terreno paludoso di Città del Messico, non riusciva più a reggere il peso delle migliaia di pellegrini provenienti da ogni parte del Messico e da tutto il sudamerica, ed è stata quindi sostituita con una basilica più moderna, progettata dall'architetto già autore del museo nazionale di antropologia. Oggi la nuova Basilica, adiacente quella del 1531, ospita ogni anno centinaia di migliaia di visitatori che in processione, percorrono addirittura diversi chilometri in ginocchio. E' stata recentemente visitata dal Papa e la folla può comodamente farsi trasportare da un tapis roulant, al fine di giungere ordinatamente sotto l'immagine della Madonna. Inoltre, come in ogni meta di pellegrinaggio, le bancarelle che si trovano ai margini della piazza, vendono numerose reliquie religiose, ed immagini della Madonna con il volto però da..... bianca. Alla fine di questa interminabile giornata, decidiamo che ci siamo meritati una bella cena e ci rechiamo quindi in Bahìa de las Palmas 39, Col. Anzures, dove si trova il locale che consiglio vivamente a tutti coloro che si recano a Città del Messico: La Fonda del Recuerdo. In questo piacevole ristorante, la cui specialità è il pesce fresco proveniente da Veracruz nel golfo del Messico, capiamo che il "machismo" è praticamente insito nella mentalità dei messicani. Infatti, dopo aver ordinato due piccantissime sopas de mariscos y pescado, le stesse ci vengono servite in porzioni esageratamente differenti. La mia zuppa, visibilmente più abbondante, si presenta decisamente più ricca di pesce, gamberi, aragoste, ed altri frutti di mare, rispetto a quella striminzita che hanno servito a Patrizia. In ogni caso, coinvolti dall'allegria delle orchestrine di mariachis, che si esibiscono nel locale, ci ridiamo su, ed ordiniamo due gigantesche "parillade" (grigliate) di pesce e crostacei. Dopo aver pagato un conto "esagerato" ammontante a circa quarantamilalire, ci rechiamo in taxi in Plaza Garibaldi, dove la sera si riuniscono numerose bande di mariachis. Questo è un luogo dove la gente del posto viene a festeggiare un qualsiasi lieto evento, assoldando questi musicisti ben vestiti nei loro coreografici costumi. A dire il vero, è anche un luogo malfamato, dove specialmente la sera, occorre prestare particolare attenzione ai borseggiatori. Memori della precedente esperienza “cantiniera”, entriamo in uno dei tanti locali intorno alla piazza chiamato "Tenampa", dove dovrebbero (secondo le nostre informazioni) essere abituati agli stranieri, ed ordiniamo due tequile che ci vengono servite accompagnate da due bicchierini contenenti una specie di succo di pomodoro. Assistiamo entusiasti ad un'allegra e numerosa comitiva di soli uomini in giacca e cravatta, i quali, forse festeggiando l'esito positivo di un buon affare, accompagnano in coro a squarciagola, le canzoni di due pittoreschi mariachis.

Stamattina, intorno alle otto siamo già nelle vicinanze del terminal sud degli autobus. Attraversiamo con curiosità un mercato alimentare dove i pendolari fanno colazione, e nel quale ci colpiscono delle enormi e succulente bistecche, che stanno arrostendosi su una sorta d’improvvisato barbecue. La nostra destinazione odierna è Taxco la città dell'argento, nello stato del Guerrero, che raggiungiamo in circa tre ore. La fortuna di questa splendida cittadina arroccata su una collina inizia nel 1534, quando gli spagnoli in cerca di stagno, vi aprirono la prima miniera del centroamerica. Al posto dello stagno, trovarono però enormi quantità d'argento, che venne sfruttato a fasi alterne, quasi sino agli inizi del nostro secolo. Nel 1922, una volta praticamente esaurito il filone, quando la cittadina si trovava ormai in decadenza, un professore americano ebbe la geniale idea di aprire un piccolo laboratorio per la lavorazione dell'argento. Fu la fortuna di Taxco, poiché il piccolo laboratorio si trasformò ben presto in una fabbrica, e gli apprendisti aprirono con il trascorrere del tempo, le loro botteghe private. Oggi Taxco, con oltre 300 negozi che vendono oggetti in argento finemente lavorati, rappresenta una sorta di mecca per i turisti in vena di shopping, provenienti per lo più dalla vicina Acapulco, con delle escursioni organizzate.
Iglesia di Santa Prisca, Taxco - Guerrero  

Comunque, quando una volta scesi dall'autobus, iniziamo a percorrere la salita che ci condurrà alla piazza principale, ci rendiamo subito conto che Taxco, negozi a parte, è decisamente splendida. Il cielo di un azzurro intenso, contrasta con le coloratissime case e le tipiche insegne dipinte a forti tinte sui muri. Attraversiamo un tipico mercato "da cartolina", dove le donne provenienti dalle vicine campagne e vestite nei loro tipici costumi, vendono tra le altre cose, dei frutti a noi praticamente sconosciuti.

Passeggiare tranquillamente tra le strette viuzze di Taxco, dopo qualche giorno trascorso nel caos di Città del Messico, è un toccasana per lo spirito e l'organismo. Arrivati alla piazza, denominata Plaza Borda, visitiamo la splendida Iglesia de Santa Prisca in stile churrigueresco, ed iniziamo anche noi a girovagare e contrattare, tra gli innumerevoli negozi d'argento. Sostiamo per il pranzo nel ristorante La Hacienda, dove assaggiamo l'ottima specialità della casa chiamata "cecina hacienda", composta di riso, carne, salsicce, fagioli, guacamole, ed ovviamente tortillas. Nel pomeriggio, con diversi oggetti d'argento in più, ed ovviamente molti soldi in meno, riprendiamo l'autobus per Città del Messico.

Stazione degli autobus di Taxco - Guerrero

Appena arrivati al terminal, telefoniamo subito al nostro tecnico, per sapere se ha riparato la telecamera. Siamo fortunati e lo raggiungiamo subito in metropolitana. E' ormai buio, quando stanchi rientriamo in albergo.

Oggi è domenica e noi di buon mattino siamo al “Mercato de la Lagunilla”, chiamato anche mercato dei ladri. Anche questo, come la vicina Piazza Garibaldi è uno dei luoghi del De.Fe ad essersi meritato la fama di posto pericoloso, considerato il susseguirsi di scippi e rapine. Ci addentriamo in questo mercato che subito si rivela caotico oltre misura, e dove notiamo la scarsa affluenza turistica, anzi, non c’è proprio alcun turista. I banchi che lo compongono sono tantissimi, dovrebbero essere circa 1.500 secondo le informazioni in nostro possesso e qui, tra urla, spintoni, odori più o meno nauseabondi, troviamo veramente in vendita di tutto. Sono molti i banchi che espongono libri antichi, ma troviamo anche esposte maschere in legno, giocattoli, oggetti d’antiquariato, vasellame vario, e molto altro ancora. Presto ci stanchiamo però e saliamo ancora una volta a bordo dell’ennesimo maggiolone, il quale imbocca il Paseo de la Reforma, il lungo viale voluto da Massimiliano d’Asburgo per conferire un tono europeo alla capitale messicana. In alcuni tratti questa immensa strada lunga circa quindici chilometri è decisamente bella, essendo arricchita nei punti centrali di alcune rotatorie da statue di eroi, tra cui spiccano i monumenti a Cristoforo Colombo e Cuauhtèmoc l’ultimo imperatore azteco, ed essendo quasi sempre fiancheggiata da alberi.

Nei vari semafori ai quali ci fermiamo l’intrattenimento è assicurato, poiché si avvicendano venditori di giornali a saltimbanchi, ragazzini vestiti da pagliacci,  venditori di maschere dell’ex presidente Salinas, uno dei peggiori nella travagliata storia messicana. In breve raggiungiamo di nuovo al terminal Sur, dove prendiamo uno dei numerosi autobus che in poco più di un'ora ci ferma a Cuernavaca, nello stato del Morelos, patria di Emiliano Zapata. La città, che purtroppo troviamo ovviamente con i negozi chiusi, è molto graziosa e pulitissima. Un vero gioiello.

Cuernavaca, Morelos

Nel Jardin Juàrez, il piccolo parco con un belvedere disegnato nientemeno che da Gustavo Eiffel, l'orchestra ricorda a tutti che oggi è giorno di festa. Troviamo molte famigliole raggruppate intorno alla banda, e vicino ai tanti venditori ambulanti che servono cibi e bevande, giocattoli, palloncini colorati. Essendo domenica, come consuetudine in Messico, è gratuita l'entrata nei musei e nei siti archeologici e quindi non paghiamo l'ingresso nella costruzione che spicca sullo "zocalo": il Palacio de Cortès. Questa imponente fortezza, fu costruita sulle fondamenta di una piramide che Cortès rase al suolo. In alcuni punti, è infatti ancora possibile osservare alcune parti della vecchia costruzione. Cortès risedette qui come marchese della Valle de Oaxaca e negli anni che seguirono, la fortezza venne usata sia come prigione, che come palazzo governativo. Oggi ospita il Museo de Cuauhnàhuac, che espone alcuni reperti relativi alla storia e alla cultura messicana, nonché un bellissimo murale di Diego Rivera, al piano superiore. All'interno della stessa notiamo diversi bambini che, accompagnati dai genitori, ammirano con interesse e curiosità gli oggetti appartenuti ai loro avi.

Visitiamo in seguito la bellissima Catedral de la Asunciòn, costruita anche questa da Cortès sulle macerie della città degli indios Tlahuica, ed in seguito, dopo aver acquistato delle eccellenti paste che allieteranno la nostra fame, ci sediamo al fresco del Jardin Borda. Questo era il giardino della casa che fu tra l'altro, anche residenza estiva dell'imperatore Massimiliano e dell'imperatrice Carlotta. Oggi è un bellissimo parco ornato con vasche, fontane, ed un laghetto nel quale nuotano, splendidi esemplari di anatre e dove coppiette di innamorati fanno romantiche gite in barche a remi. Nel primo pomeriggio, con un pizzico di rammarico per non averla visitata in un normale giorno della settimana, lasciamo Cuernavaca, città che tanto ci è piaciuta. Tornati a Città del Messico nel primo pomeriggio, prendiamo dal terminal sud un autobus fino a Xochimilco, un intreccio di stretti canali paludosi, che danno un'idea di come doveva essere Tenochtitlàn, l'antica capitale azteca. Qui è possibile noleggiare una "trajinera", tipica e coloratissima imbarcazione dal fondo piatto, per fare un giro nei canali.

In questo che dovrebbe essere un posto molto turistico, troviamo uno spaccato autentico di vita quotidiana degli abitanti della capitale messicana. Infatti oggi, con nostra autentica sorpresa, non ci sono turisti. Noi siamo gli unici, ma Xochimilco, il cui nome in lingua nahuatl significa "posto in cui crescono i fiori", è lo stesso affollata. Noleggiamo per pochi pesos una trajinera, per fare un giro di tre ore nei canali. Una volta sull'acqua, notiamo che le altre numerose imbarcazioni che incrociamo, od affianchiamo negli stretti canali, trasportano intere famiglie, nella maggior parte dei casi numerose, che si divertono, scherzano, cantano, ed hanno imbandito delle tavolate piene di cibo e bevande. Capiamo che la domenica Xochimilco diventa il luogo d'incontro delle famiglie di Città del Messico, le quali, al posto di riunirsi magari in casa di qualcuno, vengono qui a noleggiare una trajinera, ed a trascorrere tutti insieme il pomeriggio, in questa sorta di salotto galleggiante. A rendere l'atmosfera più allegra, ci sono anche delle trajineras con a bordo gli immancabili mariachis, i quali, dietro lauto compenso, son pronti a suonare melodie per chiunque le richieda. Per chi invece non ha provveduto a portarsi da bere o da mangiare, ci sono delle imbarcazioni che fungono da cucine ambulanti. Anche noi acquistiamo delle birre Corona da una barca di passaggio e ne offriamo una anche al ragazzo che, con grande fatica, sposta la nostra trajinera, poggiando una lunga pertica sul fondo basso e melmoso del canale.

Non mancano inoltre durante il percorso i venditori ambulanti che, a mò di pirati all'arrembaggio, sono sempre pronti a saltare sulle trajineras da qualche imbarcazione di passaggio, pur di vendere qualcosa. Trascorriamo un gradevole ed allegro pomeriggio, nel quale abbiamo avuto la possibilità di stare a stretto contatto con le famiglie del luogo. Tornati al terminal sud degli autobus, prendiamo la metropolitana e rientriamo per una rinfrescata in albergo. La sera vorremmo cenare di nuovo alla “Fonda del Recuerdo”, ma una volta giunti sul posto, troviamo il ristorante chiuso. Tentiamo allora con paio di altri locali nei pressi dello "zocalo", ma si verifica la stessa cosa. E' tutto chiuso. Sembra che trovare un ristorante aperto di domenica sera a Città del Messico, sia un'impresa impossibile. A questo punto, chiediamo al conducente del taxi, tra l'altro molto disponibile, di consigliarci qualche posto per la cena. Dopo qualche giro, ci conduce in una specie di trattoria fuori mano, la cui specialità dovrebbe essere il pesce fresco. In questo ristorante situato in un quartiere anonimo della capitale, consumiamo un'ottima cena a base di tipici piatti messicani, tra cui squisiti tacos ripieni di gamberetti, eccellenti tostadas, sublimi tortillas, che facciamo seguire da un gustoso huachinango alla veracruziana, ovvero una sorta di spigola condita con una piccantissima salsa a base di pomodori e cipolle.

Ennesima sveglia all'alba. Dopo aver fatto una buona colazione nell'ottimo hotel Regente, ci rechiamo ancora una volta al terminal nord degli autobus. Oggi la nostra destinazione è Tula, la culla della civiltà tolteca nello stato dell'Hidalgo, che raggiungiamo in un'ora e trenta minuti. Le rovine distano almeno tre chilometri dalla stazione degli autobus e c’incamminiamo quindi lentamente su una strada polverosa e spoglia, che sa tanto di Messico, quel Messico delle pubblicità, dove i bambini giocano malvestiti nella polvere, dove gli uomini indossano grossi cappelli, e dove da lontano giungono gli echi di una canzone sudamericana. All'entrata del sito, c'è un piccolo ma interessante museo, che contiene diversi oggetti rinvenuti nelle rovine. Varcata la soglia d'ingresso si percorre un lungo viale in aperta campagna che conduce alle rovine, dove stazionano alcuni banchetti coperti da cellofan. Questa città raggiunse il massimo splendore tra il 900 ed il 1200 d.C., quando l’impero tolteco si estese fino a Veracruz nel golfo del Messico. Ai toltechi viene attribuito da molti studiosi il primato di aver utilizzato il pilastro nell’architettura mesoamericana, conferendo in questo modo ai loro templi un aspetto più vasto e luminoso.
Malgrado le rovine di Tula siano in realtà piuttosto fatiscenti, sembra che questo popolo eresse palazzi e templi di un’incantevole maestosità, ma i toltechi vanno soprattutto ricordati per essere un popolo guerriero, dedito tra l’altro a culti sanguinari, ed anche qui vale la pena menzionare l’introduzione del Chac Mool, la divinità rappresentata da una statua in posizione distesa che tiene tra le mani una ciotola destinata a raccogliere i cuori pulsanti appena strappati dalle vittime sacrificate . Tula fu probabilmente abbandonata all’inizio del XIII secolo d.C. e venne quindi distrutta dai Chichimechi, un popolo nomade proveniente dal nord. Ci incamminiamo lungo il viale contornato da alcuni splendidi esemplari di cactus, ed il primo edificio che incontriamo è il campo per il gioco della palla, dietro il quale è possibile intravedere la principale attrazione di Tula, ovvero la piramide B, meglio nota come tempio di Quetzalcoatl, sulla cui sommità vegliano inesorabili i quattro guerrieri chiamati “Atlanti” alti 4 metri e mezzo. Sono grandiosi questi guerrieri, da molti studiosi indicati come raffigurazione del dio Quetzalcoatl nella sua rappresentazione di “stella del mattino”.
Non possiamo non scattare qualche classica foto in loro compagnia, immortalare la nostra umile presenza affianco a questi colossi che impugnano nella mano destra uno scudo ed una lancia (atlatl), e delle frecce in quella sinistra. E’ un luogo mistico Tula. Trovarsi di primo mattino in cima alla piramide B, in sola compagnia dei minacciosi Atlanti, è un’esperienza indimenticabile. Restiamo attoniti diverso tempo a contemplare il particolare territorio circostante, costituito da bassa vegetazione e varie specie di cactus, fino a quando non compaiono i primi turisti. Sono quattro connazionali che stanno facendo un tour con un’auto presa a noleggio e con i quali scambiamo volentieri quattro chiacchiere. La cena della sera precedente ha lasciato il segno, ed a farne le spese è Patrizia, colta da una violenta colica intestinale, che le comporterà una lunga corsa sino ai bagni situati all’ingresso delle rovine. Facciamo anche la conoscenza di un maestro elementare con alunni al seguito, che ci ripeteranno “ciao” all’infinito, e con i quali ci scatteremo una simpatica foto ricordo di Tula, la culla della civiltà Tolteca.


Al nostro ritorno da Tula scendiamo prima di raggiungere il terminal “norte”, poiché restiamo paralizzati in mezzo al traffico pazzesco di Città del Messico. Siamo però fortunati , in quanto nei dintorni c’è la fermata della metropolitana e ne approfittiamo. Sarà perché siamo nell’orario di chiusura degli uffici, ma quest’oggi è un vero caos, la metropolitana è colma fino all’inverosimile. Iniziamo il nostro viaggio nelle viscere del De.Fe, letteralmente stipati come sardine. Come da sane abitudini, viaggio da sempre in metropolitana con una mano nella tasca anteriore dei pantaloni, dove generalmente custodisco il portafogli, e, soprattutto in questo caso, si è dimostrato più che sensato farlo. Poco prima di una fermata vengo strattonato da dietro e, come per incanto, mi ritrovo mano nella mano con una giovane ragazza che, forse sbadatamente, aveva fatto finire le sue dita nella mia tasca. Attimi interminabili, in cui mi trovo con il polso della ragazza fermo nella mia mano, intensi istanti in cui ci guardiamo fissi negli occhi, fino a quando la metropolitana apre le porte, libero la sua mano e lei si dilegua con indifferenza tra la folla. Il mattino successivo molto presto abbiamo preso nuovamente la metropolitana, scendendo alla fermata di Coyoacàn e da qui, con una breve corsa in minibus abbiamo raggiunto la Plaza Central di questo quartiere, situato poco meno di una decina di chilometri a sud del centro. In una megalopoli come Città del Messico i chilometri sono relativi, considerata la sua estensione, ma qui sembra di stare in una piccola oasi, lontano dai mille rumori della città. Sono molti i personaggi più o meno famosi che hanno abitato in questo quartiere, a partire proprio da Hernàn Cortes, fino a celebrità più contemporanee come Leon Trotsky e Frida Kahlo. Ci lasciamo andare passeggiando tranquillamente tra le vie, senza un itinerario prefissato, ma movendoci liberi, assaporando con calma la dolce atmosfera che vi si respira, ed osservando attentamente le bellissime costruzioni, molte delle quali sono in puro stile coloniale messicano.

La parrocchia di San Giovanni Battista, costruita nel 1582, presenta una splendida facciata, ed il suo portale è decorato con uno spettacolare arco barocco. Coyoacàn significa “Piazza del Coyote” e si ritiene sia stata fondata nel X secolo d.C. proprio dai toltechi e colonizzata in seguito dagli aztechi. Continuando a camminare sulle stradine del quartiere giungiamo al Museo Frida Kahlo, la pittrice moglie di Diego Rivera, dove ci colpiscono particolarmente alcuni autoritratti, delle bellissime ceramiche precolombiane, degli enormi scheletri di cartapesta. Mette un poco tristezza questa casa museo, ma mai quanto l’altra che visitiamo poco dopo, ovvero il museo Leon Trotsky. Sembra una fortezza con tanto di garitte, porte blindate, mura immense. L’entrata è veramente bassa, tanto che debbo chinarmi per accedervi. Qui il leader sovietico giunse nel 1937 per sfuggire a Stalin, e qui venne ucciso da Ramon Mercader, il sicario ingaggiato dal dittatore sovietico. La stanza dove fu ucciso Trotsky rappresenta uno dei pezzi forti del museo, in quanto è stato lasciato tutto com’era il giorno della sua morte, compresi alcuni libri e riviste disseminati sopra lo scrittorio. Torniamo indietro fino alla Plaza Hidalgo, ed accediamo a “La Guadalupana”, una cantina consigliataci a più riprese da numerose persone. L’ambiente, allietato dai soliti mariachis è eccellente, così come la minestra di gamberetti ed i totopos con frijoles, che annaffiamo con una spumeggiante Corona Extra. Nel pomeriggio torniamo a Mexico City e dedichiamo quest’ultima mezza giornata alla visita della “zona rosa”, il quartiere più turistico ed elegante della capitale. Qui, in stile prettamente americano si alternano grandi alberghi ad esclusivi negozi, ma inevitabilmente abbondano anche le molteplici contraddizioni peculiarmente messicane. Così, fuori a lussuosi magazzini osserviamo stazionare bambini lustrascarpe e mentre alcune persone del posto elegantemente vestite, si accingono ad entrare in uno dei locali più raffinati della città, al semaforo della medesima strada, tra auto di grossa cilindrata in attesa, un bambino vestito di miseri stracci urla e si dimena disperato, cercando un qualcosa che, probabilmente come tanti suoi connazionali, non troverà mai. Chissà dov’è la tua mamma povero piccolo, e chissà dov’è la mamma di tanti tuoi coetanei, figli di questo continente straziato dalle ingiustizie. La sera ceniamo in un locale denominato Parri, situato in Hamburgo 154, una delle tante vie della zona rosa che hanno dedicato il proprio nome ad una città europea. Parri deriva da parrilla, ed infatti, la specialità di questa specie di fast food alla messicana, consiste appunto nel pollo, ed altri vari tipi di carni cucinate alla griglia. Dopo cena ci rechiamo esausti all’hotel Regente, dove facciamo calare il sipario sulla capitale centroamericana. Città del Messico, in quanto megalopoli, è spesso criticata e non lascia nei visitatori un piacevole ricordo. Sovente le cronache riportano anche episodi legati a turisti che, sfortunatamente per loro, sono stati derubati, o rimasti vittime d’altre spiacevoli situazioni. Personalmente, dovendola domani lasciare, non nascondo che avverto un pizzico di malinconia, poiché qui ho avuto la sensazione di trovarmi a mio agio e di aver vissuto questi giorni molto intensamente, di aver amato questa grande metropoli, la sua gente, le sue mille attrattive.

Nel mio profondo custodirò per sempre un’indimenticabile reminiscenza della città più popolata del mondo.

Grazie per sempre Mexico City.

 


Alcuni links

http://www.mexicocity.com.mx/mexcity.html

http://www.allaboutmexicocity.com/

http://www.go2mexicocity.com/

http://mexicocitymx.ags.myareaguide.com/

http://sunsite.unam.mx/antropol/

http://www.metropla.net/am/mexi/mexico.htm

http://www.cnnitalia.it/VIAGGI/guida.cittadelmessico/index.html

 

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