Malaysia 2008: il racconto di viaggio

 

Undici anni fa, in preda all’entusiasmo ce l’eravamo riproposti: “in futuro torneremo sicuramente in Malaysia". Di certo però, non immaginavamo che un giorno a darci questo impulso sarebbe stata nostra figlia, desiderosa di vedere gli oranghi ed altri primati in libertà, nonché di partire per una meta esotica ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. Sì, penso prometta bene in tal senso.

Così, con qualche capello in meno, una donnina in più, e circa diciassette ore di volo complessive, torno con il giusto entusiasmo a rimetter piede da queste parti, atterrando stavolta a Kota Kinabalu, centro amministrativo del Sabah, nel Borneo malese. Ovviamente, non sempre tutte le ciambelle  riescono col buco, e nel nostro caso una di queste è rappresentata dai bagagli, che purtroppo non arrivano. “No problem, saranno qui con il prossimo volo proveniente da Kuala Lumpur, tra circa tre ore, e ve li recapiteremo direttamente in hotel”, ci assicura un funzionario aeroportuale. Manterrà la promessa, malgrado il nostro scetticismo.

Kota Kinabalu è una città decisamente poco attraente, ma troviamo comunque piacevole passeggiare sul lungomare in prossimità del centro, intrufolandoci nel mercato filippino in allestimento, che offrirà come vedremo il meglio di se dopo l’imbrunire, nonché nell’adiacente mercato centrale, nel quale decine di donne sul cui capo spiccano variopinti Tudong, vendono svariati generi alimentari, e dove i mille colori che lo caratterizzano si intrecciano con i molti odori più o meno piacevoli, quali quelli dolciastri derivanti dai molti frutti esposti, alcuni dei

quali davvero sconosciuti, o quelli più pungenti provenienti dalle lunghe fila di pesce essiccato. Una delle cose che più amiamo in assoluto in viaggio è quella di intrufolarci nei mercati, nei supermercati e nei centri commerciali, al fine di vedere come vive la gente comune, cosa acquista, come trascorre il proprio tempo nella quotidianità. Sono anche gli stessi posti in cui i turisti sono sovente poco numerosi, specie qui, a Kota Kinabalu. Un luogo che attira la nostra attenzione è ubicato in prossimità di un cavalcavia, dove la gente affolla alcuni tavolini di plastica consumando convivialmente i durian, che acquistano presso un adiacente furgone. L’antitesi delle nostre gelaterie. Qui il re dei frutti, come lo chiamano da queste parti, malgrado l’odore ripugnante che lo ha fatto bandire nelle metropolitane e negli hotel di Kuala Lumpur e Singapore, recita la parte del protagonista assoluto. La sera, per la serie anche il palato vuole la sua parte, sperimentiamo il Port View Seafood Village, grandioso ristorante che propone pesce e frutti di mare freschissimi, pescati direttamente dalle vasche, e cucinati a proprio piacimento. Ammiriamo le aragoste ed i granchi più grandi che abbiamo mai visto, dalle proporzioni davvero immense, e tra le varie pietanze assaggiate, vale sicuramente la pena menzionare delle succulente vongole dal guscio bianchissimo, saltate in padella con ginger e cipolla, i mastodontici tiger prawns serviti in salsa di soia, ed un prelibato granchio cotto in una gustosa salsa agrodolce. Il conto risulterà però abbastanza caro, specie se rapportato ai costi per noi irrisori del vicino mercato filippino, dove concludiamo la serata, e nel quale è tutto un tripudio di banchetti che cuociono cibo. I numerosi wok lavorano a pieno ritmo, diffondendo nell’aria buonissimi odori, ed anche qui è presente una nutrita schiera di bancarelle che vendono moltissimi tipi di pesci e crostacei, cucinandoli direttamente agli acquirenti, così come altri banchetti offrono invece carne ed ali di pollo, uno dei piatti in assoluto più ricercati e presenti sostanzialmente nella maggior parte dei tavoli degli avventori.

L’indomani ci rechiamo in visita al parco nazionale marino denominato Tunku Abdul Rahman, composto da cinque isolette poco al largo della città. Malgrado quelle più isolate e probabilmente più consone ai nostri gusti risultano essere Sulug e Mamutik, decidiamo di trascorrere la maggior parte del nostro tempo presso Sapi, di cui abbiamo letto un gran bene e dove difatti troviamo a conferma un bel mare, ma anche un

deciso affollamento di turisti asiatici, rumorosi e confusionari come non mai, i quali, con i loro giubbotti salvagente incorporati, colorano di arancione le turchesi acque che lambiscono la spiaggia principale dell’isola. Tuttavia, la mattinata trascorre comunque piacevolmente, e nel primo pomeriggio ci rechiamo a Manukan, unica isola del parco in cui è possibile soggiornare, dove ci colpiscono molto alcune ragazze che vanno a fare immersioni con l’onnipresente foulard sotto le maschere, ed il classico vestitino lungo fino alle caviglie coperte dalla muta subacquea.


Dopo aver impiegato appena quaranta minuti di volo, atterriamo di primo mattino a Sandakan, da cui ci spostiamo in breve a Sepilok, una delle cinque riserve (un’altra è presente sempre in Malaysia nel Sarawak, due sono invece ubicate nel Kalimantan, la parte del Borneo appartenente all’Indonesia, ed un’altra ancora a Sumatra) asiatiche per la riabilitazione alla vita selvaggia degli oranghi rimasti orfani o feriti. Un interessante documentario illustra lo scopo del centro, e la fragile esistenza di questi primati, i quali sono spesso rimasti vittime dei bracconieri e del selvaggio disboscamento a cui è sono state sottoposte le foreste del Sabah, con la conseguente perdita del proprio habitat naturale. I piccoli oranghi rimasti orfani vengono condotti al centro, curati ed abituati progressivamente a tornare nella foresta dalla quale, quasi ogni giorno, si ripresentano al centro per ricevere cibo, specie quando, a seconda della stagione, la frutta scarseggia nella giungla. La pappatoria degli oranghi nei due orari quotidiani, alle ore 10 ed alle ore 15, rappresenta quindi il momento topico della visita al centro, sebbene i numerosi turisti armati di fotocamere conferiscono al posto una parvenza da zoo, anche se, una volta consumata la propria razione di banane, gli orang utan, letteralmente “uomini della giungla” in Bahasa Melayu, scompaiono rapidamente di nuovo nella foresta tropicale, lasciando il posto alle decine di macachi accorsi a loro volta per accaparrarsi qualcosa.

Ci allontaniamo dal centro per dirigerci alla volta di Sukau, attraversando piantagioni di palme da olio che svaniscono a perdita d’occhio. Il denaro sopra ogni cosa. Il denaro e la follia umana hanno fatto sì che questo ambiente sia stato completamente snaturato in virtù del commercio del legname e dell’olio di palma. La parte inferiore del più lungo fiume del Sabah, il Kinabatangan, la cui sorgente è ubicata a circa 560 chilometri di distanza, è stata dichiarata solo pochi anni fa zona protetta, potendo annoverare un’intatta pianura alluvionale risalente ad oltre 100 milioni di anni, la quale costituisce l’habitat naturale di decine e decine di specie animali. Una sorta di integro corridoio naturale in mezzo alla deturpazione causata dalla sconsideratezza umana, questo è in sintesi il luogo dove ci stiamo dirigendo, che raggiungiamo in circa due ore. Arriviamo quindi il barca al Bukit Melapi Lodge, luogo prescelto per trascorrere le prossime due notti, il quale sorge completamente immerso nella fitta foresta pluviale. Ci rallegriamo per il bel bungalow assegnatoci, pulito, spazioso, ed ubicato in posizione favorevole, con una bella vista sul sottostante e limaccioso fiume. L’attività principale è qui costituita dalle uscite in barca, che consentono ai visitatori di ammirare la straordinaria fauna che popola questo incantevole posto, ed il punto migliore ove poterlo fare è senza ombra di dubbio lungo il Menanggul River, stretto affluente del grande Sungai Kinabatangan. Macachi, buceri, enormi varani, serpenti, svariati uccelli, ma soprattutto le nasiche, grosse scimmie endemiche del Borneo, caratterizzate da un buffo naso pendulo, pronunciato

soprattutto nei maschi. Difficile vederle al di fuori di queste foreste, in quanto faticano a sopravvivere in cattività. Mi auguro davvero che il Kinabatangan possa preservarsi ancora a lungo come abbiamo modo di ammirarlo quest’oggi, poiché è davvero un posto straordinario. La prima notte stento a chiudere occhio, in quanto il tetto del nostro cottage sembra attirare tutte le scimmie del circondario, le quali si divertono a saltellarvi sopra ininterrottamente. Ironia della sorte, poi, a testimonianza dei corsi e ricorsi storici, esattamente come undici anni fa al Taman Negara, un cinghiale si aggira furtivamente tra i bungalow, facendo un rumore terribile. Ovviamente, dopo una notte trascorsa così, può esserci qualcosa di più salutare che un giro in barca con partenza alle sei del mattino? Via quindi in direzione dell’Ox-Bow Lake, per vedere il sole alzarsi sopra queste impenetrabili foreste. Al ritorno facciamo un trekking nella giungla circostante il lodge, non riuscendo però a vedere alcun animale, fatta eccezione per gli immancabili macachi. Scorgiamo lungo il sentiero numerosi escrementi di elefante, che a quanto ci dicono non vengono avvistati lungo le sponde del fiume da diverso tempo, ma che testimoniamo comunque la propria presenza all’interno della foresta. L’ultima uscita in barca del pomeriggio deve assolutamente regalarci qualcosa che ci è mancato nelle precedenti, e lo dico scherzando anche alla guida: “non torneremo al lodge senza averne avvistato uno”. Una volta imboccato il Menanggul River, però, senza bisogno di farsi attendere troppo, eccolo lì, in cima ad un albero, pronto a rubare la scena a tutti gli altri animali. Un grosso esemplare di orango si mostra in tutto il proprio splendore, compiendo per i sottostanti spettatori ammirati lenti movimenti, mentre si sposta di ramo in ramo. Questo pomeriggio sembra stregato, in quanto vedremo una moltitudine di animali, comprese numerose colonie di splendide nasiche, e questo conferma la saggia decisione di pernottare qui un paio di notti, poiché ogni uscita in barca può risultare diversa dalla precedente. Torniamo al lodge poco prima dell’imbrunire, nel momento in cui, lungo le sponde, alcune donne che abitano nelle rade capanne limitrofe si stanno lavando e facendo il bucato nelle brune e fangose acque del fiume. Decidiamo di uscire anche in notturna, quando il barcaiolo fermerà la barca ogni qualvolta il suo occhio attento scorgerà variopinti uccelli difficilmente avvistabili di giorno, ma soprattutto piccoli coccodrilli e serpenti vari. Poi, un dolore lancinante fa echeggiare un urlo nel silenzio, il mio urlo, dopo che il polso mi è stato trafitto dal pungiglione di una gigantesca ape, di cui ancor oggi porto il segno. Imbocchiamo in seguito un minuscolo affluente, e qui, una volta addentratosi all’interno, il barcaiolo spenge il motore, facendo scivolare la barca nell’oscurità in cui il silenzio è rotto unicamente dai mille versi provenienti dalla fittissima ed impenetrabile giungla circostante. La nebbia, salendo lentamente, conferisce all’ambiente una sinistra aria da girone dantesco, nella quale ci si aspetta solo che, da un momento all’altro, possa accadere qualcosa di clamoroso. All’improvviso, infatti, una completa assenza di rumori, irreale, quasi intimidatoria e… dididi, dididi, dididi, diiiiiiiiiiiiiiiii !!!  Squilla il cellulare del barcaiolo. 


Altra alzataccia all’alba, stavolta per raggiungere in tempo il molo di Sandakan, al fine di salpare alle nove e mezza in punto alla volta di Selingaan, isola appartenente al parco nazionale marino denominato “Pulau Penyu”, ma più comunemente appellato in inglese come “Turtle Islands”, comprendente oltre alla stessa Selingan anche Bakungan Kecil e Gulisan. Tre classici atolli corallini da cartolina, disseminati all’interno di uno sparuto numero di isolotti appartenenti alle Filippine, sparsi nel mare di Sulu.

Il governo del Sabah si è prefissato lo scopo di proteggere le due specie di tartarughe marine che vengono stagionalmente qui a deporre le proprie uova, ed a tal fine, onde arginare il pericolo d’estinzione delle tartarughe verdi ed embricate, causato prevalentemente dalla raccolta delle uova successivamente vendute nei mercati locali, nonché dall’indiscriminata pesca con la dinamite perpetrata negli anni dai pescatori locali, ha istituito il parco a salvaguardia delle tre isole e delle limitrofe barriere coralline, garantendo alle tartarughe il proprio habitat naturale protetto in cui deporre le uova, le quali vengono successivamente raccolte e posizionate dai rangers al sicuro per la schiusa in apposite incubatrici recintate. L’unica isola in cui è possibile pernottare per una sola notte al fine di vedere le grandi tartarughe marine deporre le uova, è per l’appunto Selingan, ed il tutto è gestito dalla Crystal Quest, agenzia che concede allotment ai vari tour operator ed agenzie del Sabah. Semplice no? Beh, apparentemente sì, ma in realtà trovare posto per pernottare sull’isola è come fare un terno al lotto, e, ad esempio, l’agenzia di Kota Kinabalu con cui abbiamo prenotato il tour sul Kinabatangan non aveva più posti, così come altri tour operator malesi abbastanza conosciuti. Ho pertanto scritto direttamente alla Crystal Quest, la quale mi ha indirizzato presso alcune agenzie di Sandakan. Solo due delle stesse avevano posto, ed a costi assai diversi tra loro. In questa bailamme, ho alla fine ovviamente optato per quella che mi ha offerto il miglior prezzo, anche se non ha preteso soldi in anticipo, né tantomeno i dati della carta di credito a garanzia della prenotazione, e questo, ovviamente qualche perplessità me l’ha destata. Così, quando arrivando al molo non trovo nessuno ad attenderci, mi attacco velocemente al telefono, ma, appena dopo un paio di squilli ecco comparire un tizio che sembra uscire direttamente da un film di Bruce Lee, il quale controlla le nostre prenotazioni e ci chiede i soldi. Sarà la nostra guida, che in sostanza non vedremo mai sull’isola, ad eccezione però del momento più cruciale, quello dell’incontro con le tartarughe. Salpiamo velocemente a bordo di un piccolo motoscafo, allontanandoci progressivamente da Sandakan e dalle sue schiere di palafitte sull’acqua in stridente contrasto con l’enorme moschea ubicata in prossimità del mare. Un’ora di navigazione circa per approdare a Selingan, dove grondando sudore mi sobbarco il peso dei bagagli trasportandoli per un lungo tratto sulla sabbia.

Prendiamo possesso dello spartano bungalow assegnatoci, dopodiché ci rechiamo in spiaggia, la quale è lambita da un bel mare cristallino. All’orizzonte si stagliano altre isole, la maggior parte di cui appartengono come già scritto alle Filippine. Il pomeriggio scivola in tranquillo relax, tra bagni di mare e di sole, poi la monotonia è rotta da un ranger, il quale libera sulla sabbia alcune tartarughine appena nate nella vicina nursery, che si precipitano rapidamente in mare, ma quello che ci emozionerà di più avverrà dopo una mezz’ora circa, quando si ripeterà la medesima scena, però al naturale. Da un buco nella sabbia emergono all’improvviso come d’incanto decine di piccoli esemplari, i quali guadagnano rapidamente il bagnasciuga tra le nostre grida di stupore. Si trattava probabilmente di un nido sfuggito al controllo dei ranger dell’isola. Valentina è al settimo cielo, ma certi episodi emozionano anche noi. La cena è di quelle da dimenticare. Appena un paio pesci, delle stesse dimensioni di quelli che di solito io e Patrizia mangiamo in due, distribuiti tra una ventina di persone, ed oltretutto conditi con il ketchup. Poi, ovviamente l’immancabile riso bianco, che almeno ha il pregio di sfamarci. Dopo cena, tutti fuori dalla caffetteria divisi in due distinti gruppi ad aspettare con ansia la chiamata del ranger, dopodichè ci rechiamo in spiaggia per concretizzare il momento atteso, e debbo effettivamente ammettere che è stato davvero entusiasmante vedere quell’enorme green turtle deporre ben centotredici uova. Poco oltre, altre tartarughe stanno uscendo dall’acqua, riusciamo chiaramente a vederle mentre si trascinano sulla sabbia, ma per ovvii motivi non ci è consentito stazionare in spiaggia, dalla quale dobbiamo anzi velocemente allontanarci. Il mattino seguente, lungo alcuni tratti dell’isola, sulla sabbia si noteranno chiaramente le loro tracce.

Questi animali percorrono migliaia di chilometri per depositare le proprie uova, oltretutto tornando quasi sempre nello stesso luogo che le ha viste nascere anni prima, sembrerebbe per merito di alcuni piccoli elementi di magnetite contenuti nel loro cervello, che gli consentono di creare inconsapevolmente una sorta di mappa oceanica grazie proprio ad un distinto orientamento magnetico, o perlomeno, questo è quanto è stato riferito a noi blasfemi in materia nel briefing informativo del centro di Selingan, sulla base di recenti teorie scientifiche. 


Kuala Lumpur, che raggiungiamo da Sandakan con un comodo volo diretto della compagnia Air Asia, è assai diversa da come la ricordavamo.

Le Petronas Towers, allora in costruzione, sono oggi un’attrattiva turistica, nonché il simbolo stesso della città, e tutti quei cantieri allestiti in centro all’epoca della nostra visita, di fatto non esistono quasi più. Ci appare oggi come una città gradevole, ed è un peccato non concederle qualche giorno in più. Piove a dirotto, così facciamo un giro all’interno di alcuni centri commerciali del Golden Triangle, prima di dirigerci al Suria, l’elegante shopping center ubicato proprio sotto alle due torri gemelle. Costatiamo quanto sia maggiormente diffuso tra le ragazze malesi l’uso del Tudong rispetto ad undici anni fa, e ci meravigliamo delle tante donne che indossano il burqa, probabilmente però in virtù di un crescente flusso turistico dall’amico mondo arabo. Abbiamo letto di una forte ondata di fondamentalismo islamico capeggiata dagli esponenti degli stati conservatori del nordest, e di quante proposte mirino a far regredire il ruolo della donna tra i palazzi del governo. Non a caso, Marina Mahathir, figlia di Mohamed Mahathir, primo ministro dal 1981 al 2003, si è scagliata un paio d’anni or sono contro i cambiamenti del diritto islamico malese, che permettono la poligamia ed il controllo ai mariti di parte dei beni della mogli, paragonando la condizione delle donni malesi a quelle dei neri sudafricani durante l’apartheid. In difesa dei diritti delle donne islamiche e contro l’interpretazione tutta al maschile del Corano, sono sorti alcuni movimenti, tra i quali spicca sicuramente quello delle “Sorelle nell’Islam” http://sistersinislam.org.my/

Spero davvero che la Malaysia possa ancora professare a lungo l’Islam in maniera moderata e progressista, anche se certi segnali non confortano in tal senso. Dall’affollatissimo Suria, con una breve corsa sulla Light Rail Transit, un’efficiente metropolitana leggera, raggiungiamo in seguito la fermata Pasar Seni, da cui ci rechiamo per qualche acquisto al Central Market. Ha smesso fortunatamente di piovere, pertanto, con una breve passeggiata arriviamo sulla Jalan Petaling, cuore pulsante della chinatown, chiusa al traffico durante le serate, al fine di trasformarsi in un enorme mercato, localmente chiamato Pasar Malam, in cui la merce che va per la maggiore è quella contraffatta, di ogni genere. Ceniamo presso un ristorantino alla buona ubicato sulla stretta Jalan Hang Lekir, uno dei tanti spogli locali che la sera mettono i propri tavoli sul marciapiede, dall’aspetto decisamente poco igienico. Poi, rinverdendo i fasti del passato, e dopo aver quindi consumato un gustoso e variopinto ice kacang di rito, ovvero una montagna di ghiaccio ricoperta da diversi sciroppi colorati, latte condensato, fagioli rossi, e caramelle gelatinose varie, attraversiamo tutto il tratto pedonale, facendoci largo tra finti Rolex, magliette Lacoste, e paccottiglia varia, uscendo infine dalla folla, fino a dirigerci alla stazione Maharajalela della monorotaia con la quale, in appena due fermate torniamo nella zona del Triangolo d’Oro, dov’è ubicato il nostro hotel.   


Memorie di viaggio per la serie “c’era una volta un’isola” e l’importanza d’immortalare nel tempo le proprie esperienze, perché un giorno, rileggendole, saranno inevitabilmente ricordate dagli autori con nostalgia e sentimentalismo, soprattutto quando, ancora una volta, si costaterà la follia umana quale principale artefice dei cambiamenti ambientali.

Ma andiamo con ordine, perché dall’aeroporto secondario di Subang abbiamo preso di buon mattino un volo che ci sta conducendo a Redang, isola un tempo raggiungibile esclusivamente in barca, ed in cui lasciammo parte del nostro cuore. Atterriamo circa cinquanta minuti dopo, notando sin dal molo delle sostanziali differenze con quanto vissuto ed annotato all’epoca, ed a tal fine, per chi ha tempo e voglia, consiglierei per meglio comprendere il mio concetto, di leggere le poche righe relative all’esperienza maturata undici anni fa http://www.bnx.it/redang1997.htm .

Ovviamente il villaggio tradizionale su palafitte dei pescatori locali non esiste più, ma questo già lo sapevamo, sebbene vedere con i propri occhi quello spazio vuoto nel mare sortisce in noi un malinconico effetto negativo. Alloggiamo presso il Coral Redang, una delle poche strutture già presenti all’epoca sulla Pasir Panjang, bella e lunga spiaggia in cui sono ubicati diversi bungalow, più numerosi di certo rispetto al passato, ma integrati perlomeno nello splendido contesto costituito da sabbia bianca e palme da cocco. Il Coral garantisce ancora una certa tranquillità, essendo posizionato nella parte finale della Pasir Panjang, ma l’incantesimo sta per terminare, poiché proprio affianco stanno edificando una nuova appariscente struttura, che ovviamente convoglierà a breve numerosi turisti pronti a riversarsi sul tratto più tranquillo e bello della medesima spiaggia. Pochi ristorantini e qualche negozietto di souvenir rappresentano la novità assoluta rispetto ad un’isola in cui un tempo non c’era davvero nulla, ma il peggio in assoluto lo vediamo nell’altro lato della lunga spiaggia, una volta doppiato il piccolo promontorio roccioso sul mare, che sembra dividerla naturalmente. Sarà perché è sabato, giorno in cui gli abitanti di Singapore e Kuala Lumpur affluiscono in massa per trascorrere qui il week-end, ma lo spettacolo costituito da improvvisati campi di calcetto e beach volley, oltre a decine di bagnanti, musica sparata a tutto volume e, dulcis in fundo una mastodontica struttura alberghiera alla fine della spiaggia quale il Laguna Redang, ci fa letteralmente rabbrividire.  Dov’è finita la nostra isola? Solo il mare, cristallino nel senso lato del termine, caldo, e dagli spettacolari riflessi azzurro-verdognoli è rimasto invariato, sebbene i coralli hanno purtroppo perso gran parte del proprio splendore. Il mare però rimane fantastico, e bastano poche pinnate dalla Pasir Panjang, costeggiando il sopraccitato promontorio roccioso, per trovarsi quotidianamente a tu per tu con qualche squalo pinna nera, anche di discrete dimensioni.

 Pulau Lima, la nostra isoletta deserta è oggi meta di escursioni mirate allo snorkeling e diving, ma quei coralli blu e la grande varietà di pesci che ammirammo anni fa, sono purtroppo inesistenti. Nella vicina Pulau Baku apprezziamo invece alcuni coralli in discrete condizioni, ma l’affluenza di barconi vomitanti turisti asiatici il cui hobby preferito sembra quello di camminarvi sopra, ci inducono, ancora una volta, a riflettere sulle effettive possibilità di sopravvivenza degli stessi, nonché dell’intero circostante ambiente. Conosciamo alcune ragazze di Singapore, con le quali il discorso scivola (chissà mai perché) sui numerosi food court presenti nella loro città,  e prendiamo nota di alcuni interessanti suggerimenti ad uso e consumo futuro. Effettuo vari tentativi mirati a noleggiare una barca per visitare le altre spiagge dell’isola, e qui, come non mai, si avverte la mancanza delle economiche ed onnipresenti long tail boats thailandesi. I prezzi sono generalmente abbastanza alti, ed i barcaioli locali tendono un pochino ad approfittare della situazione. In uno dei pochi ristorantini alla buona frequentato prevalentemente dai locali conosco John e Koby, due simpatici ragazzi a cui pongo con successo l’ennesima domanda. Ci accordiamo ad un prezzo favorevole per compiere un giro dell’isola, toccando i punti da noi scelti, più altri da loro suggeriti. Trascorreremo in loro compagnia cinque fantastiche ore, in cui Redang, forse al fine di farci capire che nonostante tutto sa offrirci ancora oggi antiche emozioni, darà il meglio di se. Snorkeliamo prima presso Pulau Lima ed Ekor Tebu, poi ci dirigiamo spediti verso “la spiaggia” dei nostri ricordi. Troviamo deserta come un tempo, e sempre ugualmente scenografica la Teluk Dalam Besar, orlata da palme e lambita da un mare incredibilmente bello e trasparente.

Trascorriamo qui intensi attimi stregati, mentre a qualche centinaia di metri di distanza, osservando dalla barca la Teluk Dalam Kecil, restiamo in seguito invece attoniti dalla sconvolgente visuale di alcune grosse costruzioni in cemento appartenenti al Berjaya, dove soggiornammo nel precedente viaggio. Come si può compiere questo scempio in un simile paradiso? La spietata regola del profitto ad ogni costo non conosce evidentemente ostacoli. I ragazzi si tuffano con noi nelle verdi acque di Turtle Bay, desiderosi di farci da guida per avvistare le tartarughe, le quali evidentemente decidono di scioperare quest’oggi, così John e Koby, dispiaciuti per non avercele potute mostrare, dopo la visita di rito a Pulau Pinang, sede del parco marino, si fermano in un punto ubicato tra la stessa ed il jetty in cui attraccano i battelli provenienti della terraferma, spengendo il motore della barca. Trascorrono appena un paio di minuti, poi, come d’incanto, ecco alcune tartarughe affiorare del pelo dell’acqua liscia come l’olio. Ne contiamo diverse, ed è uno spettacolo emozionante vederle dapprima emergere e riuscire successivamente a seguirle con lo sguardo per molti metri mentre si inabissano, grazie all’elevata visibilità riscontrabile in questo punto. Ci rechiamo in seguito sulla Mak Simpang, altra spiaggia isolata e bagnata da un mare altamente spettacolare, dove trascorriamo diverso tempo in completa solitudine. La barca ancorata, una fitta giungla alle spalle, un’acqua incredibilmente trasparente, poi solo noi tre e qualche varano che occasionalmente esce dalla vegetazione retrostante. Pura magia. Certi momenti difficilmente si dimenticano.  

Talvolta un po’ di sana pubblicità non guasta, pertanto, a tutti coloro che si recheranno in futuro a Redang e volessero noleggiare una barca privata al fine di girare autonomamente l’isola, al di fuori dei classici tour standardizzati, consiglio di cuore di contattare John al 019-9269140 o Koby allo 017-6930547.

Nonostante tutto, abbiamo trascorso ottimamente alcuni giorni qui, ma Redang, l’isola che conoscevamo, non esiste più. Quel silenzio assordante, protagonista assoluto al calar del sole, ha lasciato il passo al karaoke tanto caro ai turisti asiatici. Il villaggio tradizionale su palafitte esiste ormai solo nelle nostre memorie ed in una foto scattata all’epoca mentre i suoi abitanti sono passati da anni alla più redditizia attività turistica, abbandonando la pesca.

Rimane ancora un posto in cui trovare un bellissimo mare, ed allontanandosi dalle due spiagge popolate è in grado come riportato in questi scritti di far ancora emozionare il visitatore, ma continuando così, non so per quanto tempo ancora riuscirà a mantenere questo equilibrio già sostanzialmente compromesso.


In appena quarantacinque minuti di motoscafo raggiungiamo il molo del Perhentian Island Resort. La scenografica baia in cui sorge è davvero incantevole, sicuramente la più bella spiaggia delle due Perhentian, nella quale riscontriamo ancora una volta un mare di cristallo.

E’ impossibile non riconoscere appena sbarcati l’imponente sagoma di Vanes, intento a crogiolarsi spensieratamente al sole ascoltando musica. Dall’Alta Badia alla Malaysia, così, per il secondo anno consecutivo, incontriamo in vacanza lui e Marina, con cui trascorreremo i prossimi due giorni. A differenza di Redang, reperire qui un taxi boat è un gioco da ragazzi, anche perché, spesso e volentieri sono direttamente loro a chiamarti. Ne approfittiamo quindi subito, recandoci con una breve corsa nella vicina Turtle Beach, dove ci dedichiamo immediatamente allo snorkeling. Nulla di eclatante a mio avviso dal punto di vista dei coralli, mentre in compenso avvistiamo diverse specie di pesci tropicali, tra cui menziono per gli onori della cronaca un bel pesce balestra dalle discrete dimensioni a cui Vanes, io, e Patrizia, rompiamo in ordine cronologico le scatole per la disperazione della sconsolata Marina. Ceniamo nel vicino Coral View, che raggiungiamo tramite una comoda passerella di legno. Malgrado la bontà dei red snapper, non possiamo fare a meno di constatare la scarsa cura del servizio offerto (ovvero, dopo che ti hanno imbandito la tavola, se vuoi le posate farai prima ad alzarti e prendertele da solo, altrimenti passeranno probabilmente ore), ma la serata scivola ugualmente in allegria attorno al tavolo, perché in fondo prediligiamo tutti noi questi posti molto informali e le Perhentian rappresentano pienamente il classico luogo dove infilarsi un paio d’infradito per la durata dell’intera vacanza. L’indomani, tramite barca opportunamente sondata e contrattata da Vanes nei giorni precedenti, ci rechiamo in escursione giornaliera a Pulau Langh Tengah, classica isoletta tropicale da cartolina ubicata grosso modo a metà strada tra Redang e Perhentian. Ad accompagnarci con il suo motoscafo a due motori è Wan, personaggio interessante e gran conoscitore dei posti limitrofi, la cui assomiglianza con Malcolm X è a tratti imbarazzante. Purtroppo, la nota negativa sarà dettata dal cielo velato, che non ci consentirà di ammirare i posti visitati nel loro massimo splendore. Qualche squalo, i soliti onnipresenti pescetti colorati, una grossa cernia, ed alcune stelle marine appagheranno sommariamente il nostro desiderio di snorkeling effettuato in un paio di spot, mentre restiamo colpiti dalle poche spiagge sostanzialmente deserte. Passeggiamo su quella del Redang Lang Resort, nel quale gli unici ospiti sono una coppia di italiani appena arrivati e letteralmente terrorizzati poiché, appena effettuato il check-in, alla recption è stato loro caldamente consigliato di togliere caramelle e qualsiasi altro tipo di cibo dalle proprie borse, al fine di non attirare i topi nella stanza.

Ci fermiamo a pranzo presso il D’Coconut Lagoon, struttura visibilmente di miglior livello tra le quattro attualmente presenti sull’isola, sebbene la sua spiaggia sia di dimensioni alquanto ridotte.

Avevo scartato l’ipotesi di dormire qualche giorno a Langh Tengah per il fatto che le strutture contattate mi avevano tutte proposto dei pacchetti completi, tanto che l’idea che mi ero fatto, complici anche alcune foto visionate in internet, era quella di un posto molto inflazionato da turisti asiatici, i quali sembrano generalmente prediligere questi tipi di offerte. Tuttavia, quest’oggi l’isola ci è apparsa completamente deserta, dandoci la sensazione di costituire il luogo perfetto per chi desideri estraniarsi dal mondo, soggiornando in un piccolo paradiso tropicale.

Sempre ovviamente, topi a parte... J

Tornati al Perhentian Island Resort, ed indossate nuovamente le maschere, trascorriamo un po’ di tempo osservando le tartarughe marine che stazionano stabilmente nelle acque prospicienti la spiaggia, le quali sono facilmente avvistabili quasi con certezza dopo appena qualche colpo di pinna, tanto da rappresentare un’escursione tipo, proposta dalle altre sistemazioni presenti sulle due isole. La sera ceniamo al Mama’s, che costituisce il tipo di posto che in assoluto preferisco, con i tavoli posizionati a ridosso della spiaggia ed un ambiente decisamente informale, in cui lei, Mama, ti pesa con un sorriso il pesce da arrostire calcolandoti il prezzo, mentre i suoi nipoti gironzolano incuriositi tra i tavoli dei turisti.

L’indomani, sotto un sole splendente salutiamo Vanes e Marina diretti in Thailandia, che raggiungeranno nel pomeriggio attraversando il confine via terra.

Trascorriamo spensieratamente il mattino in questo mare davvero fantastico, dopodiché ci rechiamo in taxi boat presso il Tuna Bay Island Resort, dove pranziamo lautamente. Continuiamo dunque la nostra passeggiata lungo questo lato dell’isola, arrivando sino al vicino Abdul’s Chalet, il quale ci colpisce favorevolmente. Posto abbastanza spartano, ma provvisto di nuovi, spaziosi e confortevoli bungalow dotati di aria condizionata, una piccola ma graziosa spiaggia orlata da palme e lambita da un bel mare, oltre ad un ottimo ristorante, in cui pranzeremo spesso nei giorni seguenti. Soprattutto, però, vi si respira un gran senso di pace e rilassatezza. Dopo Abdul’s non ci sono altre strutture in cui pernottare, ed una scalinata ci consente invece di scavalcare un tratto roccioso che divide la spiaggia, passando affianco alla Government Resthouse. Giungiamo in prossimità di una bella baia deserta a forma di mezzaluna, che incarna letteralmente la caratteristica cartolina tropicale da spedire agli amici invidiosi. Alle nove e trenta in punto del giorno successivo, siamo già sul pontile per salire sulla barca di Wan. Salpiamo alla volta di Rawa Island, che raggiungiamo in una ventina di minuti. Quest’oggi il Malcolm X delle Perhentian indossa una mutina leggera e si tuffa in acqua con noi, mostrando innate doti acquatiche. C’è una corrente sostenuta, che ci consente di praticare agevolmente lo snorkeling nel tratto iniziale, trovando ovviamente invece qualche lieve difficoltà al momento di tornare presso la barca. L’entusiasmante incontro con alcuni pesci napoleone varrà da solo l’intera escursione.

Sostiamo qualche tempo presso la minuscola spiaggetta di Rawa, bagnata da un mare incredibilmente trasparente, poi ci spostiamo ancora a

 Besar, ancorando la barca nel tratto denominato Shark Point: un nome, un programma. Infatti il posto è solitamente frequentato dai classici squali pinna nera, caratteristici delle barriere coralline, che non tardiamo ad avvistare. Ne vediamo diversi, alcuni dei quali non propriamente piccoli, e la scarsa visibilità dovuta alla forte corrente, che rende il mare in questo punto anche abbastanza increspato, fa figurare il tutto in maniera abbastanza agghiacciante, poiché sembrano materializzarsi all’improvviso dai fondali, rendendo lo snorkeling simile ad una sequenza del tipo: ombra, alghe, ombra, sabbia, ombra, squalo, ombra, pesce, alghe, squalo, squalo, squalo, squalo, pauraaaaa, ombra, pesce, etc.

Pranziamo in compagnia di Wan da Abdul’s gustando una piccantissima zuppa di noodles cotti nel latte di cocco, che accompagniamo nientemeno con una spremuta fresca di anguria, ahhhhaa quanto mi manca una bella birra ! Partiamo dunque in direzione di Perhentian Kecil, sostando presso le spiagge di Pasir Petani, dov’è collocato l’Impiani Resort, ed in quella isolatissima del Mira Chalets, un posto dimenticato dal mondo, costituito da pochi sbilenchi  e spartani bungalow ubicati a ridosso di una fittissima giungla. Romantic Beach è un’altra bella spiaggia del versante occidentale di Kecil, dove ci bagniamo in un mare dalle incredibili trasparenze, fatto brillare di verde dalla forte luce degli intensi raggi solari del pomeriggio. Sotto al faro effettueremo il miglior snorkeling in assoluto di Perhentian, potendo ammirare alcune integre formazioni coralline, oltre a varie specie di pesci, e ad un nutrito branco di angoscianti barracuda. Sulla via del ritorno Wan ferma il motoscafo presso il locale villaggio, dove effettuiamo una breve passeggiata e conosciamo la più grande delle sue quattro figlie. Davvero un bel personaggio Wan, ed anche nel suo caso, consiglio di cuore a chi fosse intenzionato ad effettuare qualche bella escursione individuale alle Perhentian di rivolgersi a lui: Wan Faizal, telefono 014/8208789. 

Durante le giornate successive godremo appieno delle bellezze offerte da queste meravigliose isole, girovagando con i locali taxi boat da una spiaggia all’altra, mentre le sere ceneremo spaziando tra il Coral View, il Paradise Island Resort, ed il Mama’s, vicini tra loro e facilmente raggiungibili dal Perhentian Island Resort con una breve camminata sulla spiaggia. Coral Bay, sul versante ovest di Perhentian Kecil non ci è piaciuta, ed annovera forse il più brutto mare delle due isole, dall’aspetto alquanto salmastro, ma se proprio si vuole visitarla, dalla stessa con una corta passeggiata all’interno della giungla si può in seguito agevolmente raggiungere Long Beach, sul versante est, che, seppur abbastanza inflazionata da strutture per lo più spartane, è sufficientemente grande e lambita da un bel mare trasparente. Il posto ci è abbastanza piaciuto, e l’ambiente è molto giovanile. Poco al largo della piccola baia a nordest di Kecil nella quale sorge il D’Lagoon Chalets pratichiamo un discreto snorkeling, ed anche qui, un sentiero nella giungla conduce sul versante orientale, presso un’isolatissima spiaggia denominata Adam & Eva Beach, nella quale la balneazione non è il massimo a causa dei coralli che arrivano fino a riva. All’inizio del percorso alcuni cartelli avvertono i visitatori sui pericoli che corrono portando gli zaini sulla solitaria spiaggia dell’altro versante, tanto che ci sconsigliano tutti di farlo, poiché sembra che si siano verificati alcuni episodi di furto, ed anche qualche aggressione ai danni dei turisti. La sera del 30 agosto echeggiano i canti tradizionali del Terengganu. Si festeggia in diverse spiagge aspettando la mezzanotte, quando si celebrerà l’anniversario dell’indipendenza al grido di Merdeka !

Malgrado la propensione turistica, le Perhentian ci sono piaciute molto. Riescono ancora a mantenere un discreto equilibrio, non risentendo più di tanto dell’afflusso dei visitatori, che  vengono ripagati con un mare splendido, un ambiente ovunque informale, ed una natura ancora solo parzialmente compromessa. Se riusciranno a schivare le mire dei grossi gruppi alberghieri, credo potranno mantenersi così ancora per molto, e naturalmente, lo spero vivamente di cuore.

Il nostro ritorno in questa nazione ha pienamente rispettato, ed in parte anche superato le nostre aspettative. Abbiamo riscontrato molti cambiamenti dall’epoca del precedente viaggio, in qualche caso anche decisamente negativi dal punto di vista ambientale, tuttavia resta una destinazione turistica in grado di offrire forti emozioni a chi desidera avere un contatto con una straordinaria natura, e partiamo rafforzando la nostra convinzione che la Malaysia vale sempre un viaggio in più.

 

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